PEDRO
Qualcuno ha preso quattro faretti e, trattandoli scortesemente, li ha appesi al soffitto dell’auditorium comunale. La luce cade a coni dalle pance rigate; uno colpisce in pieno le scapole bianche di Sara, scoperte dallo scollo dell’elegante vestito di setache le ha regalato il conte suo zio, un altro sembra indugiare sui nervosi fiocchi di forfora della chioma corvina di Marcella, un terzo vorrebbe tanto illuminare Giovanna, ma lei, profondamente a disagio, ha indietreggiato troppo sul palco, e l’unica parte illuminata del suo corpo longilineo è la gobba a scalino che ha sulla sommità del naso.
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La premiazione del concorso studentesco di poesia di Campo Collina, rischiarata solo dai sopracitati faretti tanto gentili da aprire la nostra storia, sembra piuttosto lo scenario di un racconto dell’orrore. Il vecchio professore Biasi, eletto presentatore sicuramente non per merito della sua balbuzie, dovrebbe rallegrare l’evento, ma la quarta colonna luminescente, l’ultima a trovare posto, gli sta giocando un brutto scherzo, complici la lucidità del foglio su cui sono scritti appunti utili e gli spessi occhiali sporchi come i bagni di un autogrill distante dalle tratte a pagamento. Il povero veterano delle guerre contro gli al-Unni può solo continuare a sputacchiare sommessamente parole lontane anni luce dal discorso che in realtà vorrebbe fare. Sara ha contato i faretti mentre erano spenti, ha calcolato in men che non si dica la postazione perfetta per essere ben illuminata ma senza sembrare troppo sicura di sé e visi è adagiata con la sua caratteristica, eterea delicatezza. Sa che non deve per nessun motivo al mondo toccarsi i lunghi capelli rossi: come ha imparato a teatro, anche il più piccolo dei movimenti sotto i riflettori, se non consono alla situazione, sembra uno sgraziato rituale di accoppiamento di qualche marsupiale strano (tipo un opossum). La bocca dello stomaco di Sara sibila di disgusto quando lei con la coda dell’occhio scorge la sua rivale intenta a divorarsi ferocemente l’unghia del mignolo fresca fresca di gel. Non fa solo teatro, Sara, e questo non è il primo premio che sta per ricevere. Olimpiadi di filosofia: prima; giochi di matematica: prima; maratona di beneficenza causa acquisto defibrillatore: prima; quattro concorsi studenteschi di poesiain quattro anni: seconda (a gareggiare c’era stato il nipote di Biasi, non potevano mica farlo perdere). Adesso Sara è quasi convinta di vincere. Mancano i ringraziamenti delle autorità e finalmente potrà scendere dai suoi tacchi Chanel (Chanel vende scarpe? Io sono troppo povera per saperlo, ma, nel dubbio, Sara indossa un paio di Chanel) e spaparanzarsi sul divano di casa sua con il biglietto per Barcellona nella borsa, a eterno ricordo delle sue vittorie quotidiane. La moglie di Biasi, seduta accanto al macellaio-ormai-padre-del-macellaio con cui probabilmente mette le corna a Biasi da trent’anni, la guarda male. Sara accenna un sorriso e nell’attesa fa qualche conto, per passare il tempo. Conosce circa un’ottantina delle cento persone sedute davanti a lei, illuminate solo da qualche residuo giallognolo dei faretti. Di queste ottanta, cinquantasette le hanno detto che si è fatta proprio una bella ragazza, quindici le hanno fatto i complimenti per gli occhi sempre più verdi e sei l’hanno lodata per l’intelligenza e l’intraprendenza. Le due rimaste, Biasi e signora, non hanno detto assolutamente niente. «Arriviam dunque ai vincitori.» Il presentatore sembra invecchiare a ogni sospiro. «Al terzo posto, con la sua opera che celebra l’amore, l’attesa e la dedizione di una figlia per il suo padre lontano, abbiamo Giovanna Crisantemi.» Applausi, Giovanna sorride, targhe, flash, Biasi zoppica. «Al secondo posto…» Sara riflette un secondo. Due cose che potrebbero accadere prima della fine dell’evento: uno, la signora Biasi potrebbe sentirsi male, e due, Biasi potrebbe cedere sotto il peso delle sue ossa indolenzite. Per il resto, l’uditorio sembra tranquillo. L’aspirante Pippo Baudo si gratta il capo macchiato sotto il riporto. «Il primo premio, per la poesia in rima incatenata riguardante la storia e gli eroi di Campo Collina, va a…» Sara sorride, è la sua, ha finalmente vinto il primo premio. Biasi prova a mettere un po’ di suspense inspirando a lungo (gli gira un po’ la testa, però non interessa a nessuno), ma Sara ne è sicura al ento per cento. Chiude gli occhi, in attesa di sentire il suo nome.«PEDRO, PEDRO, PEDRO, PEDRO PE’, PRATICAMENTE IL MEGLIO DI SANTA FEEEE.»Dietro la frangia, Sara strizza gli occhi. Andasse a quel paese il teatro. Non riesce a trattenersi dal tirarsi una pacca incredula sulla fronte. Come ha fatto a dimenticarsi di quell’essere balordo? Di quel vigliacco, grigio, abitudinario, pigro, sporco essere? Del suo insulso e poco ragionevolmente amato migliore amico? Nella prima fila, Raffaella Carrà canta a squarciagola dal suo cellulare. Lui prova a fermarla sbattendo ripetutamente il Wiko metallizzato sul ginocchio. Si è dimenticato di mettere il silenzioso. Più bianco di un fantasma, esce dalla sala ingoiando qualche imprecazione. Raffaella è arrivata al secondo ritornello ed è entusiasta del pubblico sorpreso dalla sua improvvisa esibizione. Da dietro la porta a vetri, il ragazzo urla contro sua nonna Angela, dall’altro capo del telefono, senza rendersi conto che è ancora troppo vicino all’uscio per non essere ascoltato dagli spettatori. Il migliore amico di Sara si chiama Armando Pio Diotallevi.Questa è la sua storia. Non di Sara, ovviamente −Sara è abbastanza brava da scriversi una storia da sola −, ma di Armando. Anzi, di Armando Pio. Lui ci tiene al suo secondo nome. Applausi. Per Sara.
Simone Raschella (proprietario verificato)
Si aspetta con ansia