Forse tutto era iniziato già prima che venisse al mondo, nell’utero di sua madre, quando la famiglia era convinta di aspettare il primo erede maschio: “Si chiamerà Antonio”, come ripeteva la nonna Anastasia, mentre preparava il corredino ceruleo all’uncinetto. E chi mai avrebbe osato contraddirla? 1 metro e 75 di scheletro e vene rivestiti da un velo di pelle pallida, occhi color verde bosco, labbra sottili e capelli lunghi e grigi, raccolti in una crocchia, probabilmente anche di notte. In quasi 80 anni di vita, nonna Anastasia aveva sotterrato 2 mariti, sarta da che era poco più che bambina, in paese era conosciuta per i modi bruschi con le persone, che diventavano delicatezza e poesia quando prendeva in mano ago e filo per ricamare i corredi delle spose o dei neonati. Abitava da sola in un monolocale al secondo piano senza ascensore e si era sempre rifiutata di trasferirsi in casa di riposo o, peggio, a vivere con il figlio e la nuora: donna indipendente e solitaria, selvatica, diremmo. Un giorno il suo dottore provò a convincerla a prendere le pillole per la pressione alta: Anastasia uscì dallo studio sbattendo la porta e non si fece più vedere, profondamente offesa dall’affronto. Così passava le sue giornate in casa, alternando il ricamo alla lettura di romanzi. Non era una persona cattiva; solo essenziale, senza fronzoli.
Quando in un’insolitamente calda giornata invernale nacque Antonia, dopo mesi di preparativi per Antonio (oltre al corredino, una scatola di confetti azzurri era pronta nel buffet della sala di casa), la delusione fu tale che nonna Anastasia gettò con stizza sulla culla della piccola la copertina azzurra lavorata ai ferri, sbuffando e ritirandosi nel suo appartamento, come se quella creatura le avesse fatto un torto ad essere nata femmina. Dal canto loro, Flora e Cesare non avevano programmato la gravidanza, accettando passivamente il trascorrere dei nove mesi, Flora con una certa fretta di poter riprendere il suo amato lavoro, Cesare la sua misantropia malcelata.
I coniugi Leopoldi si erano conosciuti durante una cena a casa di conoscenti comuni. Flora era una donna indipendente e molto affascinante, viveva da sola e aveva un buon lavoro come Project Manager in una multinazionale. Si era “fatta da sola”, senza il sostegno di una solida famiglia alle spalle. Amava andare per musei e provare ristoranti e locali nuovi. Cesare, seppur giovane e di bell’aspetto, era un gran pantofolaio. Viveva con i genitori, lavorava come impiegato alle poste e la sua vita scorreva placida tra un cruciverba e una raccolta di cartoline. Chissà come, quella sera sembrò scoccare qualcosa tra loro: amore? Orologio biologico? Noia? Forse nulla di tutto questo, ma dopo pochi mesi veniva celebrato il loro matrimonio (seppur Anastasia si disse più volta contraria), in comune, con i soli genitori e i testimoni. Purtroppo, gli impegni di Flora non avevano permesso il viaggio di nozze, sempre rimandato e alla fine mai avvenuto.
I ricordi che Antonia aveva della sua infanzia avevano sempre il sottofondo di una TV accesa, spesso su programmi a premi come Ok il prezzo è giusto, Il pranzo è servito o La ruota della fortuna. Per qualche tempo si convinse che Iva Zanicchi e Mike Bongiorno, così come Corrado, fossero parenti che ogni tanto comparivano in quella scatola in salotto per salutare e presentare altri amici. E poi ricordava la valigia della madre sempre pronta vicino alla porta d’ingresso, i suoi baci sulla testa mentre era intenta a giocare sul tappeto e i “Ciao tesoro, mamma deve partire per lavoro, torno prestissimo”. Papà Cesare allora, si ritirava nel suo studio per la maggior parte del tempo, immerso in chissà quali improcrastinabili impegni. Antonia fantasticava su quali misteri risolvesse il suo papà chiuso là dentro, non chiedeva mai di giocare con lui. Quando arrivava l’ora di mangiare, più spesso, quando aveva fame, si riempiva la sua tazza di cereali e latte o, se era particolarmente ispirata, assemblava due fette di pancarré con prosciutto confezionato e una spruzzata di maionese. Almeno fino all’arrivo di Agnese.
