Introduzione
Questo libro nasce dopo mille pensieri, aneddoti ed esperienze vissute da vent’anni a questa parte con la fauna selvatica.
Fin da piccola, la mia più grande passione sono stati gli animali, la natura, l’ambiente.
Ogni giorno, in campagna, a casa della nonna Nelda, era una scoperta: dalla piccola lucertola stesa al sole, alla rana nello stagnetto, all’ape sul fiore.
Ogni singolo giorno tornavo a casa dalla passeggiata con un nuovo “amichetto”.
I gattini raccolti in giro erano i miei compagni di gioco (non per niente la mia nonna in paese era conosciuta come “la nonna micia”, ed era all’ordine del giorno ritrovarsi in giardino gattini di tutte le età).
Crescendo è arrivato il primo cane, Furia, poi Falco, per arrivare a conigli, criceti, furetti e al mio amato Calimero, un bellissimo e furbissimo merlo indiano, talmente furbo da prendere in giro tutti in casa, imitando alla perfezione la mia voce.
Insomma, non ricordo un giorno da cinquant’anni a oggi senza un animale come compagno di giochi.
Fino al fatidico giorno in cui ci fu un incontro con un piccolo uccellino saltellante ritenuto erroneamente in difficoltà e portato a casa con l’intenzione di aiutarlo.
Partendo da lì arriviamo a oggi!
Da più di venticinque anni, ormai, mi occupo di recuperare, aiutare, curare e svezzare animali selvatici di ogni genere, ritrovati, consegnati da segnalanti o tramite il corpo di polizia provinciale di Brescia, con cui da anni collaboro.
Animali selvatici con caratteristiche, peculiarità e comportamenti più disparati possibili.
Questo libro nasce con l’intenzione di appassionare il lettore, far conoscere queste creature e soprattutto far capire come ci si deve comportare per aiutarli concretamente senza mai perdere di vista il bisogno primario e naturale che li contraddistingue: la libertà.
Continua a leggereRiccardo,
piccione dispettoso
«Buongiorno, parlo con Caterina? Salve, scusi il disturbo, mi ha dato il suo numero di telefono la signora X. Ho trovato un piccolo uccellino in difficoltà, che non vola, vicino al marciapiede ma non so proprio cosa fare.»
Da qui parte la prassi ormai consolidata in anni di esperienza.
Primo step: chiedo una fotografia per sincerarmi di quale tipo di uccellino si tratti realmente e chiedo alla mia interlocutrice di mettere l’animale in sicurezza in una scatola di cartone opportunamente aerata, al buio (non usare mai gabbie, in quanto il selvatico, agitandosi, rischia di ferirsi ulteriormente con le maglie della gabbia).
Arriva la foto: eccolo qui, un “bruttissimo” pullotto di piccione di circa una settimana.
Bruttissimo, vi starete chiedendo il perché. Perché appena nati sono tozzi, sgraziati, ridicoli con quel piccolo “tupet” giallo canarino e quel cinguettio petulante.
Ci accordiamo per il recupero e in tre, due, uno… ecco il mostriciattolo urlante arrivare a casa!
Così ha inizio il solito tran tran di “spipettate” giornaliere (fortunatamente per me con mio riposo notturno in quanto tutti i volatili di notte non mangiano), non prima di averlo opportunamente riscaldato (fornire cibo è l’ultima opzione, prima va scaldato, perché alimentare un animale ipotermico equivale a ucciderlo), riposto in un “ovetto” con sotto una boulle di acqua calda e carta scottex (la carta è un piccolo accorgimento che ci permette di tenere l’animale bello pulito e poter osservare le feci che rappresentano un grande indicatore dello stato di salute dell’animale).
Per circa trentacinque giorni il piccolo è stato alimentato con un pastoncino apposito per uccelli granivori, tre o quattro volte al giorno con una siringa senza ago (specifico a causa di brutte esperienze), per poi passare successivamente all’imbeccata con semini di misura piccolissima seguiti da acqua per evitare la stasi del gozzo (ristagno di cibo indigerito nel gozzo che può portare alla morte del piccolo).
L’esperienza con i piccioni cambia ogni volta ma possiamo senza dubbio affermare che sono uccelli con una spiccata intelligenza.
Si pensi solo che a differenza di tutti gli altri volatili, non aprono il becco per ricevere l’imbeccata dai genitori, ma al contrario infilano il loro tozzo becco nel gozzo del genitore da cui aspirano il cosiddetto “latte del gozzo” o “latte di piccione”.
Nonostante questa loro peculiarità, nel giro di ventiquattro o quarantotto ore sono in grado di aprire il becco per ricevere la tanto agognata siringa di pappa (in pratica andando contro la loro naturale abitudine).
Ma torniamo a noi.
Il piccolo mostriciattolo cresceva a vista d’occhio, fino al fatidico giorno in cui… Errore mio? Movimento suo? (I piccioni sono rinomati per agitarsi come ossessi quando arriva l’imbeccata, in un modo goffo e scoordinato, sbattendo le ali, pratica che io chiamo “fare l’emozione”) C’è stata la rottura di una sacca aerea del gozzo ed è spuntato un rigonfiamento simile a un palloncino a lato del collo.
Panico, terrore, ansia… e adesso?
Con molta calma, copertura antibiotica e supporto veterinario, per circa dieci giorni l’ho alimentato prestando particolare attenzione e usando molta delicatezza, fino al riassorbimento di questo “palloncino”.
Scampata la rottura della sacca aerea, il piccolo ha continuato a crescere a vista d’occhio, ma nonostante tutto non accennava minimamente a voler iniziare ad alimentarsi autonomamente.
E qui la seconda caratteristica peculiare: i piccioni, come già detto, sono furbissimi e opportunisti, oserei usare il termine umano viziati, infatti anche da adulti continuano a cercare l’imbeccata ogni volta che hai la malaugurata idea di passargli davanti!
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