Ricordo ancora con molta chiarezza la sensazione che provai quel giorno mentre passeggiavo lungo la spiaggia. Percepivo qualcosa che in realtà non riuscivo a definire, ma che assomigliava molto ad un senso di inquietudine. Accanto a me bambini sorridenti correvano velocemente sul bagnasciuga schizzandomi con spruzzi d’acqua che sollevavano con i loro piedini scattanti.
Noncurante della loro presenza procedevo lentamente osservando le orme che i miei piedi lasciavano sulla sabbia fino a scomparire all’arrivo delle onde.
L’unica cosa a cui continuavo a pensare, era alla conversazione che avevo avuto nella mattinata con mio marito Giorgio in merito ad alcune stranezze comportamentali di mio padre.
«Mamma, guarda cosa so fare! Mamma, hai sentito?» Quella vocina che proveniva dal mare mi riportò alla realtà. La piccola Noemi era in acqua e stava in piedi su una tavoletta da surf giocattolo che suo padre si preoccupava di tenere ferma sotto le sue possenti braccia per evitare che venisse trasportata dalle onde.
«Si amore, scusa ma ero distratta. Fammi vedere!» La piccola si lanciò senza esitare tra le onde e dopo poco riemerse stropicciandosi gli occhi con i pugni delle sue manine per alleviare il bruciore dell’acqua salata.
«Wow che tuffo meraviglioso!» Noemi ricambiò il mio complimento con un sorriso raggiante. Mentre accarezzavo il mio pancione, pensavo a come fosse beata quell’età spensierata, in cui l’unica preoccupazione della giornata potesse essere a quale attività giocosa dedicarsi. Ero al mio quinto mese di gravidanza e aspettavo un’altra bambina.
Era l’estate del 2011 e come tutti gli anni, insieme alla mia famiglia, decisi di trascorrere qualche giorno di vacanze nella casa dei miei genitori Elena e Giovanni. Un’occasione per ritrovarsi anche con mio fratello Filippo che vive a Milano da diversi anni. Quell’anno, a seguito della gravidanza, avevo preferito trascorrere l’intero periodo di ferie con loro per godermi la tranquillità e la monotonia del luogo. Erano quasi quarant’anni che i miei possedevano quella casa acquistata con tanti sacrifici. Si erano innamorati di quel paesino affacciato sul mare la prima volta che ci avevano soggiornato durante le vacanze estive.
Ricordo il primo giorno in cui ci entrammo: era Giugno del 1979, avevo otto anni ed ero in compagnia dei nonni materni e di mio fratello. I miei erano rimasti a Torino per esigenze lavorative e ci avrebbero raggiunti ad agosto per le ferie. Molte parti dell’appartamento erano ancora da rifinire, il box da piastrellare, e la facciata da intonacare. Non c’erano arredi, armadi, letti, infatti i nonni avevano acquistato brandine per dormire e gli abiti rimasero per tutta la durata delle ferie dentro le valige. Una vecchia lavatrice, un piccolo frigorifero e una vecchia cucina a gas con due fornelli erano gli elettrodomestici che erano riusciti a procurarsi, alcuni imprestati altri invece acquistati di seconda mano in un mobilificio locale. Si soggiornava nel disagio, sembrava più di una specie di bungalow di grosse dimensioni con bagno piuttosto che un appartamento, ma Filippo ed io ci sentivano felici ed elettrizzati.
La campagna circostante e l‘assenza di strade trafficate ci faceva sentire liberi. Trascorrevamo la maggior parte del tempo all’aperto spesso coperti unicamente dal costume da bagno e senza scarpe; un lusso che in città non potevamo sicuramente permetterci. Sentivamo che fosse un vantaggio poter lasciar correre libero lo sguardo e in qualunque direzione scorgere frutteti, vigneti e lunghe distese di campi coltivati. Di notte bastava uscire sul balcone alzare gli occhi al cielo per ammirare una quantità immensa di stelle che in città non eravamo mai riusciti a scorgere neppure nelle nottate più terse.
