Capitolo I.
Realtà o leggenda?
In un tempo freddo e oscuro in una terra lontana, cadde dal cielo uno strano oggetto.
L’impatto al suolo fu devastante e il boato si propagò per parecchie miglia. Tutta la popolazione del luogo si radunò intorno al cratere, spaventata e al tempo stesso incuriosita da un evento così anomalo. Alcuni uomini, sicuramente i più audaci, scesero per scoprire di cosa si trattasse. Sostenuti da robuste funi, si lasciarono scivolare fino in fondo alla voragine, e mentre il buio avrebbe potuto inghiottirli, una strana luce dorata che proveniva dal basso rese più facile la loro discesa. Più si avvicinavano al fondo, più avevano l’impressione che della lava – o un pezzo di roccia incandescente proveniente da chissà dove – giacesse sotto di loro. Finalmente quando furono a ridosso del misterioso involucro, capirono che non si trattava di un qualunque minerale ma, con loro grande sorpresa, si ritrovarono davanti a un enorme uovo, che emetteva una luce pulsante. Dopo lo stupore iniziale gli uomini si adoperarono per portarlo in superficie e trasportarlo al loro villaggio per osservarlo e studiarlo meglio.
Il viaggio non fu dei più facili, aveva piovuto di recente e la strada era molto sconnessa e solo dopo alcune ore giunsero finalmente nei pressi di una fattoria e sistemarono l’uovo in una grande stalla, sopra un giaciglio di paglia.
Per alcuni giorni non accadde nulla, tanto che la maggior parte degli abitanti si allontanò dal fienile e quasi se ne dimenticò, pensando che qualunque cosa contenesse quello strano involucro fosse morta nell’impatto. Finché una mattina l’edificio iniziò a vibrare talmente forte da far tremare la terra circostante. Ognuno cercò riparo nelle proprie case sperando che tutto finisse al più presto, ma appena cessò quel pandemonio, si alzò un sibilo altissimo proveniente dalla stalla che subito dopo prese fuoco. Dalle fiamme si sollevarono gigantesche ali nere.
Attraverso il fumo si intravedeva un’inquietante creatura dalle imponenti fauci e dal corpo ricoperto di scaglie: era un enorme drago nero. La bestia si levò in volo e iniziò a incendiare tutto ciò che la circondava. In pochi minuti il villaggio fu completamente distrutto, nulla e nessuno sopravvisse alla devastazione, tranne un uomo che scappò da quell’inferno e riuscì a raccontare di quell’orribile creatura ai villaggi vicini. Pochi, però, credettero all’esistenza di un essere così temibile e feroce, anzi, spesso il racconto del forestiero fu deriso ed egli additato come pazzo. In preda allo sconforto l’uomo decise di chiedere aiuto a uno stregone, considerato un po’ come il custode della verità nella contea per ciò che narrava di aver visto nella sua lunga vita.
Il vecchio saggio, dopo averlo ascoltato, non sembrò affatto sorpreso e, con sicurezza, gli indicò un oggetto misterioso dal suo libro delle leggende: “La lancia Evangelazier”, un’arma mistica forgiata dagli Dei, capace di distruggere ogni cosa; essa era racchiusa in un tempio, così il negromante, impietositosi dallo smarrimento del sopravvissuto, decise di aiutarlo fornendogli una mappa.
Il giorno stesso l’uomo, al culmine dell’entusiasmo, raccolse quel poco che aveva per il viaggio e partì.
«È tutto quello che so, il resto non lo conosco, mi dispiace» terminò l’anziano.
«Andiamo, nonno! Non puoi interrompere così il racconto!» disse infuriato Edward.
«Perdonami figliolo! Piuttosto, occupati della legna per il fuoco, altrimenti non riusciremo a cuocere la cena» concluse perentorio nonno Bernard.
«Uffa, va bene!» Il ragazzo si alzò dalla sedia e si diresse verso il bosco.
