Una musica di violino riecheggiava nel bosco, proveniente da una piccola radio rossa. I passi erano stanchi e affannati, mentre alcune gocce di pioggia iniziavano a cadere sul terreno. “Bene, ora posso spegnerla”, mormorò Isaac Todward, sopravvissuto da tre anni nella solitudine più completa. Al suo fianco c’era “Ombra”, un lupo che aveva trovato cucciolo, perso nei boschi. Insieme, erano riusciti a raggiungere Ozette, Washington, considerata la zona più sicura dagli Uomini Ombra. Benché fosse il luogo più umido degli Stati Uniti, le piogge continue agivano come un mantello protettivo, mascherando il silenzio e tenendo lontani i predatori spettrali.
Lo scopo di Isaac era raggiungere Flattery Rocks, un’isola al di là delle sponde di Ozette. Lì sperava di costruire un rifugio sicuro, lontano da tutto e tutti. Non si fidava più delle persone: il passato gli aveva riservato troppi episodi spiacevoli. Tuttavia, viaggiare sotto la pioggia aveva un vantaggio: nessuno poteva tendergli un’imboscata. Per di più, Ombra era un compagno prezioso. Solo un animale come lui poteva fiutare la presenza di esseri umani ostili e percepire rumori estranei alla pioggia.
Arrivati alla spiaggia, Isaac accese un fuoco per la notte. La radio, appoggiata su un ceppo di legno, continuava a emettere una melodia rassicurante. Isaac aprì una scatola di fagioli e la mise a scaldare in un pentolino che teneva tra le mani. Ombra lo osservava con gli occhi pieni di attesa. “Su, non mi guardare così. Ho qualcosa anche per te”, disse Isaac, lanciando al lupo una grossa salsiccia affumicata che aveva preparato lui stesso l’inverno precedente, ricavandola da un cervo.
La sopravvivenza era diventata un’arte per Isaac. Gli anni passati a bivaccare con gli amici, sfidando la natura selvaggia, si erano rivelati utilissimi in questo nuovo mondo ostile. Eppure, a volte pensava che la vera sfida non fosse sfuggire agli Uomini Ombra, ma sopravvivere alla natura stessa.
Mentre Ombra si addormentava, Isaac notò una figura scura nella distanza, immobile nella completa oscurità. La luce della luna illuminava la spiaggia, e per un istante gli sembrò di vedere un Uomo Ombra che lo osservava. Nessuno lo sapeva per certo, ma si diceva che alcune di queste creature avessero una coscienza individuale, diversa dalla mente collettiva che sembrava guidare le altre. “Se fosse stato ostile, sarei già morto”, pensò Isaac.
Ogni evento, ogni dettaglio, veniva annotato meticolosamente nel diario di Isaac. Per lui, ogni informazione scritta rappresentava un piccolo passo verso il progresso dell’umanità. Prima che il mondo sprofondasse nelle tenebre, Isaac sognava di specializzarsi in scienze e medicina. Non credeva alle superstizioni: per lui, gli Uomini Ombra non erano spiriti, ma un fenomeno che necessitava di una spiegazione logica e scientifica.
Quella notte, scrisse una nuova nota nel diario: “Le Ombre hanno delle regole. Ho notato che non tutte mostrano lo stesso atteggiamento ostile. Alcune mi osservano da giorni senza attaccare. Se il rumore davvero le confonde, allora non riesco a spiegarmi come alcune riescano a trovarmi anche con la radio accesa. Forse si tratta solo di tracce lasciate da quelle che sono passate. Oppure… forse la solitudine e la mancanza di interazione con altri esseri umani mi stanno portando alla follia.”
La notte seguì lunga e inquieta. Ombra dormiva profondamente accanto a Isaac, mentre la radio trasmetteva vecchie canzoni. Una melodia familiare riempì l’aria: “Parlez-moi d’amour” di Lucienne Boyer, del 1930.
Ironia della sorte: l’America, un tempo sprezzante verso la Francia, ora trovava conforto e salvezza in vecchie canzoni francesi trasmesse da una stazione radio in Canada. Chi l’avrebbe mai detto? Gli americani salvati da melodie lontane e nostalgiche.
Isaac si rigirò nel sonno, intrappolato in un incubo vivido. Era un tempo lontano, prima che il mondo si spezzasse. Lui e Mandy erano al cinema, ridendo sottovoce mentre guardavano un vecchio classico. Dopo lo spettacolo, erano andati al loro ristorante preferito, un piccolo locale accogliente con luci soffuse e un pianista che suonava dal vivo. Parlavano del futuro. “Sai, Isaac, penso che dovremmo trasferirci in una città più grande. Magari Seattle. Voglio vedere di cosa siamo capaci, insieme.”