Con il passare degli anni gli impegni scolastici e in seguito lavorativi, non consentirono più vacanze così lunghe, ma era diventata una consuetudine ritornarci con la propria famiglia e trascorrerci qualche giorno per ritrovare vecchi amici e rivedere luoghi cari d’infanzia.
Feci cenno a Giorgio che mi sarei recata sotto l’ombrellone per godermi un po’ di ombra in quella calda giornata afosa.
Presi il quotidiano che Giorgio abitualmente acquistava e con aria annoiata iniziai a sfogliarlo con l’intento di leggere gli avvenimenti della giornata. Dopo la seconda pagina lo richiusi, lo lanciai sullo sdraio e sospirando portai le mani dietro la nuca rivolgendo lo sguardo verso il mare.
Avevo un tarlo nella testa e il mio pensiero tornò alla conversazione del mattino…
«Paola, ti devo parlare di una questione che riguarda tuo padre», disse Giorgio con aria seriosa e piuttosto preoccupata.
«Mentre tu facevi il bagno con Noemi, l’ho osservato mentre ritornava all’ombrellone; mi è sembrato molto disorientato quasi come se non sapesse dove si trovasse. Poi si è fermato un attimo, ha ripreso a camminare, è passato accanto a me con uno sguardo assente ed è andato oltre, nonostante fossi davanti a lui!».
Sorrisi e guardai con tenerezza mio marito.
«Giorgio, dopo diversi anni dovresti sapere com’è fatto mio padre! Lo sai che spesso è distratto, con la testa tra le nuvole. Io non mi preoccuperei più di tanto per un evento del genere.»
«Io invece credo che dovremo prestare attenzione ai suoi atteggiamenti perché non mi sembra proprio un comportamento normale!».
Rimasi colpita dal tono imperativo di Giorgio che sembrava volesse rimproverare la mia leggerezza e rimasi immobile mentre lo osservavo allontanarsi dall’ ombrellone per raggiungere nostra figlia.
La piccola Noemi, nel frattempo era intenta a trasportare faticosamente con entrambe le manine un secchiello stracolmo di acqua che sbordava da tutte le parti.
Istintivamente mi alzai dal lettino come per scacciare dalla testa le parole di Giorgio e volsi lo sguardo verso il lungomare. Il riflesso del sole sull’acqua e il dolce suono delle onde strideva con il fragore del mio turbamento. Posai la mia attenzione sulle persone, osservando i loro visi, le espressioni, i gesti.
Una coppia di anziani passeggiava a piedi nudi sul bagnasciuga, la moglie indossava un cappello di paglia in testa e camminava sollevando con cura il suo prendisole per evitare che un’onda improvvisa lo lambisse. Il marito era accanto a lei con le braccia dietro la schiena. Il suo sguardo era attento e chino in avanti come se cercasse qualcosa in mezzo alla sabbia.
Sorrisi per un attimo perché la sua espressione buffa ricordava molto quello di una gallina che cerca nella terra semi da beccare.
Due bambini schiamazzavano e litigavano per contendersi una paletta per scavare una buca. I loro toni diventavano sempre più accesi fino a quando non intervenne una signora anziana, probabilmente la nonna, che con modi garbati riuscì a ristabilire un equilibrio arrivando ad una contrattazione.
Mi piace osservare la gente, scrutare piccoli gesti o espressioni perché spesso mi conducono a fare delle riflessioni. Ma in quel momento l’unica cosa che percepivo era la spensieratezza di coloro che mi stavano intorno. È veramente strana la mente umana, si pensa sempre che gli altri abbiano una vita più facile rispetto alla nostra, più agi, benessere, un lavoro più interessante meglio remunerato e che godano di una salute migliore.
Una mamma in riva al mare, dimenandosi con le braccia, chiamava con insistenza suo figlio che non voleva saperne di uscire dall’acqua. La sua voce squillante mi distolse dai miei pensieri e istintivamente guardai l’orologio. Era la mezza e con un gesto con la mano cercai di richiamare l’attenzione di Giorgio e di mio padre che erano in acqua con la piccola Noemi.