Antonia ormai era alla soglia dei 30 anni: continuava a bastarsi, viveva dal sorgere del sole al tramonto senza dar fastidio, cercando di occupare meno spazio vitale possibile e, possibilmente, respirando appena il giusto. Non credeva che un compagno le sarebbe servito a un bel niente, se non ad avere una persona alla quale render conto e con cui modellarsi l’un l’altra fino a perdere la propria natura. Ci aveva provato qualche anno prima, c’era stata una frequentazione, Francesco. Si erano conosciuti un pomeriggio in un bar in città; Antonia era andata a prendere un caffè per usare la toilette e lui le aveva preparato la tazzina. Faceva il barista per arrotondare, le disse, chiacchierarono del più e del meno e si scambiarono il numero di telefono. Antonia non dava mai confidenza agli estranei, ma c’era stato qualcosa, in quel ragazzo così delicato e fine, che la colpì. Francesco era supplente di scuola elementare, la relazione con lui era durata nemmeno un anno, vissuto in sordina, quasi di nascosto. Francesco era sempre impegnato e raramente riusciva a dedicare tempo ad Antonia per uscire a cena, o per una passeggiata, un cinema, una pizza con gli amici. I viaggi poi, erano fuori discussione, ma era imperativo trascorrere il pranzo della domenica a casa dei genitori di lui. Famiglia piccolo borghese, molto bigotta e tradizionalista, all’ingresso di casa loro capeggiava il viso sorridente di Papa Giovanni Paolo II e non scarseggiavano crocefissi. Il menu del giorno di festa era tendenzialmente sempre lo stesso: affettati misti come antipasti, un primo, per secondo arrosto e patate. I pasticcini per chiudere il pranzo erano a carico dei ragazzi: 10 cannoncini, 10 bignè e 10 pasticcini alla frutta. Il padre di Francesco era un farmacista in pensione, la madre casalinga, costantemente impegnata nei lavori domestici e di giardinaggio. Le conversazioni ruotavano intorno agli stessi 3 argomenti, ogni volta: come la sinistra al governo aveva rovinato il Paese, chi si era sposato e chi aveva avuto figli tra gli amici di Francesco, la predica del Parroco quella mattina. Ad Antonia non dispiaceva questa routine, le piaceva respirare quell’atmosfera, l’unico tipo di famiglia con la quale avesse avuto a che fare e che potesse quindi confrontare con la sua. Certo avrebbe fatto a meno di viversela ogni domenica, ma Francesco in quei momenti era particolarmente espansivo nei suoi confronti, la abbracciava, la baciava, parlava di futuro davanti a suoi genitori. Una volta disse addirittura che era andato ad informarsi in un’agenzia immobiliare, facendo drizzare le antenne della madre, intenta a sparecchiare e che per poco non fece cadere i piatti, esclamando “Non farete come quei deviati che vanno a convivere, vero? Prima ci si sposa”, al ché Francesco aveva abbozzato un “Ma si, era solo un giro conoscitivo mamma, stai tranquilla”. Quando capitava, rare volte, che lui si fermasse a casa di Antonia, non andavano mai oltre qualche bacio a mezza bocca. La stanchezza, lo stress, i pensieri, diceva lui. L’inadeguatezza, il mio corpo sbagliato, troppo secco e troppo alto, come la nonna, pensava Antonia. Puntualmente le serate finivano in liti, Francesco si incazzava, diceva che era lei che non sapeva come prenderlo, che non gli era mai successo in vita sua. Quindi usciva di casa sbattendo la porta e il cellulare risultava irraggiungibile per i successivi 2/3 giorni. Poi, improvvisamente, arrivava il messaggino “Amore ciao, sono stato incasinatissimo. Domenica vengo alle 11, ok?”. Sempre lo stesso copione. E Antonia, era lì ad aspettarlo. Un giorno Francesco sparì per una settimana intera, saltando anche il pranzo istituzionale in famiglia. Si spiegò tutto con una telefonata da un numero sconosciuto, Antonia rispose pensando ad un call center e invece era Andrea, un ingegnere informatico con il pizzetto e le bretelle, che diceva di quanto lui e Francesco si amavano ormai da anni, che no, Francesco non ce la faceva a parlare con lei, che capisse la situazione di stress e disagio che stava vivendo, avrebbe anche dovuto dirlo ai suoi di lì a poco. Antonia riattaccò. Dopo un mese arrivò la partecipazione in carta d’Amalfi per l’unione civile. Trovò dell’ironia in tutto quello, Antonia, ma si risparmiò l’imbarazzo e rispose via messaggio che le sarebbe piaciuto molto ma proprio in quei giorni avrebbe avuto una trasferta di lavoro irrinunciabile. Lavoro che in realtà non prevedeva viaggi, ma le era già sembrato abbastanza faticoso non affrontare Francesco di persona.
