«Per una mezz’ora sei il padrone della baracca. Io vado e torno, non fare danni, eh. Mi raccomando.»
Il terrier abbaiò perplesso e tornò nell’angolo della casa da dove era spuntato.
Mantoli scese in strada e si rese conto di essere rimasto un attimo di troppo a indugiare sull’odore dell’aria. La storia della nube tossica lo stava ossessionando fino a quel punto? Ma l’odore che appestava l’aria fresca di quella serata primaverile indicava che qualcosa stava bruciando. Chissà dove, visto che il vento era parecchio sostenuto.
Salì in macchina e avviò il motore. Non aveva molta strada da fare. Il locale dove era diretto era dall’altra parte del paese, ma per raggiungere l’estremità opposta di una cittadina di quindicimila anime sarebbero bastati pochi minuti. La Ritmo non avrebbe nemmeno fatto in tempo a scaldarsi.
Il Club 81 era, come ogni sabato sera, colmo di ragazzi tra i sedici e i vent’anni. Mantoli entrò con il passo sicuro di chi conosce il luogo e si avvicinò al bancone. Non c’erano sgabelli liberi, si fece largo tra due coppie e riuscì a infilarsi in modo da potersi appoggiare alla parte di bancone che confinava con la cassa. Sapeva che ogni volta era la stessa storia: veniva guardato con sospetto da tutti gli altri clienti. Cosa ci faceva lì, tutto solo, un vecchio di quarant’anni?
Uno dei barman gli si avvicinò quasi subito. «Buonasera, Mantoli. Le porto il solito?»
«Sì, grazie, Pato.»
«È sempre qui per lei, non è vero?»
«Come ogni sabato da quando ha cominciato a frequentare questo posto. Com’è andata la serata?»
«Le hanno ronzato intorno un paio di mosconi, ma la ragazza sa farsi rispettare.»
«Chi sono i mosconi?»
«Quei due al tavolo d’angolo vicino all’ingresso, ma sono innocui, mi creda, non c’è da preoccuparsi. Comunque, quella ragazza si fa ogni giorno più carina, è normale che i mosconi le si avvicinino sempre di più.»
Mantoli guardò il barman di traverso dopo quella frase.
«È solo un dato oggettivo, non si preoccupi. È tutta sua.»
Mantoli annuì e cominciò a gustare il chinotto che il barman gli aveva posato davanti, fissando la ragazza mora, dalla carnagione olivastra che la faceva sembrare perennemente abbronzata. Gli occhi azzurri della giovane indugiavano nella sua direzione, ma non appena si rendeva conto che Mantoli la stava osservando tornava a spostare lo sguardo sull’amica seduta al tavolo con lei.
«Be’, ormai ha diciassette anni, giusto?»
Christian, il barman, detto Pato, era in vena di far conversazione quella sera.
«Sedici.»
«Lei dice diciassette.»
«Lei può dire quello che vuole, ma sono sedici.»
Finito il chinotto, Mantoli si avviò verso l’uscita del locale con lo stesso piglio sicuro con il quale era entrato. Mentre passava loro accanto, diede un’occhiata ravvicinata ai due mosconi, i quali non si resero nemmeno conto di essere osservati e continuarono a sghignazzare mentre bevevano birra. Il suo sguardo restò su di loro finché non arrivò alla porta d’ingresso e la sua attenzione si concentrò sulla scritta stampata sulle spalle del giubbotto di jeans indossato da uno dei due: ANGELS.
Salì sulla Ritmo, abbassò il finestrino e accese una Muratti. Sapeva che avrebbe aspettato giusto il tempo di finire la sigaretta.
E così fu.
La ragazza dagli occhi azzurri uscì dal locale, si avvicinò alla Ritmo, aprì la portiera del passeggero e salì.
Mantoli aveva la sensazione che lei cercasse in tutti i modi di nascondersi, per non farsi vedere dai ragazzi che occupavano lo spiazzo davanti all’ingresso. Avviò il motore e si diresse nella direzione da cui era arrivato. Questa volta non lasciò la Ritmo davanti a casa, ma la parcheggiò direttamente nel garage. Non ne avrebbe più avuto bisogno fino al lunedì, o almeno così sperava. Il garage distava circa trecento metri da casa e il tragitto fino all’ingresso del condominio dove viveva avvenne senza che tra lui e la ragazza fosse scambiata una sola parola. Lei continuava a sembrare infastidita e camminava con la testa bassa.
Mantoli pensò che l’odore di bruciato fosse diventato più intenso e vide dei bagliori in lontananza, in fondo alla lunga via dove abitava. Aprì la porta di casa e fece entrare per prima la ragazza.
Richiuse a doppia mandata la porta dietro di sé.
«Bruno? Siamo arrivati.»
Bruno sbucò nell’area dell’ingresso dal buio della zona notte, abbaiò timidamente e scomparve nuovamente nell’oscurità.
«Chissà perché ho l’impressione che possa entrare chiunque in questa casa.»
«Andrà avanti ancora per molto questa storia?»
La ragazza aveva parlato per la prima volta da quando si erano incontrati.
«Quale storia?»
«Questa! Di te che entri nel locale, chiedi notizie su di me e continui a fissarmi. Non potresti aspettarmi fuori, magari parcheggiando anche un po’ distante?»