Isaac sorrideva. “Seattle, eh? E se invece andassimo ancora più lontano? Magari all’estero, in Europa. Francia, forse?”
“Francia? E cosa faresti lì? Impareresti a cucinare baguette?” rise Mandy.
Ma proprio mentre la conversazione si animava, un improvviso black-out colpì il ristorante. Le luci si spensero, e il pianoforte tacque. Un silenzio innaturale riempì l’aria. Isaac sentì il cuore accelerare. Era il silenzio che aveva imparato a temere.
Poi vennero. Le Ombre si insinuarono nel locale come una nebbia vivente. Mandy gridò, aggrappandosi a lui. “Isaac, cosa sta succedendo?”
Le Ombre li circondarono. Isaac cercò di tenerla stretta, ma mani nere come la pece la afferrarono, strappandola dalle sue braccia. “No!” urlò Isaac, disperato. “Prendete me, non lei! Vi prego!” Le sue urla si persero nel buio mentre Mandy veniva inghiottita, il suo volto distorto dal terrore l’ultima immagine che riuscì a vedere.
“MANDY!”
Isaac si svegliò di colpo, il respiro spezzato. Ombra era accanto a lui, leccandogli il viso con insistenza, come per rassicurarlo. “Va tutto bene, ragazzo…” sussurrò Isaac, accarezzando il lupo con mani tremanti.
Si girò verso il mare, ancora scosso dal sogno. Il suono delle onde gli diede un momento di pace. Guardò Ombra, che lo osservava scodinzolando, pronto all’azione.
“Giusto. Dobbiamo pensare a un modo per andare dall’altra parte. Dobbiamo cercare una barca,” disse Isaac. Ombra abbaiò piano, come se avesse capito. Isaac si alzò, determinato. Il viaggio non era ancora finito.
Dopo alcuni minuti di camminata lungo la costa, Isaac trovò una vecchia barca a remi, incagliata tra i relitti abbandonati. “Perfetto,” mormorò, studiandola. Era usurata dal tempo, ma ancora solida. Spingendola verso l’acqua, Isaac non poté fare a meno di sentirsi sollevato: finalmente un passo più vicino alla salvezza.
“Andiamo, Ombra,” disse, invitando il lupo a salire. Ombra si accovacciò sull’altro lato della barca, bilanciandone il peso. Isaac afferrò i remi e iniziò a vogare.
Il mare era calmo, una distesa scura e silenziosa sotto il cielo plumbeo. Isaac parlava per riempire il silenzio. “Sai, Ombra, vivere su un’isola ha i suoi vantaggi. Innanzitutto, è fertile: possiamo coltivare facilmente il cibo. E poi ci sono meno possibilità di imbatterci in predoni… o in qualunque altra cosa.” Fece una pausa, sorridendo al lupo. “E poi possiamo sempre pescare. Giusto, ora che ci penso, non hai mai assaggiato il pesce di mare. Ma non ti preoccupare, ti piacerà.”
Ombra scodinzolò piano, come se approvasse. Isaac continuò a remare, concentrato e determinato. Finalmente, le sponde di Flattery Rocks si stagliarono davanti a loro. L’isola sembrava un baluardo contro l’oscurità.
Isaac e Ombra avanzarono tra la fitta vegetazione dell’isola. Il silenzio era rotto solo dal fruscio dei rami sotto i loro passi e dal respiro regolare del lupo al suo fianco. Ombra improvvisamente si fermò, le orecchie tese e il naso rivolto verso un punto preciso. Isaac seguì lo sguardo del suo compagno e intravide tra gli alberi una sagoma squadrata. “Cos’è, ragazzo? Hai trovato qualcosa?” mormorò, avanzando lentamente.
La struttura che apparve davanti a loro sembrava quasi irreale. Una vecchia baita, robusta e sorprendentemente intatta, si ergeva tra le radici di grandi alberi. Le finestre erano coperte da persiane di legno, e un piccolo pannello solare era montato sul tetto inclinato. Accanto, una pala eolica cigolava leggermente sotto la brezza. Isaac si avvicinò con cautela, il cuore che batteva forte. La porta era socchiusa, come se aspettasse solo lui.
“Sembra troppo bello per essere vero,” mormorò. Ombra gli stava accanto, vigile ma tranquillo. Spingendo delicatamente la porta, Isaac entrò nella baita. L’interno era ordinato e accogliente: una cucina modesta con mobili in legno, un salotto con un divano e una stufa a legna, e una scala che conduceva al piano superiore. Ispezionando ogni angolo, si accorse che la casa era autosufficiente: una cisterna raccoglieva acqua piovana, e un sistema di filtri la rendeva potabile.