Bianca aveva provato a metterla in guardia su Francesco “Guarda che non è la persona giusta per te, mollalo!”, le aveva consigliato più volte.
Antonia e Bianca si erano conosciute alla segreteria dell’Università uno dei primi giorni di frequenza, quando entrambe vagavano senza meta per l’ateneo. Una pestò il piede all’altra e così dalle scuse, all’offerta di un caffè, avevano passato il pomeriggio a chiacchierare, scoprendo di essere entrambe dell’80, del sagittario, di odiare il cacao sul cappuccino e di essersi iscritte all’Università perché questo ci si aspettava da due diplomate al liceo, senza avere troppe idee per il futuro. Avevano trascorso il pomeriggio in centro, continuando a raccontarsi tra un camerino e una passeggiata, a braccetto come amiche di sempre. Bianca, nome che significa “lucente”, “splendente”, “chiaro”, questo fu per Antonia: luce pura che illuminava ogni cosa. Quell’incontro segnò in modo indelebile Antonia, che per la prima volta in vita sua si sentì accolta, compresa, voluta. E così iniziò la loro amicizia.
Antonia non aveva mai avuto amiche: bambina timida, taciturna e solitaria, si sentiva spesso fuori posto. E ovviamente questo atteggiamento portava gli altri bambini ad escluderla e a farla sentire ancora più sbagliata. Ricordava ancora di quando i suoi compagni, alle elementari, l’avevano chiusa in bagno, durante l’intervallo. Meno male arrivò una bidella a liberarla un’ora dopo, ma lei disse che si era chiusa dentro per sbaglio. Oppure di quella volta che era stata invitata ad una festa al parco. Antonia si era vestita di tutto punto, aveva anche trascinato suo padre a comprare un regalo, ma una volta arrivata non c’era nulla: niente palloncini, niente invitati, niente festa. Solo grasse risate, dietro alla staccionata, del gruppetto che l’aveva invitata alla finta festa. In prima media si era affezionata ad una bambina, Alessia Cardano, come Antonia relegata ai margini della classe. In seconda media la ragazzina aveva già cambiato città con la famiglia. Il rendimento scolastico sempre positivo di Antonia (d’altronde non aveva altro se non lo studio), era quanto bastava agli insegnanti e nessuno si pose mai il dubbio di farle una domanda in più, su come si sentisse o cosa le piacesse. Con il tempo, aveva quindi imparato a costruirsi un personaggio che si poneva in modo gentile e simpatico in pubblico, ma che allo stesso tempo le permettesse di evitare situazioni potenzialmente negative (non pretendere di entrare nei gruppetti “in”) o di dare nell’occhio (sbagliare volontariamente qualcosa nelle verifiche, per non avere tutti 10). Ecco perché quando conobbe Bianca, fu una delle rarissime volte in cui Antonia, istintivamente, abbassò la guardia e si concesse totalmente alla nuova conoscenza.
Bianca proveniva da una famiglia benestante di città, era sempre stata una ragazza popolare, estroversa e festaiola. Figlia unica, i suoi genitori avevano affittato per lei un grande appartamento in centro, in modo che fosse comoda con le lezioni e a Bianca era sembrato il posto perfetto da dividere con la sua nuova amica Antonia, dopo appena 1 settimana dal loro primo incontro. Bianca era affascinata da questa creatura così diversa dal suo solito giro di amicizie, era un uccello esotico con un piumaggio scuro e ispido, affascinante nella sua non convenzionale esistenza, così simile e al tempo stesso opposta a lei. Nell’appartamento ognuna di loro aveva la propria stanza e il proprio bagno, si divertirono parecchio durante le varie spedizioni da Ikea e ai mercatini delle pulci per raccattare asciugamani, stoviglie, librerie… Si erano trovate, ognuna con la propria parte mancante, ad incastrarsi perfettamente tra loro, si compensavano e si bastavano, nel loro micro cosmo.
Elvira Beccaria (proprietario verificato)
Romanzo avvincente, scritto bene, scorrevole . Piacevole lettura , le protagoniste, appartengono ad un mondo a noi vicino e mi incuriosisce molto “la teoria dell’oliva”. Vedremo .