– No.
– Mettono a disposizione un pacchetto di esami medici gratuiti.
– Uhm, uhm.
– Zitta un attimo! Sono in curva con il deposito telematico di una conclusionale che mi scade oggi.
– Tu sempre all’ultimo momento ti riduci. Ma come fai? Io non dormirei.
– Infatti non dormo. Ecco fatto. Invio perfezionato, arrivata terza pec. Che dicevi? Cosa fa Cassa Forense? Ci abbona la quarta rata dei contributi di settembre?
– Pensa per te! Se non sto male, perché devo andare a stuzzicare il cane che dorme? Chi cerca trova, non lo sai? Aperitivo?
Mi chiamo Maria, per gli amici Mery (con la “e”) sono una avvocata di sessanta anni, simpatica, bella presenza, piena di interessi e di amici, soprattutto amiche, quelle che restano, e ci sono sempre. Gli uomini vanno e vengono e non si trattengono. La calamita per i disadattati ce l’ho io. Per strani intrecci del destino vivo ormai da trentaquattro anni a Terni, la città dei miei genitori; la mia prima vita, invece, è trascorsa in riva al mare a Marina di Massa, alta Toscana, quasi Liguria. Il mare mi manca ancora come l’aria, appena posso fuggo e torno alle mie radici. Là ogni angolo di via mi è familiare, l’orizzonte si apre davanti ai miei occhi, lo sguardo si perde tra l’isola del Tino e la Palmaria, e dietro le Alpi Apuane mi proteggono le spalle. Sembra una culla la mia Marina. Il profumo del salmastro mi insegue in ogni angolo.
Non ho marito, compagni o figli. Il destino ha scelto questo per me. Non ho fratelli né sorelle. I miei genitori, ovvero i miei soldatini, come li chiamava la mia cara amica Cri (la vita con lei non è stata generosa: a trenta anni, un’emorragia celebrale le ha “complicato” l’esistenza, per usare un eufemismo), non ci sono più da anni. Raccontata così sembro la “piccola fiammiferaia”, fortunatamente, però, la mia vita non è una tragedia greca, è piena di affetti, e sto sempre in giro come i fiaschi rotti. Non è vero che i veri amici si contano sulla punta delle dita di una mano, dipende da quanto sei generoso, da quanto sei disposto a dare e, forse, anche da un pizzico di fortuna. La storia che sto per raccontare è la dimostrazione che a me non bastano le dita delle due mani. Il mio karma è l’amicizia, quella tutta al femminile.
LA RUOTA INIZIA A GIRARE
Venerdì 7 luglio
Dopo pranzo, buttata sul divano di casa, sto aspettando Renata, collega di Cassino, conosciuta durante i congressi dell’avvocatura in giro per l’Italia. E’ una ganza. Divorziata, due figli, corre come una matta tra casa, studio e cane, e non vuole arrendersi ad una vita piatta, sacrificata sull’altare del dovere. Come me, sta arrivando alla conclusione che gli uomini sono più un impiccio, che un aiuto. Ci siamo annusate e riconosciute subito come anime affini, durante un convegno a Pescara, quattro anni fa, anche se lei, per mesi, ha continuato a sbagliare il mio nome chiamandomi Luciana. Ora è in arrivo, dopo aver discusso un processo in cui difende una donna oggetto di maltrattamenti in famiglia. Stasera c’è il concerto di Bob Dylan a Perugia. Abbiamo acquistato i biglietti sei mesi fa. Con Renata, appena c’è uno spettacolo che ci piace, ci organizziamo e partiamo. Mentre attendo, ripenso a quello che mi ha detto Giovanna, la collega di studio, l’altro ieri, a proposito di una convenzione di Cassa Forense: un “pacchetto salute”, che mette a disposizione, gratuitamente, alcuni esami clinici. C’è una app. Cerco. La trovo. La scarico. Mi arrovello a cercar di capire quali siano gli accertamenti gratuiti e quali quelli a pagamento. Non capisco. Sbuffo. L’istinto è quello di lanciare il telefono e mettermi a sonnecchiare. Poi, come un flash, penso a Sonia. Sonia è una architetta di Palermo, ci siamo incrociate una trentina di anni fa grazie ad un’amica comune. Quante ne abbiamo combinate insieme. Una su tutte: un ferragosto in una villa vista Tellaro, piena di soggetti appartenenti all’alta società milanese. Li abbiamo ubriacati tutti a forza di tequila bum bum. Alle quattro del mattino eravamo in mare completamente vestiti. Non volevano più mandarci via. Ci credo! Una botta di vita gli abbiamo regalato! Cosa dicevo? Ah sì, Sonia. Era un po’ che non la sentivo, e qualche settimana fa, le ho telefonato.
