Sono così spossata e infreddolita che non tento
neanche di capire a chi appartengano questi volti sconosciuti.
Men che meno di spiegare la reale natura del
mio rapporto con il defunto, cioè inesistente. Ricono-
sco un parente, un vecchio amico. Tutti mi abbracciano
pensando che siano solo il freddo e la pioggia a
farmi tremare.
La verità invece è che sono sconvolta.
Questo è il funerale di mio padre.
E io l’ho ucciso.
GENNAIO
CAPITOLO UNO
Petali rosa e bianchi, foglie verdi dalla forma allungata
come una lancia e un profumo dolcissimo
nell’aria. Un’esplosione di colori nel caldo sole d’estate:
petali bianchi e rosa, più chiari o più scuri, delicati
e forti, teneri e inebrianti. Li sfioro con le dita e sono
bianchi e rosa…
«Mamma… mamma, svegliati! Mamma!»
Oddio. Faccio un salto nel letto. «Ma che ore sono,
amore?»
Le 6:30. Santo cielo, non si riesce a dormire ancora un pochino?
Solo qualche minuto… Stavo sognando
un mondo bellissimo, ma ora mi è stato strappato e
non ricordo più niente. Come un vecchio film la cui
pellicola si brucia durante la proiezione, sul più bello.
Cerco di aggrapparmi al residuo di una vaga sensazione. Macché,
niente da fare.
Lei invece è lì, quattro anni e un viso da angelo,
tanto piccola quanto autoritaria, che mi fissa dal bordo del letto.
Chissà perché viene sempre dalla mia
parte e mai da quella di suo padre? Vabbè. Le faccio
una carezza, più per dimostrare a me stessa che sono
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tranquilla. Provo a chiudere di nuovo gli occhi, magari lei
ritorna a letto e io, languidamente, al mio sogno
dolcissimo.
«Voglio la colazione!»
«Sì, tesoro, arrivo.»
Sospiro e mi alzo.
Vado in bagno, pipì, vestaglia, mi sciacquo la faccia e andiamo
in cucina. Mi chiamo Francesca Castello e oggi è il mio
primo giorno di lavoro. Non ho
dormito granché, anzi, mi ero addormentata da poco
perché sono agitata. Dopo essermi presa sei mesi
di pausa di maternità facoltativa, oggi ricomincio.
Devo ammettere che ne ho voglia, dopotutto stare a
casa con due bambini è molto più faticoso che andare in ufficio.
Lo so, perché ho sempre lavorato.
Ho sempre fatto tutto quello che ci si aspettava da me:
a scuola ero la prima della classe, mi sono
laureata con il massimo dei voti, mi sono sposata, ho
fatto due figli – Nina, quattro anni, e Mario, due –, ho
trovato un buon lavoro. Che fatica. Mai un momento
di evasione. Ho lavorato persino nel breve intervallo
fra l’arrivo dei miei due bambini, poi ho ripreso quando
il piccolo aveva sei mesi. Così, è successo che un
bel giorno non ce la facevo più. Mio marito Luca se
n’è accorto anche prima di me; è un uomo generoso,
bello, alto e forte. Ha spalle larghe ed eleganti mani
affusolate che mi stringono in un abbraccio che mi
fa sentire al sicuro. In compenso parla poco e ha uno
sguardo malinconico che ispira a sua volta desiderio
di protezione. Luca è più bravo a esprimersi con gli
sguardi che con le parole ed è incredibilmente affet-
tuoso con i figli. È bello vederlo giocare con i bambini
e questo mi riempie di orgoglio per aver scelto un
buon marito e un buon padre per i piccoli. È protettivo
e attento ai miei stati d’animo. È un vero padre
di famiglia, come ne sono rimasti pochi, e ogni volta
che ci penso sono stupita della fortuna che ho avuto
a trovarlo.
Se non hai mai avuto un padre, come fai a capire
che un uomo qualsiasi saprà esserlo? Io sono cresciuta
provando un certo risentimento nei confronti del
mondo maschile, ma grazie a mio marito ho imparato
a fidarmi. Luca è la mia roccia, e io mi aggrappo alle
sue mani e alle sue braccia vigorose come un marinaio
all’albero maestro quando c’è tempesta. In pratica,
Luca fa da padre anche a me e io ascolto i suoi consigli
come una bambina diligente. Perciò, quando un giorno,
piano piano, mi ha suggerito: «Chicca, stai a casa»,
non ci ha messo molto a convincermi. A differenza
mia, che vado nel panico, lui è sempre ragionevole.
«Hai ancora diritto a sei mesi di maternità facoltativa,
usali. Ti dedichi un po’ a te stessa e ai bambini.
