L’Irpinia, nel novembre del 1980, era una terra sospesa nel tempo, dove il ritmo della vita sembrava dettato dalla natura e dalla fatica. Le colline, coperta da un manto d’ulivi, si arrampicavano verso il cielo come se volessero proteggere i piccoli borghi arroccati tra di loro, come sentinelle di un passato che si rifiutava di morire. La povertà, radicata come le radici degli alberi secolari, aveva forgiato un popolo resistente, abituato a vivere con poco, ma anche capace di apprezzare ogni piccolo gesto di solidarietà. La gente si aiutava, si prendeva cura gli uni degli altri, anche quando le risorse erano scarse. Ogni giorno sembrava una battaglia quotidiana contro la miseria, ma la bellezza delle tradizioni e la forza di una comunità unita non venivano mai meno.
Era una terra di silenzi e sussurri, dove le storie venivano raccontate nei gesti più che nelle parole. I bambini crescevano nel profumo del pane appena sfornato e nei rumori dei mestieri quotidiani, mentre le donne, con la loro forza silenziosa, portavano avanti la famiglia, i sogni e le speranze di generazione in generazione.
Ma le sfide non erano solo quelle della sopravvivenza, perché anche in quella terra di radici forti, le donne portavano sulle spalle un peso invisibile ma concreto: il pudore, le convenzioni sociali e, in alcuni casi, il terrore di un futuro incerto, segnato da scelte imposte dal giudizio di una comunità severa.
Nel cuore di questo paesaggio, dove ogni pietra e ogni albero raccontavano una storia, la vita scorreva come una lunga e faticosa attesa. Una gravidanza indesiderata, in una società dove la reputazione era tutto, poteva segnare una giovane donna per sempre. Una vita non voluta, un bambino che era frutto di un errore o di un incontro inaspettato, rischiava di diventare una macchia indelebile nella sua esistenza. Ma se nel silenzio delle case e delle campagne sussurravano storie di vergogna, anche lì, tra le ombre, la speranza non moriva mai.
Le levatrici, vere e proprie custodi della vita e delle sue complicazioni, si muovevano tra queste storie come ombre discrete. Alcune di loro erano conosciute e rispettate, altre preferivano restare nell’ombra, lontano dagli occhi curiosi. Con mani esperte e cuori stanchi, accoglievano i neonati, spesso in circostanze difficili, e si facevano carico di segreti e di scelte difficili, diventando il punto di riferimento di quelle donne che, nella solitudine della loro condizione, avevano bisogno di qualcuno che non le giudicasse. Ma quella sera, il 23 novembre 1980, nulla avrebbe più potuto preparare la gente dell’Irpinia a quello che sarebbe accaduto.
Le 19:34, un’ora che avrebbe cambiato per sempre la storia di quella terra. Un tremore che squassò la terra e spazzò via in un istante le case, le vite, le speranze. Le urla si alzarono nel buio, mescolandosi con il suono delle campane, che sembravano piangere insieme ai sopravvissuti. Le persone, sgomente e impaurite, cercavano di scappare, ma la terra continuava a tremare, come se volesse inghiottire tutto ciò che incontrava. In pochi istanti, il paesaggio si trasformò in un deserto di macerie, dove prima c’era vita, adesso c’era solo dolore e morte.
In mezzo alle rovine, dove il tempo sembrava essersi fermato, si nascondevano storie più piccole, ma non per questo meno drammatiche. Neonati abbandonati, figli di madri che avevano visto la loro vita sbriciolarsi come le case. Madri che non erano riuscite a fare i conti con il peso di una gravidanza indesiderata, che avevano visto il loro mondo crollare e, in quel buio profondo, avevano scelto di rinunciare a un figlio che non sapevano come accogliere. Alcuni di quei bambini avrebbero trovato una seconda possibilità, altri no. Ma tra le macerie, tra le grida e il dolore, c’era ancora un filo sottile di speranza. Perché, sebbene la terra fosse stata ferita, non era morta.
