Erano pronti a partire, quando la madre di Rishi comparve alla finestra: «Rishi, non fare tardi! Diventa buio presto adesso, quindi fate un giro veloce e poi a casa, va bene?».
«Sì, mamma, me lo hai già detto dieci volte!»
«Ecco… questa è l’undicesima allora…»
«Va bene…» rispose spazientito Rishi.
«Dove andate?»
«Te l’ho detto… facciamo un giro sull’argine del Po e poi torniamo.»
I tre amici partirono.
«State attenti!» gridò ancora la madre di Rishi, prima che uscissero dal cortile.
Il grande fiume scorreva placido, anche lui in attesa di passare a una fase diversa del suo percorso, quando le grandi piogge autunnali lo avrebbero ingrossato fino a farlo innervosire. Avrebbe sbattuto con violenza contro i piloni dei ponti che avrebbe trovato sulla sua strada, portando con sé i detriti che si davano appuntamento strada facendo. Avrebbe richiesto più spazio a quegli argini che cercavano di proteggere i paesi vicini, fino a superarli quando questi non gliene avrebbero dato.
Quella sera, però, era tutto calmo e i tre ragazzini seguirono il tratto di argine fino a quando imboccarono una stradina sterrata che scendeva verso l’ingresso di una cascina abbandonata. Varcarono il cancello spalancato, attraversarono un cortile e si fermarono sotto un porticato. Appoggiarono le bici ai pilastri e, in piedi, cercarono di prendere coraggio.
«È la rimessa al centro, giusto?» chiese Rishi.
C’erano tre portoni che si aprivano sotto il portico, vecchie rimesse di quando la cascina brulicava di attività.
«Così hanno detto…» rispose Fabio.
Si avvicinarono al portone centrale, che era chiuso con un chiavistello. Non c’era lucchetto, sarebbe bastato toglierlo dagli anelli e il portone si sarebbe aperto.
«Andiamo?» chiese Rishi.
«Sì» risposero gli altri due.
Il chiavistello si mosse cigolando e il portone si aprì. L’interno era buio, rischiarato debolmente solo dalla luce esterna che, però, andava a poco a poco a esaurirsi.
«Hai portato la torcia?» chiese Rishi a Riccardo.
«Sì, tieni.»
Rishi cominciò a ispezionare l’interno: un tavolo da lavoro con una morsa unta e arrugginita, scaffali di legno vuoti appesi ai muri, una catasta di bancali rotti lungo tutta la parete di destra, grandi latte di olio sparse per terra. Un telone rosso copriva una parte del pavimento, vicino alla parete che avevano di fronte.
«È lì sotto?» chiese Rishi.
«Così hanno detto…» risposero quasi all’unisono gli altri due.
Rishi fece due passi verso il telone, poi si fermò.
«Che c’è?» chiese Riccardo.
«Aspettate… Cosa hanno detto? Possiamo ripassare ancora una volta per essere sicuri?»
«Non fare il fifone! Sai benissimo che hanno detto!» gli disse Fabio, che però si guardava bene dal prendere l’iniziativa.
«Io… non sono un fifone!»
«E va bene, va bene. Hanno detto…» Fabio si fermò e riprese a voce bassa, ridotta quasi a un sussurro. «Hanno detto che nella rimessa centrale della cascina abbandonata, sotto un telo rosso, c’è un buco poco più grande della serratura di una porta. E… se ci si guarda dentro… si può vedere…»
Fabio si era fermato ancora una volta.
Guardava i due amici, che sembravano aspettare di sentirlo dire ancora una volta, nonostante sapessero benissimo cosa sarebbe uscito dalla sua bocca.
«Si può vedere… l’Inferno!»
«Siamo sicuri di volerlo fare?» chiese Rishi.
«Non possiamo tornare indietro» disse Fabio.
«Facciamolo» rispose Riccardo.
Fecero gli ultimi passi che mancavano per arrivare alla parete di fondo. Rishi era sempre un passo davanti agli altri, con la torcia elettrica in mano a illuminare quell’angolo buio.
Fu lui a sollevare un lembo del telo rosso, con la testa rivolta verso l’ingresso della rimessa, quasi a non voler guardare, quasi a essere pronto a schizzare via se le cose si fossero messe male.
Il cuore che gli batteva forte nel petto. Anche i due amici avevano il battito accelerato, pronti a scattare via al minimo segno di pericolo.
Il telo venne a poco a poco sollevato, finché non fu adagiato contro il muro, ma quello che era celato sotto li lasciò di stucco: non c’era niente. Nessun buco, ma sempre lo stesso nudo pavimento in terra battuta che ricopriva il resto della rimessa.
Li avevano presi in giro? I grandi li avevano seguiti ed erano là fuori, pronti a entrare, a ridere di loro per farli diventare gli zimbelli del paese?
Avrebbero fatto davvero una figuraccia: da eroi a sciocchi creduloni.
Quando ormai le speranze erano state accantonate, Riccardo notò un mattone posato a terra al centro del perimetro che, fino a qualche secondo prima, era coperto dal telo rosso.
«Rishi… quel mattone…» disse Riccardo.
«Cosa vuoi che sia… è un mattone» rispose Rishi.
«Prova a spostarlo…» disse Fabio.
Rishi si avvicinò, ma non osò toccarlo con le mani e lo scostò con un piede. Sotto c’era un buco che, come avevano sentito dire dai grandi, era poco più grande di una serratura. Sembrava un cerchio perfetto, l’ordine in mezzo a tutto a quel disordine.
Se ci si guarda dentro, si può vedere l’Inferno.
Rishi si inginocchiò.
«Rishi… sei sicuro? Io non lo sono più così tanto…» disse Fabio.
Riccardo si era ammutolito, non sapeva bene cosa fare: restare e scoprire cosa ci fosse là sotto o darsela a gambe? Erano così decisi fino a qualche minuto prima… ma ora che erano davanti a quel buco, ora che avevano scoperto che esisteva davvero… non si sentivano più tanto forti.
L’unico che sembrava aver acquisito più forza di prima era Rishi. Era entrato come in una specie di trance e non riusciva a percepire la paura che si stava impossessando dei suoi amici, né qualsiasi altra cosa provenisse dal mondo esterno. Ormai, nella sua testa, c’era solo una cosa che gli interessava fare: guardare.
Avvicinò un occhio al buco e sbirciò all’interno, ma vide solo buio.
«Cosa vedi?» chiese Riccardo.
«Niente… è tutto buio.»
Rishi restò qualche secondo concentrato, poi cercò di respirare piano, senza fare rumore. Fece un cenno agli altri di fare altrettanto, come se avesse bisogno di silenzio assoluto.
Inclinò la testa di lato, cercando di avvicinare un orecchio al terreno, attento però a non perdere la visuale all’interno del buco.
«Li sentite anche voi?» chiese.
«Cosa?» risposero insieme gli altri due.
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