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Laventicinquesimaora.

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Una pistola è qualcosa di mortalmente serio – drammatica, disperata, pulp. Ma può anche essere buffa, riflessiva, malinconica, misteriosa, sfuggente. Secondo Čechov in un racconto la pistola deve sempre sparare: ma è davvero così? Nei racconti del Premio Letterario “Laventicinquesimaora.”, gli autori hanno risposto a questa sfida giocando con i registri e con le atmosfere: ne sono uscite storie cupe, di assassinio e innocenza perduta; racconti di formazione, d’amore, di intimità e memoria.

PREFAZIONE
La brevità è la sorella del talento.
Anton Čechov

“Scrivi e vigila su ogni riga”, suggeriva Anton Čechov al fratello che aspirava a diventare, come lui, scrittore di racconti. Ed è così che noi di Belleville ci siamo immaginati i partecipanti al premio letterario istantaneo Laventicinquesimaora.: la traccia del concorso è stata annunciata sulla pagina Twitter, sul profilo Facebook e sul sito internet della Scuola alle 23.00 del giorno 12 dicembre 2015 e i concorrenti hanno avuto a disposizione solo venticinque ore per scrivere un racconto breve, che non doveva superare le due cartelle.
E se è vero che per imparare a fare qualcosa, bisogna farla, ma ancor prima è necessario vedere come questa cosa è stata fatta dai maestri (parafrasando Giuseppe Pontiggia: le scuole di scrittura dovrebbero essere anzitutto scuole di lettura), per Laventicinquesimaora. Belleville ha scelto di salire sulle spalle dei giganti e di proporre come traccia il famoso principio enunciato da Čechov nel 1889: “se nel primo capitolo di un racconto compare una pistola bisogna che, prima o poi, la pistola spari”.
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Va detto che esistono diverse versioni di questa frase, di cui una sola è autografa; ma qui non vi tedieremo con l’esegesi delle fonti, per rilevare piuttosto il significato di questo famoso principio drammaturgico, che ci pare essere stato sempre ben interpretato dai finalisti del nostro concorso, ai quali la traccia fornita poneva anche una domanda che non è del tutto retorica, come cercheremo ora di spiegare. Si chiedeva, cioè: “ma è davvero così? Una pistola deve per forza sparare?”.

La sfida, per i nostri concorrenti, era almeno duplice: “introduco una pistola reale o una pistola metaforica?”, “e poi che faccio: sparo o non sparo?”. Se è vero che esiste una sola pièce di Čechov, Il Giardino dei ciliegi, dove la pistola, alla fine, non spara, sappiamo anche che oggi c’è un altro gigante, Haruki Murakami, che non solo non applica volentieri questo principio ma addirittura ne discute in 1Q84, quando fa dire a Tamaru, uno dei personaggi principali del romanzo, che “Čechov è un grande scrittore, ma il suo modo di pensare non vale per tutti. Non è vero che tutte le pistole che appaiono in una storia debbano fare fuoco”.
Grande sostenitore della regola cechoviana è invece Chuck Palahniuk. Per lui la pistola è “una promessa o una minaccia che va mantenuta per concludere una storia”, e in uno dei suoi saggi sulla scrittura, racconta:

Quando stavo scrivendo il finale di Fight Club, non avevo idea di che cosa fare con il palazzo di uffici. Ma rileggendo la prima scena, ho trovato il commento che avevo lasciato cadere a proposito di combinare nitroglicerina e paraffina e di come fosse un metodo dall’esito incerto per fabbricare esplosivo plastico. Quella frasettina stupida (“la paraffina non ha mai funzionato per me”) fece risorgere la perfetta pistola sepolta alla fine e salvò il mio culo di raccontastorie.

Non solo Palahniuk riprende il principio della pistola di Čechov, ma vi aggiunge l’idea di “seppellirla”, arrivando così a formulare un vero e proprio consiglio agli aspiranti scrittori, ovvero quello di presentare un elemento significativo per le sorti della storia, nasconderlo per il resto di essa, e riesumarlo nel momento in cui è necessaria una svolta. Così si ottiene il “colpo di scena”: il lettore, sempre secondo Palahniuk, presterà infatti poca attenzione alla presentazione dell’arma e quando alla fine la si riprenderà per risolvere il conflitto, ne risulterà sorpreso.

A noi il principio di Čechov è sembrato un ottimo strumento di cui i nostri concorrenti si sarebbero potuti servire anche, e forse soprattutto, per limitare la lunghezza della loro storia, che andava scritta in un tempo e in uno spazio così esiguo da richiedere una particolare abilità proprio nel saper portare quella storia alla conclusione prima che diventasse troppo lunga.

“Per scrivere un feuilleton di settantacinque-cento righe ci mettevo dai diciotto ai venti minuti, compreso il tempo per fumare e fischiettare” scrive Bulgakov, che proprio alla palestra della forma breve ha plasmato il talento che renderà immortale Il Maestro e Margherita. Scrivere storie brevi significa essere in grado di muoversi in uno spazio limitato, riuscire ad attrarre il lettore in poche righe, vedere relazioni là dove non ne esistono ancora, costruire pochi personaggi ma indimenticabili.