Tanto questo lavoro non ti rende felice. Gli orari sono
impossibili, non tengono conto delle tue esigenze di
madre. Ma che t’importa! Guadagnerai solo il trenta
per cento dello stipendio ma la vita è una sola e, visto
che possiamo permettercelo, il tempo è molto più
importante dei soldi.»
Lì per lì, mi è parsa una follia. Io lavoro nell’ufficio
commerciale di una casa di moda a Milano. I miei
capi in ufficio sono tutti maschi e tutti allegramente
disponibili a rimanere fino a tardi e magari poi a usci-
re a cena insieme, le donne pensano solo alla carriera e
sono tutte ipercompetitive: mi avrebbero uccisa!
Già non capivano le mie esigenze, figuriamoci una richiesta
del genere. Eppure, piano piano quell’ipotesi
si è fatta strada dentro di me, fino a non mollarmi più.
Oltretutto in quel periodo i bambini si ammalavano in
continuazione e io ero stanchissima.
Una notte poco dopo quella conversazione con
Luca, Mario si è svegliato facendo versi che non
sembravano umani. Quasi non respirava ed era senza
voce. Emetteva solo un latrato da foca. Abbiamo capito
subito che bisognava portarlo in ospedale. Mi sono
vestita e ho chiamato un taxi. Al pronto soccorso gli
hanno dato due compresse di cortisone e fatto un aerosol
di adrenalina.
«Ha una laringite, signora, niente di drammatico.
Sappiamo che presenta sintomi terrificanti che
spaventano molto i genitori alle prime armi. Anche
perché capita soprattutto di notte, quando il bambino
è sdraiato. Adesso può rimanere qui con lui, ma stia
tranquilla: dormirà come un ghiro.»
Invece è stata una notte d’inferno. Pretendevano
che un bambino di un anno dormisse su una barella,
col rischio di cadere e farsi male sul serio. Io avrei
dovuto dormire sulla barella di fianco a lui ma, naturalmente,
non potevo chiudere occhio. Prima di riuscire a farmi dare un
lettino con le sbarre dove Mario
potesse stare al sicuro, erano le quattro. L’infermiera
di turno non voleva svegliare il pediatra, il quale alla
fine si presentò dicendo: «Se proprio vuole una stanza!».
Come se fossimo all’Holiday Inn!
Finalmente siamo riusciti tutti e due a prendere sonno,
ma l’infermiera ci ha svegliato alle sei per
provare la temperatura. Mario nel frattempo stava
benissimo. Almeno quello. Io invece ero uno straccio:
stanca come una bestia e altrettanto nervosa. Menomale
che era sabato e non dovevo andare a lavorare.
L’infermiera era sbrigativa. Aveva portato del latte al
bambino e stava per andarsene.
«Dove posso trovare un caffè?» l’ho placcata.
«C’è la macchinetta al piano di sotto.»
«Ok, appena ha finito di fare colazione Marietto,
andiamo giù.»
«No, lui non può uscire dal reparto finché non ha
il via libera del pediatra.»
«Ma sta benissimo!»
«Non importa. Ha voluto farsi ricoverare…»
Non ha detto “tiè”, ma è come se l’avesse fatto.
«A che ora arriva?»
«Mah, non prima delle nove. E poi deve aspettare
il suo turno.»
Ero scoraggiata, ho provato a lasciare il piccolo
cinque minuti a quell’arpia ma non c’era stato verso,
appena facevo un passo lontano da lui, piangeva
come un disperato. Non ce la facevo a lasciarlo lì
così. Bene, avevamo più di tre ore da passare in un
reparto di pediatria dove non c’era l’ombra di un
giocattolo né di un caffè. Ero sull’orlo di una
crisi isterica. Intanto dalla stanza delle infermiere arrivava il
profumo delizioso di una moka sul fuoco.
«Scusate, non se ne potrebbe avere un pochino?»
Silenzio.
«Ve lo pago!»
«No, signora.»
Chiudono la porta, poi ridono e mi fanno il verso.
«La signora vorrebbe un caffè!»
Ho cacciato indietro le lacrime. Ero proprio stanca.
Sara Lucchini (proprietario verificato)
Libro davvero ben scritto, dalla lettura scorrevole, che tiene incollato alle pagine e ti spinge e proseguire per finirlo tutto d’un fiato.
Per quanto sia un libro che mi ha intrattenuto, e sia stata una lettura davvero piacevole, mi ha lasciato un po’ basita, neutra.
Non per il finale in sé o per la storia, ma mi ha lasciato addosso una sensazione di incompletezza.
