Mentre percorrevano un viottolo al centro di un parco, Andrea si fermò, vicino ad un chiosco, chiuso.
“Ti posso chiedere come ti chiami?”, disse.
Lei lo guardò, dritto negli occhi. Poco lontano, in una panchina, uno sbandato dormiva sommerso da strati di cartone e vecchie coperte grigie.
“Certo”, rispose lei. “Vieni, ho bisogno di bere qualcosa”, dice, prendendogli la mano e tirandolo via.
Usciti dal parco, attraversarono la strada deserta, e si infilarono in un bar. Dentro, una ragazza truccata male, dietro il bancone parlava con un uomo
che beveva l'ennesimo bicchiere di pessimo vino rosso. Lui si gira appena per vedendoli entrare, poi incolla di nuovo lo sguardo umido sulla barista.
“Prego?”, chiede la ragazza, evidentemente contenta di spezzare il dialogo con l'uomo.
“Due vodka con ghiaccio per favore. Doppie”.
Andrea la guarda. “Non bevo vodka”, dice.
“Ti farà bene. Dobbiamo pensare.”
“A cosa? Non mi hai detto chi sei, come ti chiami. Hai sconvolto la mia giornata. Probabilmente hai sconvolto la mia vita. Non so chi sei.”
“Dobbiamo trovare un modo veloce di andarcene da qui.”, dice lei, svuotando il bicchiere.
La barista li guarda incuriosita e sorride.
“Me lo riempi di nuovo?”, poi, rivolta ad Andrea, “Hai promesso di aiutarmi.
Avrai le tue stupide risposte e molto di più. Te lo prometto. Ma, per ora, scusami ma, fidati di me!”, conclude.
Andrea sorseggia, sempre più confuso.
“Devo chiamare Luca. Dovevamo vederci per parlare del suo progetto. A
quest'ora avrà finito.”
“Chi è Luca?”
“Forse il mio unico amico qui. Cosa gli dico? Che ho mandato a puttane la mia carriera? Ancor prima di iniziarla? Per cosa?”, sussurra guardando negli occhi la ragazza.
“Ti prometto che si sistemerà tutto. Andiamo. Dobbiamo prendere un treno”, ordina lei.
“Un cosa? Devo andare a casa. Alex avrà fame. E' da stamattina che non mi vede”, biascica Andrea.
“Chi è Alex? Il tuo amico immaginario?”. La barista sorride, alle parole della ragazza.
“Alex è il mio gatto! Non posso lasciarlo così, da solo.”
“Chiama Luca. Digli di andare da Alex per qualche giorno. Sono sicura che ha le tue chiavi. Tu non puoi ancora tornare a casa”, dice, come se fosse una sentenza; poi tira fuori dei soldi e paga la barista.
“Grazie, sei stata molto gentile. Andiamo Andrea, portami alla stazione.”
I due escono di nuovo nella notte. Ha smesso di piovere. C'è silenzio, rotto dai cupi rumori della città in lontananza.
Andrea cammina, chiedendosi come la ragazza conosca il suo nome. Non sa bene cosa stia facendo, ma ha una strana sensazione. Forse sono stati gli anni di apatica e insoddisfacente vita che ha fatto fin'ora. Le delusioni, la vaga consapevolezza di essere in un tunnel grigio, di normali abitudini. Non sa chi sia la ragazza.
Ma questa sensazione di rompere gli schemi, di gettarsi in qualche modo alle spalle la mediocrità delle sue giornata, lo eccita. Gli sembra quasi di essere in un film, di scorrere le pagine di un libro avvincente. Sa che si pentirà, alla luce del sole, svegliandosi il giorno dopo (chissà dove?). E poi, c'è il suo profumo. Quei suoi occhi.
E' strano. Quando lo guarda si sente nudo, inerme, come se lei avesse il potere di scovare fin nel suo profondo. Eppure, con dolcezza. Certo, è la notte, la vodka, le emozioni. Tutte queste idee, questa magia, vengono dalla notte. Domani, tutto svanirà e sarà consapevole dell'enorme errore che sta facendo.
“Di qua, vieni. Non è la stazione principale, ma, se siamo fortunati, ci sarà
qualche treno che parte”, le dice prendendola per mano.
La stazione è deserta. Guardano gli orari. C'è un treno che passa fra meno di mezz'ora. E' partito da Milano, diretto a Genova.
“Sai,” dice Andrea, “alla metro. Era solo una scusa. L'orario. Li conosco bene”.
“Lo so”, risponde lei.
“Certo. Ovvio. Sai tutto. E io non so nulla!”
“Simona”, sussurra la ragazza, mentre si avvicina alla macchinetta per fare i biglietti.
Lui la guarda.
Le note di una canzone malinconica che parla di viaggi senza meta invadono la stazione, rimbalzando nelle fredde pareti. Lui sobbalza, distogliendo lo sguardo da lei.
“Il mio telefono.”, dice Andrea, tirando fuori il cellulare.” E' Luca”
“Rispondigli!”, gli ordina lei.
“Luca, ciao.”
“Dove sei finito?”
“Piccolo contrattempo. Non ti posso spiegare ora. Sto partendo. Devi andare tu a casa mia questi giorni. C'è un sacco di roba in frigo. E dai da mangiare ad Alex!”
“Ah?? Io odio Alex!”
“Non è vero. Dai, fidati.”
“Che sta succedendo Andre? Stai male? Perchè devi partire ora? A quest'ora!”
“Sto benissimo. Mai stato meglio”, dice Andrea guardando Simona. “Ti spiegherò. Non ti preoccupare. Ah, il colloquio l'ho saltato.”
“Come saltato?”
“Ti chiamo poi. Mi raccomando, il gatto!”
“Andre. Andreaa!”, Andrea chiude la chiamata.
Il silenzio ripiomba nella sala fredda e male illuminata. I due si siedono su una vecchia panca di legno. Dopo qualche minuto si sentono i passi di qualcuno. Simona alza subito lo sguardo, ansiosa. Si guarda attorno. Entra un uomo, con una folta barba. Barcolla un po. Sembra reduce da una lunga sosta al bar. Guarda i due di sfuggita, poi si siede anche lui in una panchina, in attesa. Ancora qualche minuto, e una voce annuncia l'arrivo al binario uno del treno per Genova.
“Andiamo”, ordina Simona.
I due si avviano verso il treno. La luna fa capolino fra i nuvoloni, curiosa e pigra.
Il treno arriva lento e rumoroso, si ferma cigolando fastidiosamente. Apre le sue porte per far scendere qualche passeggero assonnato. Il treno è lungo. L'uomo con la barba li raggiunge. Appena fuori si accende una sigaretta, armeggiando con l'accendino mezzo scarico. Simona lo guarda.
Una voce metallica annuncia l'arrivo del treno diretto a Milano.
“Saliamo”, dice lei.
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