“Incredibile,” sussurrò Isaac. Aprì un rubinetto della cucina, e un flusso d’acqua cristallina scese con un lieve gorgoglio. Bevve avidamente, assaporando quel lusso dimenticato. Ombra lo osservava, curioso. “Aspetta, ragazzo. Ora tocca a te,” disse, riempiendo una ciotola trovata in un angolo.
Esplorando il resto della casa, Isaac trovò un piccolo bagno con una doccia. Girò la manopola e l’acqua calda scrosciò fuori, “Chiunque vivesse qui doveva essere un genio della sopravvivenza,” pensò.
Isaac si sistemò sul divano della baita, le mani ancora tremanti per l’emozione di aver trovato un rifugio tanto prezioso. L’acqua scorreva silenziosa nei tubi, una piccola meraviglia in un mondo ormai devastato. Si concesse il lusso di una lunga doccia calda, lasciando che il vapore e il calore gli sciogliessero la tensione dalle spalle. Era come tornare a un tempo dimenticato, a una normalità che non esisteva più.
Tornato in soggiorno, Ombra si era acciambellato vicino al camino. Isaac accese un fuoco con la legna trovata nella capanna. La danza delle fiamme sembrava ipnotizzarlo, riportandolo a un ricordo lontano, intrappolato nei meandri della sua mente.
Era una sera come tante Isaac e Mandy camminavano per le strade illuminate della città. Era inverno, ma un inverno gentile, con l’aria fresca che pizzicava il viso senza essere troppo pungente. Avevano appena cenato in un piccolo ristorante italiano che Mandy adorava, lei sorrideva, con quel sorriso che illuminava ogni angolo del suo mondo.
“Isaac, sai cosa penso?” aveva detto, stringendogli la mano. “Che dovremmo smettere di rimandare. Voglio fare quel viaggio. Non ci sarà mai un momento perfetto, quindi dobbiamo crearci il nostro.”
“Che viaggio?” Isaac rise. “Hai parlato di almeno dieci mete diverse quest’anno. Vuoi andare in Giappone per la fioritura dei ciliegi, in Norvegia a vedere l’aurora boreale, o in Australia per surfare?”
“Non è importante dove. È importante andare insieme,” rispose Mandy, con quella sua voce morbida e determinata al tempo stesso.
Isaac ricordava di essersi fermato a guardarla, il cuore che gli si scioglieva nel petto. Non aveva mai amato nessuno come lei. Mandy lo sfidava a essere migliore, a vivere davvero.
Il flashback cambio bruscamente ’immagine luminosa del loro futuro si incrinò, come un vetro colpito da una pietra. Era di nuovo quella notte. Il black-out. Le urla. Gli occhi di Mandy pieni di terrore mentre le Ombre si materializzavano nel ristorante.
“No! Non lei! Portate me!” aveva urlato Isaac, stringendola disperatamente. Ma le Ombre erano inarrestabili, una forza primordiale che sfuggiva a ogni logica. Le mani nere e viscide avevano strappato Mandy via, lasciando Isaac impotente a urlare nel vuoto.
L’ultimo sguardo di Mandy gli perseguitava ancora. Non era solo paura. Era dolore, ma anche amore. Un amore che sembrava dirgli: “Vai avanti. Sopravvivi.”
Isaac si ridestò dal ricordo, sudato e tremante. Ombra si avvicinò, appoggiando il muso sulle sue ginocchia, come se avesse percepito il suo dolore. “Va tutto bene,” disse Isaac, la voce roca. Ma non era vero. Nulla era davvero a posto.
“Non so nemmeno perché continuo a farlo,” mormorò, guardando il lupo. “Perché sopravvivere? Mandy era la mia ancora. Ora sono solo io contro… tutto.”
Si alzò lentamente, dirigendosi verso la scrivania dove aveva posato il diario. Ogni pagina era piena di appunti: sugli Uomini Ombra, sui loro comportamenti, sui meccanismi di difesa che aveva scoperto. La sua mente scientifica lo spingeva a cercare risposte, ma la sua anima? Quella era spezzata.
Scrisse:
“Forse Mandy aveva ragione. Non ci sarà mai un momento perfetto. Forse sopravvivere significa creare il nostro futuro, anche quando sembra impossibile. Se mai scoprirò cosa sono queste Ombre, perché esistono, allora tutto questo avrà avuto un senso. E se non lo scoprirò… almeno avrò provato.”