– Sonia ma che combini? Sei sparita!
– Maria mia, non puoi capire cosa mi è successo! Stavo per morire!
– Ma che dici? Sei impazzita?
– Ti ricordi Melissa, quella mia amica morta all’improvviso nel sonno, questo inverno?
– Si certo, un infarto, mi pare…
– Brava, lei. Beh ho cominciato a sognarla. Insistentemente. Mi diceva di andare dal medico, subito! Una volta, due, tre, alla fine ho capitolato. Per fartela breve, dopo due settimane ero al San Raffaele a Milano. Coronarie ostruite al settanta per cento. Non avevo alcun disturbo. Stavo per lasciarci le penne!
Ho il colesterolo alto, prendo le statine. Dalla parte del mio babbo sono tutti morti per malattie coronariche, anche lui, quella mattina di diciotto anni fa. Babbo te ne sei andato in poche ore. Emorragia massiva al cervelletto. Ricordo ancora la tua mano protesa verso di me, mentre eri a terra nel bagno di casa. Gli occhi spalancati, pieni di terrore. Non riuscivi più a parlare. Io sdraiata per terra stringevo quella mano. La baciavo e la accarezzavo. “Babbo ti prego non mi lasciare. Non sono ancora pronta”. Ma non si è mai pronti per la morte di un genitore. Non sarà mai il momento giusto. A nessuna età. Questo ho scoperto sulla mia pelle.
Mi scuoto, quel ricordo ancora mi toglie il fiato. Respiro profondamente. Asciugo le lacrime. Devo fare dei controlli. Riprendo la app salute di Cassa Forense. Smanetto e trovo che tra gli esami gratuiti c’è l’ecocolordoppler ai tronchi sovraaortici. Bene. Clicco. Prenoto, e già che ci sono, seleziono pure una bella RX al torace. Si vedrà con i raggi se ho qualcosa al cuore, no? Credo. Spero. Boh. L’appuntamento mi viene dato dal centro medico convenzionato il diciotto luglio, ore quindici e trenta. Sono orgogliosa di me. Suona il citofono. Renata è arrivata. Umbria Jazz ci attende.
Martedì 18 luglio
“Tattarà, tattarà”…suona la sveglia sulle note di “Ma come fanno i marinai” di Dalla e De Gregori ed io, ogni mattina, mi domando: ma come faccio ad alzarmi? Mi sono addormentata da poche ore. Improvvisamente, sono scoppiati quaranta gradi e la Conca ternana si è trasformata, nella notte, in una grande comune, tipo quelle hippy degli anni sessanta. Tutti con le finestre spalancate, alla ricerca di quel refolo di vento che non arriverà mai. In compenso, si sentono i gemiti e il russare dei vicini fino a tre piani di distanza. C’è anche chi si butta a dormire sul terrazzo in mutande, alla fine non capisci più se ti addormenti per sfinitezza o se svieni per disidratazione.