In tutto il racconto vengono trattati argomenti molto importanti e soprattutto difficili, ma alla fine tutto sembra tornare esattamente com’era all’inizio, come se questi fossero stati una cornice alla storia e non vengono analizzati o sviscerati come invece ci si potrebbe aspettare all’inizio.
E’ un buon libro, ma non penso che potrebbe essere uno di quei libri d’aiuto per chi si può trovare nella stessa situazione della protagonista.
francy012 (proprietario verificato)
L’ho letto tutto d’un fiato e arrivata in fondo ho pensato “ma no, è già finito?”
La protagonista rappresenta una figura nella quale tutte noi, o molte di noi, potrebbero ritrovarsi: una figlia (sconosciuta), una madre, una moglie, una lavoratrice…una persona come tante che, come tante, ha un universo dentro difficile da gestire…personalmente mi ci sono ritrovata moltissimo…mi ritrovo a pensare che questa Francesca vorrei conoscerla meglio , sapere di più di lei, di ciò che le passa per la testa…averla, magari, come amica. Davvero un bellissimo romanzo. Sara, a quando il prossimo?
Giovanna Recordati (proprietario verificato)
Cara Sara, sono colpevole perché ci ho messo un po’ a trovarlo il tuo libro, ma mi ha brancata totalmente! E mi ha piacevolmente sorpresa. Siamo da anni lontane e mai veramente frequentate perché io vivo all’estero da una vita. Penso di averti letto con un’estrema lucidità di analisi, dal solo punto di vista piacere di leggere un racconto senza pensare ad altro. In effetti, questo tuo primo scritto mi ha preso allo stomaco: mentre lo leggevo, sentivo le tenaglie del rapporto del padre della narratrice e lo visualizzavo anche, con colori e sopratutto la voce. Quella che conosco o immagino di ogni padre o madre che ti squalifica, ti nega, ti ferisce nelle viscere. Spero che altri lettori curiosi come me ti scoprano. Trovo la storia non solo interessante per come l’hai svolta con delicatezza, senza mai cadere nel banale o nel drammatico. Storia molto probabile, realistica. Come del “déjà vu”. Hai saputo captare le sensazioni esatte e le trasmetti con un linguaggio preciso, rapido. Descrivi il rapporto tra un genitore difficile da capire e invivibile con il giusto distacco. Alla fine non importa come ci si arrivi a ricostruirsi, parlo dei figli che sanno di non essere stati riconosciuti o amati a sufficienza, ma uccidere a volte fa bene. Anche se lo si fa solo attraverso un racconto, delle parole. Grazie per queste due ore in cui mi hai fatto quasi piangere, comunque emozionare, e sorridere in altri momenti.
sajnishah (proprietario verificato)
Una storia eccezionale! Un libro da leggere! Le ultime pagine le ho lette lentamente perche’ non volevo che finisse. Carattere di Francesca con cui ci si puo identificare, gl’altri caratteri attorno ben formati e di dimensioni varie, i rapporti fra i caratteri cosi ben descritti. Mi sono persa nella Milano di Sara Recordati e persino sentivo i vari profumi dei fiori descritti. La fine non me l’aspettavo proprio – ti lascia pensando alle varie aspettative della vitq quotidiana e di quello che ciascuno di noi potrebbe nascondere, realizzare, amare….Bellissimo!
Anna (proprietario verificato)
Spero di poterlo leggere presto tutto di un fiato perché le prime pagine mi hanno lasciato in sospeso. Bella storia di donna coraggiosa nella difficile vita di oggi.
Beniamino (proprietario verificato)
E’ come leggere Anna Karenina. Ci si riesce a districare tra famiglie felici e infelici, tradimenti, rapporti tesi con i genitori, contemperamento tra lavoro e famiglia. Sempre di corsa, Francesca vuole avere una vita sua, autonoma e indipendente. E trova pure il tempo per un amante. Una gran donna.
Si legge tutto d’un fiato. Chapeaux.
elena.villatw (proprietario verificato)
la sinossi mi ha già conquistata, sarà un libro da assaporare con calma oppure da divorare in pochi giorni ? vi saprò dire ;-))
a8danieli (proprietario verificato)
Mi sono subito identificata in Francesca e sto andando avanti come un treno! C’è un po’ di tutte noi donne in questo bellissimo romanzo! Brava! Tifo per te!
Lucia Claudia (proprietario verificato)
Per il momento sono riuscita a leggere solo le prime 20 pagine, di agile e scorrevole lettura, e che mi hanno subito catturato ed interessato. Ho apprezzato molto anche la tecnica e lo stile narrativo. Non vedo l’ora di completarne la lettura!