Isaac chiuse il diario, guardando il fuoco che ormai si spegneva. Ombra si era addormentato, ma lui rimase sveglio, perso tra i ricordi e il silenzio della notte.
Seduto sul divano logoro della baita, Isaac fissava il fuoco nel camino. La fiamma crepitava piano, l’unico suono a rompere il silenzio. Ombra dormiva ai suoi piedi, il petto che si alzava e abbassava ritmicamente. Eppure, la calma della stanza non si rifletteva nella mente di Isaac.
Chiuse gli occhi per un momento e fu immediatamente catapultato nei ricordi. Non più nella baita, non più sull’isola, ma in una stanza illuminata dalla luce calda di una lampada a stelo. Mandy rideva. Lei era lì, viva e tangibile, la sua presenza un balsamo per la mente tormentata di Isaac.
“Ricordi quando mi hai detto che avremmo visitato la Francia? Che avremmo fatto un viaggio a Parigi e mangiato croissant ogni mattina?” rise lei, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Non sapevo neanche cosa fosse un croissant,” rispose Isaac con un sorriso imbarazzato. “Ma volevo vederti felice. Pensavo che dirti qualsiasi cosa fosse meglio di affrontare quel che davvero provavo.”
La stanza si offuscò lentamente, il volto di Mandy cominciò a sfumare come un disegno cancellato con troppa forza. Isaac si agitò, cercando di trattenerla. “No, Mandy! Aspetta, non andare!”
Ma era inutile. L’oscurità lo avvolse di nuovo. Tornò nella baita, il fuoco del camino ormai più fioco. Ombra lo fissava con un’espressione enigmatica, quasi come se avesse percepito il tumulto interno di Isaac.
Isaac prese il diario dal tavolino accanto al divano. Era logoro, con pagine stropicciate e angoli consumati. Lo aprì a una nuova pagina e iniziò a scrivere:
“Non riesco a lasciarla andare. Mandy è ovunque. Nel mio sonno, nei miei pensieri, persino nelle ombre che si allungano oltre il camino. So che è morta. Eppure, c’è una parte di me che non smette di sperare che in qualche modo possa rivederla. Che tutto questo sia un errore, che lei sia ancora là fuori.”
“La sopravvivenza non basta. Ho costruito rifugi, imparato a cacciare e a evitare le Ombre. Ma per cosa? Per vivere un giorno in più, senza significato? Forse dovrei lasciarmi andare… Forse è lì che la troverò.”
Sospirò, chiudendo il diario. Il peso delle sue parole lo colpì come un macigno.
Quella notte, il sonno lo colse di sorpresa. Isaac si addormento sul divano con il diario tra le mani facendo cadere la penna per terra.
La voce melodiosa di Charles Trenet che cantava La Mer risuonava dolcemente dalla radio, avvolgendo la stanza in un’atmosfera surreale. Isaac si svegliò sul divano, strofinandosi gli occhi. Il sole mattutino filtrava attraverso le finestre sporche, disegnando linee dorate sul pavimento in legno. Ombra era già sveglio, seduto accanto alla porta, con le orecchie tese e gli occhi attenti come sempre. “Già pronto all’azione, eh, ragazzo?” disse Isaac, stiracchiandosi.
Si alzò con un sospiro, guardando la stanza attorno a sé. La baita era più accogliente di quanto avesse osato sperare. Il pensiero di avere un rifugio stabile gli dava un senso di sicurezza che non provava da anni. Ma sapeva anche che la sopravvivenza non concedeva distrazioni.
“Bene, Ombra. Prima di uscire, dobbiamo mangiare. Conosci le regole: dobbiamo essere sempre in forze, pronti a tutto.” Prese una scatola di razioni e mise un pezzo di carne secca nella ciotola del lupo. Ombra mangiò con entusiasmo, mentre Isaac preparava il suo pasto veloce. “E prima di avventurarci là fuori,” aggiunse, mordendo un biscotto duro, “perlustriamo questa baita come si deve. Voglio sapere esattamente cosa abbiamo qui.”
Ombra lo seguì mentre Isaac cominciava a esplorare ogni angolo della casa. Aprì armadi pieni di vestiti logori e oggetti domestici ormai inutili: stoviglie arrugginite, una lampada a olio con la miccia spezzata, libri ingialliti di narrativa e vecchie guide di sopravvivenza. La cucina era ben fornita, con un piccolo generatore che poteva ancora funzionare se trovato carburante.
La vera sorpresa arrivò nello scantinato. Spingendo una porta di legno che scricchiolò come se non fosse stata aperta da anni, Isaac accese la torcia. L’aria era fredda e impregnata di muffa. “Vediamo cosa c’è qui sotto,” mormorò, scendendo i gradini con attenzione.