Gli ospedali di fortuna, che spuntavano come tende in un accampamento di guerra, erano luoghi di disperazione, ma anche di miracoli. Donne che, pur sotto il peso della tragedia, continuavano a dare alla luce figli, bambini che sarebbero potuti diventare il futuro, anche se il loro inizio era segnato dal dolore. Alcuni di questi neonati sarebbero stati accolti dalle braccia di chi li aveva trovati tra le macerie, ma molti altri non avrebbero mai avuto una casa, e quelle madri che avevano scelto l’abbandono come ultima risorsa, avrebbero dovuto vivere con la consapevolezza di aver lasciato andare un pezzo del loro cuore.
Le levatrici, che in tempi normali avevano visto nascere bambini in circostanze più tranquille, si ritrovarono ora a fare i conti con una realtà più crudele. Dove prima avevano assistito alla nascita di vita, ora erano costrette a raccogliere corpi di bambini che nessuno voleva, che portavano con sé non solo l’innocenza di un neonato, ma anche il dolore di chi aveva dovuto rinunciarvi. Ma anche in quel dolore c’era la possibilità di ricominciare. Tra le macerie, tra i corpi che non ce l’avevano fatta, c’era un futuro che non si sarebbe mai arreso. La solidarietà, la generosità e la speranza non avevano mai smesso di vivere. Ogni piccolo gesto, ogni bambino che veniva salvato, era un atto di resistenza contro la morte.
La luce che brillava in quelle mani tese, che raccoglievano e curavano quei bambini, non era solo la luce della salvezza, ma anche quella di chi non aveva mai smesso di credere che la vita, nonostante tutto, fosse più forte della morte. La terra che aveva visto la tragedia, che aveva visto la morte e la distruzione, aveva trovato, in fondo al suo cuore, un motivo per ricominciare. E così, tra le ombre di quella notte, la luce della speranza brillava ancora, più forte che mai.
Monica Castorina (proprietario verificato)
Bellissimo! Sto leggendo la bozza pdf e pagina dopo pagina aumenta l’emozione del ricordo. La scorrevolezza e la scrittura fluida permette di vedere con gl occhi dell’immaginazione più profonda.È bello sapere che qualcuno finalmente parli della sorte dei bambini. Fino ad oggi non ho mai sentito o letto nulla in merito.In tutto questo spero tanto che questa storia possa diventare il soggetto per una produzione anche cinematografica.Complimenti all’autore per aver avuto il coraggio di mettere nero su bianco un evento così forte e triste e averlo trasformato in speranza.
Giulia Boccardi (proprietario verificato)
Libro commovente e davvero ben scritto! Vale la pena!
Francesca Campa (proprietario verificato)
“Non sei solo” e dal Caos si può essere salvati…questo libro è l’emblema della rinascita. Attraverso l’amore e la speranza, possiamo guardare alle storie più terribili e superare qualsiasi trauma. Come prendersi per mano, diventando portatori di sogni straordinari. Irpinia, novembre 1980. Quell’autunno vive ancora!
Francesca Campa (proprietario verificato)
“Non sei solo” e dal Caos si può essere salvati…questo libro è l’emblema della rinascita. Attraverso l’amore è la speranza, possiamo guardare alle storie più terribili e superare qualsiasi trauma. Come prendersi per mano, diventando portatori di sogni straordinari. Irpinia, novembre 1980. Quell’autunno vive ancora!
Guido Di Guida (proprietario verificato)
Ho iniziato a leggere la bozza messa a disposizione e devo dire che è un racconto coinvolgente e scritto davvero molto bene. Io, essendo di Napoli, sono molto coinvolto nel periodo storico. Questo è un omaggio che mai nessuno prima è riuscito a fare…bellissimo!
Vincenzo Pirozzi (proprietario verificato)
Una straordinaria testimonianza che vale la pena di leggere