Ho già l’ansia a palla. Nel pomeriggio, ho l’appuntamento per l’ecocolordoppler ai tronchi superiori e per i raggi ai polmoni. Ancora non mi è chiaro come si svolgerà questo ecocolordoppler. Mi inietteranno qualcosa in vena? Speriamo di no, potrei svenire all’istante. Mi passeranno una sonda lungo le braccia e il collo? E i vasi sanguigni intorno al cuore come faranno a vederli? Mah. Per vergogna non ho chiesto nulla a mio cugino Alvaro (cugino da parte di mia mamma, figlio di uno dei cinque fratelli, zio Quinto), che è anche il mio medico di famiglia, ma in questo modo l’ansia mi porta via. Sono le nove, e fuori ci sono già trentasei gradi. Ho provveduto a barricare casa come se dovesse scoppiare una guerra nucleare, ho sigillato tutte le finestre dopo averle tenute aperte per tutta la notte, fregandomene di zanzare e gechi che così entrano ed escono dall’appartamento come se fosse il loro rifugio. Ma perché non ho aspettato l’autunno a fare questi accertamenti? Neanche stessi male. Io e la mia frenesia. E se venisse fuori qualche risultato “strano”? E se dovessi fare, poi, degli ulteriori esami? E se per via di queste linee guida, ormai regnanti in medicina e, soprattutto, in giurisprudenza, mi ritrovassi dentro una “ruota del criceto”, a cui non puoi sottrarti, perché i medici ti fanno un terrorismo psicologico che ti inchioda al muro? E passi da un accertamento all’altro come se non ci fosse un domani? Io il sette agosto devo partire per Marina di Massa, il mio buen retiro. Non concedo deroghe al mio periodo di vacanza da trascorrere adagiata sul lettino in riva al mare, al Bagno Franca, dove vado dal lontano 1977, neanche cascasse il mondo. Santo cielo! Ho quasi la tentazione di disdire tutto! “Falla finita! Paranoica!”. Ecco la voce dell’altra Mery, quella razionale, che usa sempre il cervello, che cerca di tenere a bada quella impulsiva e catastrofica. Okey, okey, smetto. Il dado è tratto, nel pomeriggio mi toglierò il pensiero e andrò al centro medico. Ora mi aspetta l’Agenzia delle Entrate. Trascrizione di un decreto di trasferimento di un immobile venduto all’asta in tribunale, sono custode e delegato alle vendite. Speriamo che la nota predisposta vada bene. Ogni volta, si resta con il fiato sospeso fino a che il conservatore non proferisce la agognata frase: “Va bene”.
Non ho mangiato. Il decreto di trasferimento è stato accettato, ma il mio stomaco è chiuso. Mery, respira, come ti ha insegnato Fulvia in anni di yoga/pilates. Macché, la cassa toracica sembra compressa in una gabbia. Tra poco sarà tutto finito, dai! Prendo la macchina. Alle tre del pomeriggio la temperatura ha superato i quaranta gradi. Mi maledico. Gli esami con questo caldo, che ti ha detto la testa! Arrivo alla struttura medica con un po’ di anticipo. Dentro ci vorrebbe il maglione di lana a collo alto. Ci saranno diciotto gradi. Mi ammalerò davvero. Mi dirigo allo sportello, mi presento. Vorrei aggiungere: “Sono quella insensata che ha deciso di vedere se ha placche sclerotiche in giro, in piena estate”.
L’impiegata ci mette un carico da undici.
– Dovrà sottoporsi ad un intervento?
– Ma chi? Io?
– Mi scusi. Stanza in fondo a destra. La attende la dottoressa Spera.
Devo averla spaventata. Il tono della voce mi è salito di due ottave e ho spalancato gli occhi come un lemure del Madagascar. Istintivamente, ho anche fatto un paio di corna sotto il banco dell’accettazione.
– Buonasera.
– Buonasera, dottoressa.
– Come mai fa questo controllo?
– Me lo passa gratis Cassa Forense (ma perché non vi fate gli affari vostri? Penso).
– Ah! Disturbi?
– In che senso?
– Sintomi particolari. Crampi, sudorazione…
– Senta, ho scelto questo esame, perché nella famiglia del mio babbo sono tutti morti “così”.
– Così, come?
– Infarti, ictus, emorragie celebrali, e siccome io ho il colesterolo alto, ho pensato di andare a dare una guardatina.
– Ho capito. Ha fatto bene. Fuma?
– Mai passato neanche per l’anticamera del cervello.
– Brava. Si accomodi sul lettino e si stenda.
Mi guardo intorno. Cerco di capire se sta per iniettarmi in vena qualcosa. Sto sudando freddo. Poi vedo che prende un cilindro, attaccato ad un filo. Sembra l’attrezzetto con cui l’estetista ogni tanto cerca di spianarmi un po’ di rughe. Mi tranquillizzo. Capisco che si tratta di una semplice ecografia. Ma chiamatela ecografia alle carotidi! Il tempo di rilassarmi che parte un rumore inquietante. Sembra lo sciacquone del bagno. Ad intervalli regolari. Scrrr, scrrr, scrrr.
– Cosa è, dottoressa? Il battito del cuore?
– No, E’ il sangue che passa nell’aorta.
– Porca miseria! Che confusione!
– Buon segno. Sente come scorre bene?
– Se lo dice lei.
– Lo sa che ha due noduli alla tiroide?