La luce della torcia illuminò una serie di scaffali polverosi e, sul fondo della stanza, una rastrelliera con tre vecchi fucili da caccia. Accanto, sei scatoloni pieni di munizioni. Isaac fischiò piano, incredulo. “Beh, speriamo che chiunque fosse qui non abbia sterminato tutta la fauna locale,” scherzò, accarezzando un fucile per valutarne le condizioni. I fucili sembravano ben tenuti, pronti all’uso, nonostante il tempo passato.
Prese uno scatolone e lo aprì. All’interno, trovò munizioni assortite, accuratamente organizzate. “Questa sì che è una fortuna,” disse Isaac, gettando uno sguardo a Ombra. “Non pensavo che avrei mai avuto una scorta del genere. Almeno possiamo difenderci, se necessario.”
Isaac, con Ombra al suo fianco, uscì dalla baita nel freddo mattino. Il sole filtrava a malapena tra le nubi, e una leggera brezza marina portava con sé l’odore salmastro delle onde. Decise di esplorare i dintorni e, proseguendo dietro la baita, si fermò di colpo. Davanti a lui, oltre una serie di rocce appuntite, si stagliava un vecchio faro diroccato, avvolto dalla vegetazione e battuto dal tempo. La struttura si ergeva solitaria, scrutando l’oceano come un guardiano dimenticato.
“Un faro,” mormorò Isaac, fissandolo con un misto di curiosità e cautela. Ombra si fermò, osservando la scena con il suo solito silenzio vigile. Isaac si girò verso il lupo. “Aspettami qui, ragazzo. Non ci metterò molto.”
Con passi decisi, iniziò a scalare le rocce che conducevano alla base del faro. La struttura era più grande di quanto sembrasse da lontano. Le pareti, un tempo bianche, erano ora sbiadite e corrose dalla salsedine. Una porta arrugginita penzolava dai cardini, e Isaac la spinse con cautela, entrando in un ambiente che sapeva di muffa e di legno umido. Le scale a chiocciola cigolavano sotto i suoi piedi mentre saliva verso la cima.
Quando finalmente raggiunse la sommità, il panorama lo lasciò senza fiato. Da lassù, l’isola si apriva davanti a lui in tutta la sua vastità. I suoi occhi si allargarono di stupore. “Non può essere…” sussurrò, stringendo la ringhiera del faro con mani tremanti.
La mappa che aveva studiato, quella che l’aveva guidato fin lì, mostrava un’isola piccola e discreta, poco più di un fazzoletto di terra nell’oceano. Ma ciò che vedeva con i suoi occhi era completamente diverso. L’isola si estendeva molto più lontano, una distesa di foreste, colline e pianure che sembravano non avere fine. Laggiù, in lontananza, si intravedevano persino dei rilievi montuosi, avvolti da una leggera foschia.
“È almeno dieci volte più grande di quanto descritto sulla mappa…” disse Isaac tra sé e sé, con il cuore che batteva più forte. Una sensazione di inquietudine lo avvolse. Si sentì come un intruso in un luogo che nascondeva segreti. Ma c’era anche un’altra emozione che cresceva dentro di lui: la gioia della scoperta. Forse, in quell’isola, c’era molto più di quanto avesse mai osato sperare.
“Se questa è una mappa falsa,” disse, estraendo dalla tasca la bussola, “allora me ne farò una mia. Non sono un cartografo, ma qualcosa riuscirò a disegnare. Con la bussola e un po’ di pazienza…” Si fermò, fissando il panorama. “Questa sarà la mia isola.”
Proprio in quel momento, un suono spezzò il silenzio. Isaac si irrigidì. Un campanile. Il rintocco solenne di una campana echeggiava nell’aria, trasportato dal vento. Era distante, ma chiaro. Guardò nella direzione da cui proveniva, cercando di individuare un punto di riferimento tra la vegetazione. “Che diavolo… un campanile?”
Un sorriso si formò sulle sue labbra, misto a sorpresa e sospetto. “Forse là fuori,” pensò, “in mezzo a tutto quel bosco, c’è una pianura. Magari un villaggio. E magari… superstiti.”
Ombra abbaiò dal basso, attirando la sua attenzione. Isaac guardò il lupo, che sembrava impaziente. “Hai ragione, ragazzo,” disse, iniziando la discesa con un nuovo obiettivo in mente. “Dobbiamo scoprire chi sta suonando quella campana. E se ci sono altre persone su questa isola… dovremo capire se sono amici o nemici.”
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