I momenti del rientro a casa dalla spiaggia erano sempre molto stressanti, normalmente Noemi diventava nervosa perché stanca della mattinata trascorsa al mare. Raccogliere le borse, i giocattoli e infilarli nell’ enorme sacco di rete sotto il sole nelle ore più calde era devastante. Giorgio iniziò ad incamminarsi verso l’auto mentre Noemi cercava di infilare i piedini nelle sue ciabattine semi sepolte dalla sabbia.
«Ci siamo? Avete preso tutto?» Chiesi.
«Si» rispose con aria esausta mio padre mentre allungava il braccio verso la piccola per prendergli la mano prima di incamminarsi verso la macchina.
Nonostante l’aria condizionata sparata al massimo, la temperatura interna dell’auto sfiorava i 40° gradi e l’aria era irrespirabile. Noemi piangeva e si irrigidiva come uno stoccafisso per evitare di farsi allacciare al seggiolino rovente mentre Giorgio con la forza cercava di farla sedere per agganciarle la cintura.
Iniziò un gioco di forza, sembrava alle prese con una valigia stracolma che non si riesce a chiudere neppure saltandoci sopra; alla fine rinunciò e Noemi rimase seduta in braccio al nonno per tutto il tragitto.
Mi sentivo stanca, il peso della gravidanza iniziava a farsi sentire. Sentivo la pelle del viso tirare. Abbassai l’aletta del parasole e attraverso lo specchietto osservai le guance che apparivano arrossate dalla troppa esposizione. Istintivamente, attraverso lo specchio, rivolsi il mio sguardo vero mio padre seduto sul lato sinistro del sedile posteriore e regolai con la mano l’aletta del parasole in maniera tale da osservarlo da una angolatura migliore. Appariva sereno e rilassato mentre raccontava qualcosa di divertente a Noemi che rideva in maniera esplosiva come solo i bambini sanno fare.
Abbassai il finestrino per fare uscire l’aria stagnante e mentre assaporavo l’aria fresca che mi accarezzava il viso, ripensai alle parole di Giorgio e decisi che per il momento sarebbe stato meglio non dare troppo peso all’accaduto e non lo raccontai a nessuno.
sanseverinosara (proprietario verificato)
Un arcobaleno di emozioni questo libro di Gabriella Pedata. Davvero toccante. Mi ha fatto commuovere diverse volte.
Il suo modo di scrivere fa vivere molto da vicino quello che vivono i familiari dei malati di Alzheimer, e allo stesso tempo, arriva tanta forza, coraggio, determinazione e infinita pazienza e compassione.
Grazie per aver portato a testimonianza questa realtà di cui si conosce pochissimo. Grazie per averlo fatto mettendosi a nudo con il cuore aperto.
chiserg
Un libro ben scritto deve far sentire il lettore presente ai fatti, cosa riuscita perfettamente all’autrice: il film dei fatti scorre davanti agli occhi di chi legge.
Capitolo dopo capitolo si recepiscono perfettamente stati d’animo, pensieri, sensazioni e sentimenti di tutti i personaggi, permettendo al lettore di immergersi nel vissuto di ognuno di loro.
Inoltre viene anche indicato, tramite le vicende descritte, quali possono essere le possibili risposte alle situazioni create da questa malattia, nonché dalle istituzioni preposte che, il più delle volte, invece di aiutare chi deve affrontare le conseguenti difficoltà, cercano in tutti i modi di scaricare le proprie responsabilità sui cari dell’ammalato.
Libro a mio avviso da leggere anche per chi fortunatamente non è stato sfiorato in nessun modo dall’Alzheimer.