Gelo. Nel momento in cui stavo per dirmi, Mery è finita, ecco la mazzata. Riesco solo a pronunciare due lettere, con la gola già secca.
– No.
Ma perché dottoressa Spera non ti sei fatta una carrettata di cavoli tuoi, e sei andata a vedere i noduli alla tiroide? Chi te lo ha chiesto? Stavo qui per le carotidi, e tu ti allarghi. Chi ti ha chiesto di passare quel “coso” sulla mia tiroide? Ti ho autorizzato io? Ho prestato il consenso? La dottoressa, ignara dei miei pensieri, sorride. Che c’avrà da ridere? Finché non avrò la certezza che sono benigni, d’ora in poi, ogni volta che passerò davanti ad uno specchio, mi fisserò il collo neanche fossi Dracula!
– Carotidi belle libere. C’è una piccola placchetta ma è vecchia, calcificata, che non intralcia il flusso del sangue. Poi ci sono questi due noduli alla tiroide. Le consiglio una ecografia e delle analisi per verificarne la funzionalità.
Ecco. Perfetto. Ti pareva che non veniva fuori qualcosa? Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo. Che ti costava rimandare tutto all’autunno? Sono già in preda al panico. Mi alzo, stringo la mano alla dottoressa “impicciona”, e vado a farmi i raggi ai polmoni.
– Salve. Sono Maria De Santis, dovrei…
– Si, si l’aspettavamo. Entri. Il motivo di questo esame?
In questo posto se non si impicciano non son contenti.
– Nessuno. Me lo passa gratuitamente Cassa Forense.
– Avvocato?
– Si, Avvocata (con la “a” finale).
– Certo, che ho detto?
– Niente, lasci stare (ci manca solo che gli attacco un pistolotto sul linguaggio di genere).
– Si tolga orecchini, collane, reggiseno. Tutto quello che ha di metallico addosso. E poi mi chiami.
– Ok. Pronta.
– Ammazza. Rapidissima!
Capirai, mi dovevo togliere solo un top. Sono andata preparata, avevo letto tutto un articolo in internet. In fila all’Agenzia delle Entrate, mi sono letta, su internet, per intero, un articolo su come ci si deve presentare per fare una radiografia. Il tecnico, un ragazzo giovane, mi sistema la lastra, mi dice di non respirare fino a che non me lo dice lui. Davanti, di lato. Respiri. Si rivesta. Fatto. Il referto domani.
Esco dal centro, e telefono immediatamente ad Alvaro, per dirgli dei due noduli alla tiroide.
– Alvaro! Ho due noduli alla tiroide!
– E chi non ce li ha? Ringrazia che ne hai solo due.
Lo prenderei a schiaffi. Sdrammatizza sempre, l’ho visto in difficoltà solo una volta, quando ha dovuto affrontare la fase terminale del tumore della mia mamma, la sua amata zia. L’ha vestita lui quando se ne è andata, con le lacrime agli occhi, bianco come la carta. Io ero impietrita dal dolore, e scuotevo la testa dicendo solo una parola: no, no, no, no, no. Ad ogni “no” scivolavo sempre più verso il pavimento, gli occhi fissi sulla foto del matrimonio, felice, con il babbo. Non pronuncerò più la parola “mamma”. Stunf, il cuore ha battuto un colpo a vuoto.
– Leggimi il referto.
– A destra area di patologia parietale calcifica…
– No, no, la parte dei noduli alla tiroide.
– Come reperto collaterale si segnalano noduli tiroidei. Si consiglia valutazione TSH reflex ed ecografia tiroidea.
– Va bene. Ti prescrivo le analisi del sangue per la funzionalità della tiroide, e poi vediamo. Ti mando la prescrizione sulla mail.
Arriva la richiesta, oltre alle analisi per il TSH ne ha prescritte altre. Una vagonata! Ma perché? Le avevamo fatte pochi mesi fa? Subito la testa parte. Non vuole dirmi che sono grave. Si Mery, sei grave, ma di testa. Telefono al numero verde per prenotare il prelievo. Disponibile c’è venerdì 21, o lunedì 24. Venerdì devo andare a Roma per un atto, nel primo pomeriggio. Se dovessi scoprire che ho “qualcosa”? No, no, le analisi facciamole lunedì, mi dovesse saltare il rogito! Per carità. Mi si è scatenata una fame da lupo mannaro. Entro in un bar, e mi prendo un toast.
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