Ci troviamo nell’anno 1715, l’era dei pirati e dei saccheggi. Ogni ragazzo, compiuti i sedici anni, iniziava già ad andare per mare, ma non tutti con lo stesso scopo: chi per trasportare mercanzia, chi per rubarla. Mercanti e pirati. Edward si distingueva dai suoi coetanei: non ambiva a nulla di tutto ciò. Voleva viaggiare alla scoperta del mondo e adesso voleva sapere tutto su quel drago. Fin dalla tenerissima età, il giovane aveva respirato l’eco della leggenda, un frammento narrativo senza epilogo, avvolto nel mistero. Ogni giorno, si interrogava sull’impresa del cacciatore, sul segreto della sua vittoria contro l’implacabile drago. Talvolta, nel bosco silente, mentre l’ascia fendeva la legna, la fantasia lo rapiva: tra le mani, non sentiva il peso del ferro, ma vibrava l’energia della lancia divina, l’arma forgiata per la gloria. Ormai era come una favola della buonanotte e nonostante sentisse sempre e solo la stessa parte della storia a lui bastava per essere felice.
Anche il nostro protagonista era un ragazzo di sedici anni, occhi verdi e capelli castani. Tanto testardo che quando si metteva un’idea in testa non lo fermava più nessuno. Sempre con la bandana sulla fronte, portava con sé il ricordo di suo padre, morto in una tempesta in mare quando lui aveva solo cinque anni. La nave, gli raccontarono, andò a schiantarsi su un’isola sperduta e il suo corpo non fu mai ritrovato; si narra che la marea se lo fosse portato via. Il suo ricordo, un’immagine sbiadita, lo abbandonò troppo presto. La sua assenza, un vuoto incolmabile, fu lenita dalla presenza imponente del nonno. Un legame indissolubile, forgiato dall’amore e dal rispetto, che illumina il suo cammino e lo spinge verso orizzonti inesplorati.
I giorni passavano ma il giovane tempestava il nonno di richieste per conoscere la fine del racconto.
«Andiamo, nonno! Deve esserci un continuo di questa storia!»
«Ascolta, io purtroppo non lo conosco, ma poiché è diventata una tua vera e propria ossessione, ti svelo l’unica cosa che so. Il manoscritto che narra questa leggenda è racchiuso nel castello del re, nell’isola di Torba e chiunque può leggere l’intera storia. Se ti ci portassi, prometti di non molestarmi più con le tue domande?» domandò il nonno.
«Certo che sì! Lo prometto!» urlò Edward, saltando dalla gioia.
«Va bene, calmati adesso. Vado a chiedere a un mercante di mia conoscenza se possiamo recuperare un passaggio.»
L’isola di Torba, fulcro vibrante del continente di Solania, custodiva la reggia del Sovrano, faro di potere sull’intero reame. La sua capitale, Tortuga, cinta da mura imponenti, irradiava vitalità grazie a un mercato tentacolare che si estendeva fin nelle isole più lontane. Lì, nel santuario del re, era custodito un manoscritto leggendario, scrigno di un passato glorioso. Come un tempio, attirava genti da ogni dove, assetate di storia e di meraviglia. Per Edward, cresciuto con il nonno sull’isola di Abey e mai allontanatosi dalla sua terra, ogni cosa assumeva il fascino della scoperta. Nel cuore del villaggio, invece, la leggenda del drago aleggiava come un’ombra incantata, avvolgendo ogni cuore in un’aura di mistero e magia. La fiamma del racconto ardeva vivida nella sua mente, soprattutto da bambino, quando il nonno, con la voce roca e rauca, gli narrava delle gesta dell’uomo in cerca del drago. La notte, avvolto nelle coperte, Edward sognava di volare sulle ali di un’aquila, sfidando le tempeste e i pericoli del mare, per raggiungere l’isola di Torba, luogo mistico dove la storia del drago doveva trovare il suo epilogo.
Che fosse realtà o fantasia, la speranza di Edward bruciava come un fuoco sacro nel suo petto. Il desiderio di scoprire il destino dell’eroe, se avesse mai affrontato il drago, se avesse trovato la sua vendetta, lo divorava come un’insaziabile sete. Il mare, sinora sconosciuto, gli appariva come un immenso tappeto blu, pronto a condurlo verso una destinazione ignota. L’idea di partire da casa, di avventurarsi oltre l’orizzonte non lo spaventava, anzi, lo inebriava con un’emozione potente, come l’odore di terra bagnata dopo un temporale. La leggenda del drago non era solo una storia, ma un invito a cercare, a scoprire, a esplorare.
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