Complimenti all’autrice.
mauro antonaci (proprietario verificato)
Ho letto la bozza tutta d’un fiato: è davvero un pugno nello stomaco, ma scritto molto bene sotto forma di diario molto scorrevole. Purtroppo, come immaginavo, mi sono ritrovato in molte delle situazioni relativamente a mia mamma, che attualmente assisto per problemi analoghi. Questo mi fa pensare che il libro sarebbe un buon modo per far conoscere alla gente in modo non “didascalico” cosa significa questo tipo di malattie per i parenti, principalmente, nel caso dovessero capitare in quella situazione. Non so però, francamente, quante persone vogliano vedere quel “film” senza essere già in una situazione analoga. Ma se qualcuno mi chiedesse di scegliere un libro per “preparare” un parente che si trovi nella stessa situazione di care-giving, e mi proponesse la scelta tra un testo strutturato o questo libro, penso che gli suggerirei questo, perchè l’aspetto più devastante che i libri didascalici spesso non raccontano è proprio la reazione progressiva dei parenti, l’iniziale negazione, il rendersi conto piano piano che la razionalità da un certo momento in poi non è più un’arma utilizzabile, la necessità di gradualmente prendere un atteggiamento talvolta anche irrazionale nel rapportarsi col parente, inscenando talvolta anche finzioni , la necessità di sopprimere il rancore derivante da un atteggiamento del paziente che a volte sembra essere ostile a chi magari si sta svenando per aiutarlo… tutte cose che dal libro emergono benissimo e in modo naturale. Tutto il resto, le parti mediche, si imparano strada facendo.
E comunque questo, in fondo, è un libro a lieto fine, in un certo qual modo: infatti è il caregiver il vero protagonista della storia. In questi casi egli ha una scelta tra due sole opzioni: farsi travolgere e soccombere in vario modo anche lui, oppure reagire con lucidità e tenacia, fare del suo meglio, ricordandosi che per poter essere utile al paziente deve però preoccuparsi anche di se stesso. E spesso in questo compito, che è forse la parte più difficile, si è davvero soli….
gepinoceparano
Libro coinvolgente che si legge velocemente, scritto usando un linguaggio semplice non scientifico, dato importante visto il tema trattato, avvicinando il lettore senza rischiare di perderlo. Lo consiglio.
Antonio Ceparano (proprietario verificato)
È un libro che lascia il segno e fa riflettere su un tema importante e delicato; è altresì ricco di emozioni e commovente..lo consiglio vivamente…
Roberto Canavero
E’ molto importante fare rete, per proteggere e aiutare le persone che vivono direttamente questo stillicidio…Questo Libro è una lucina che si accende e, man mano che la lettura prosegue, brilla sempre di più.
sabrina Franceschelli (proprietario verificato)
Straziante … commovente … perfino divertente … un racconto che fa’ riflettere sulla malattia e le sue problematiche .. una storia raccontata con amore e sensibilità in cui ti ci puoi facilmente proiettare. Accattivante.
sabrina Franceschelli (proprietario verificato)
Straziante … commovente … perfino divertente … un racconto che fà riflettere sulla malattia e le sue problematiche .. una storia raccontata con amore e sensibilità in cui ti ci puoi proiettare facilmente. Accattivante.
pugliese.isabella1945 (proprietario verificato)
Questo libro racconta il delicato rapporto tra la malattia e la famiglia, nonché, in maniera amorevole, le varie fasi della malattia: dalla negazione, alla vergogna, alla rabbia, all’accettazione/rassegnazione di vedere scomparire la persona di prima, e la fatica di accettare la nuova persona. Alcuni episodi potrebbero addirittura suscitare ilarità se non fosse per il fatto che si sta leggendo un libro su una persona distrutta dalla malattia. Ma il libro racconta anche delle battaglie burocratiche e dell’indignazione verso certe pratiche “di assistenza”. Ma soprattutto il libro racconta di come il malato, sebbene non riconosca più i propri cari, tuttavia, riesce ad entrare in un contato affettivo con loro attraverso altri canali… sconosciuti. La malattia porta via tutto con sé, ma la capacità di percepire l’amore e di donarlo non viene intaccata.
Gabriella Pedata
Ciao, grazie molte per il riscontro positivo. Il libro nasce proprio con l’obiettivo di aiutare i caregiver a sentirsi meno soli e isolati. Lo stile del libro è volutamente romanzato per rendere la lettura più scorrevole e leggere.
Cesare Aronica (proprietario verificato)
Molto interessante e di piacevole lettura. Ne ho ordinate 2 copie: una per me e mia moglie e l’altra copia la regaliamo ad una nostra amica che sta affrontando con la propria madre il problema dell’Alzheimer