«Perché? Non ho il diritto di bere un chinotto?»
«Papà! Ho diciassette anni ormai.»
«Sedici.»
«Per favore…»
«Per favore, cosa? Sono sedici. Saranno diciassette fra quattro mesi.»
«Vado a dormire. Non ne posso più.»
«Senti, Giulia. Ne abbiamo già parlato. Se vuoi frequentare quel locale io ti porto e io vengo a riprenderti. Qui si fa a modo mio.»
Dalla camera la voce di Giulia arrivò a Mantoli mentre andava verso il soggiorno.
«Non avevi detto che avresti smesso di fumare?»
«Infatti.»
«Guarda che ho diciassette anni e non sono deficiente.»
«Sedici.»
«Sei irrecuperabile!»
«Sei stata dalla mamma questa settimana?»
«Sì. Lo sai che ci vado tutte le volte che posso.»
Giulia cominciava a pensare che il padre, tutte le volte che voleva troncare una discussione, spostava l’argomento sulla madre.
«Buonanotte, papà.»
Giulia era in piedi, in soggiorno.
«Buonanotte, tesoro.»
«Stai bene?»
«Sì, certo. Perché non dovrei?»
«Resti sveglio ancora per molto?»
«No, non credo. Sto cercando di capirne di più su questa storia della nube tossica che pare stia arrivando anche da noi.»
«Posso stare un po’ qui con te?»
«Certo, tesoro. Prendi una coperta, però, altrimenti ti viene freddo.»
Trotterellando arrivò anche Bruno, che si accovacciò vicino a Giulia. E mentre le fiamme di un incendio squarciavano il buio all’orizzonte, nella casa calò il silenzio, rotto soltanto dal basso volume della televisione.
PUZZA DI BRUCIATO
Domenica 4 maggio 1986
A bordo della sua Kawasaki Z1000 blu del 1978, Mantoli era giunto al campo dove si sarebbe svolta la gara di motocross alla quale Giulia avrebbe partecipato. La figlia aveva sviluppato la stessa passione per le moto del padre e si stava lasciando affascinare dalla disciplina che la vedeva portare al limite il suo mezzo sugli sterrati e, come quella domenica mattina, nel fango.
La gara partì in perfetto orario ed erano trascorsi solo pochi giri quando Mantoli vide arrivare una macchina dei carabinieri. Sapeva che con ogni probabilità erano venuti per cercare lui. Quando i due carabinieri, scesi dall’Alfasud, si avviarono verso di lui non ebbe più dubbi.
Tra gli sguardi perplessi degli altri presenti, Mantoli si preparò mentalmente ad accoglierli. Avrebbe dovuto essere un week-end da dedicare interamente alla figlia, ma quei programmi stavano per cambiare irrimediabilmente. La frustrazione stava per prendere il sopravvento, ma sapeva di dover rimanere calmo.
«Buongiorno, signor Mantoli» esordì uno dei due carabinieri.
«Buongiorno a voi. Che succede, ragazzi?»
«Abbiamo bisogno che ci segua. Nella notte è bruciato il tendone di un circo. Sembrerebbe trattarsi di un corto circuito, ma avremmo bisogno della sua analisi.»
Bruno Mantoli di professione faceva l’investigatore e collaborava con le forze dell’ordine. Aveva l’abitudine di lasciare detto alla portinaia del condominio dove poteva essere trovato, quando usciva di casa nel week-end, così non si stupì che i due fossero arrivati fino a lui, in quel campo sperduto nelle campagne.
«Sta parlando del circo Fossoli? Quello appena arrivato nella zona industriale con annesso Luna Park?»
«Sì, esatto. Proprio quello.»
«Ma non aveva ancora cominciato gli spettacoli, dico bene?»
«Sì, ancora una volta è esatto. Gli spettacoli sarebbero dovuti cominciare solo martedì.»
«Va bene, vi raggiungo sul luogo.»
«Perfetto. Ci vediamo là.»
Mantoli si avvicinò al padre di un ragazzo che stava gareggiando con Giulia.
«Pietro, devo allontanarmi. Per favore, fai sapere tu a Giulia che sono dovuto andare. Tornerà comunque in motorino, dille che ci vediamo a casa.»
«Va bene, Bruno. Ci penso io, non ti preoccupare.»
Mantoli si avviò verso la Kawasaki, pensando a quello che lo aspettava. Se i carabinieri avevano bisogno del suo intervento, era perché c’era qualcosa di sospetto in quell’incendio. Con ogni probabilità, la solita storia del finto dolo per intascare il premio dell’assicurazione.
Forse aveva pensato in negativo troppo presto.
Forse avrebbe risolto tutto velocemente e sarebbe potuto tornare ai suoi programmi.
Forse.
JrdVee Valsecchi (proprietario verificato)
Fluido, elegante, complesso, con un finale…da scoprire. Pagina dopo pagina la voglia di leggere ed arrivare alla fine cresce a dismisura. Fino all’ultimo la trama non verrà svelata…e vi sorprenderà.
Emanuele Villa (proprietario verificato)
Davvero un bel giallo intrigante. Un intreccio affascinante che mi ha tenuto incollato al libro pagina dopo pagina…
Finale a sorpresa!
Decisamente una piacevole lettura!