Quindi il nostro suggerimento era semplice ed efficace: non introdurre elementi superflui e cerca di mettere all’inizio della storia qualcosa che ti aiuterà a concluderla. E non era casuale la scelta di Čechov, scrittore dell’accadimento minimo, tenace assertore dello stile essenziale, maestro di quella forma breve tanto trascurata dall’odierno mercato editoriale quanto praticata dagli aspiranti scrittori che possono imparare a scrivere con precisione e a lavorare sul cuore tematico della narrazione, prendendosi cura di tutte le sfumature della storia.

Ed è proprio in Čechov che Raymond Carver, maestro contemporaneo della forma breve e per anni docente di scrittura creativa, ha trovato le idee più utili per sé e per i suoi allievi fino a ispirarsi, per l’ultimo racconto che scrisse, L’incarico, alla morte dello scrittore russo. Secondo Čechov tagliare il superfluo per arrivare all’essenziale è doveroso: “Non forbire, non limare troppo, sii sgraziato e audace. La brevità è sorella del talento”. E dello stesso parere è Carver: “Adoro il salto rapido che c’è in un buon racconto, l’emozione che spesso ha inizio sin dalla prima frase, il senso di bellezza e di mistero che si riscontra nelle migliori storie; e il fatto che un racconto si può scrivere e leggere in una sola seduta (proprio come una poesia)”.

***

Questo libro raccoglie i quattro racconti vincitori e gli altri finalisti (presentati in ordine di preferenza espressa dalla Giuria, dal maggiore al minor numero di voti ottenuti) del primo concorso letterario indetto da Belleville, la scuola di scrittura creativa, editoria e comunicazione nata a Milano nell’ottobre 2014. A Belleville si medita a lungo su quello che si è scritto prima di pubblicarlo (Čechov suggeriva di rinchiudere “in un baule” un proprio racconto e “tenercelo per un anno”, per vedere a distanza se funziona) ma s’impara anche a comunicare nell’era del pensiero breve, quando sempre più bassa è la soglia d’attenzione, sempre meno il tempo che si dedica alla lettura, sempre più agguerrita la concorrenza degli altri media nei confronti dell’oggetto libro e quella delle forme brevi nei confronti della forma romanzesca con la quale il nostro immaginario letterario si era finora potuto confrontare in tempi più lunghi e distesi.
Chi vuole scrivere, oggi, deve sapersi destreggiare anche tra altre e più brevi forme di comunicazione, e per questo Belleville ha voluto provare a proporre un premio letterario immediato, tutto d’un fiato, rivolto a chi volesse mettere alla prova talento e capacità di scrivere una storia senza troppi ripensamenti (“Presto dentro, presto fuori. Niente indugi”, come insegna Carver). La risposta è stata entusiasta, abbiamo ricevuto quasi 150 racconti, che sono stati valutati da una giuria presieduta da Alessandro Bertante e composta da Ambrogio Borsani, Matteo Speroni, Stefano Izzo, Roberta Cesana, Davide Borgna, Michele Turazzi, Giacomo Raccis, Tomaso Greco ed Emanuela Furiosi.
I quattro racconti vincitori sono stati premiati l’11 gennaio 2016 a Scuola e poi pubblicati a puntate sul blog e sulle pagine Facebook e Twitter della Scuola, sul sito della rivista di cultura miltante La Balena Bianca e sul sito di crowdfunding del libro bookabook. Sono stati raccolti in un ebook, insieme agli altri finalisti, e hanno vinto la campagna di crowdfunding per la versione a stampa.
Primo classificato il racconto Jimmy Stardust di Alessandra Asti, che tratteggia un personaggio ai margini e ribadisce la fatalità della frase di Čechov. Nell’analisi di Giacomo Raccis: “Al centro del racconto è un personaggio eccentrico, un diverso, la cui alterità però illumina la banalità feroce del mondo circostante. Un mondo che prende forma nella scrittura discreta di Alessandra Asti e assume i contorni di una quotidianità che conosciamo e riconosciamo: in crisi e disillusa, ostile e violenta; una realtà che lascia uno spazio marginale alla pietà, che non può far altro che intervenire quando ormai è troppo tardi”.
Francesco Verro, secondo classificato con il racconto Impulso, è riuscito a sfruttare il congegno narrativo della pistola per raccontare, attraverso la reticenza e il mistero, una vicenda intima e universale. “Un racconto fatto di silenzi e battute spiazzanti” nella definizione di Giacomo Raccis, che prosegue: “Il racconto è breve, le parole sono poche, ma Francesco Verro riesce a evocare un mondo intero, fatto di sentimenti e ambizioni frustrate; un universo binario destinato a deragliare, improvvisamente”.
Il terzo premio è stato assegnato ex aequo a Racconto di Sara Nissoli, che è riuscita a disinnescare la carica violenta dell’oggetto-pistola attraverso l’adesione al punto di vista di un bambino; e a Al muro di Alessandro Mauri, la storia di un escluso che si riscatta nel finale, scegliendo di sollevarsi al di sopra delle forze che lo schiacciano. Nei giudizi di Giacomo Raccis: “La voce di Sara Nissoli, in questa breve prosa, segue le orme del Jonathan Safran Foer di Molto forte, incredibilmente vicino e ci consegna un racconto delicato, dove amore e dolore trovano le parole giuste per tenere unita la trama di un legame”; mentre Alessandro Mauri “riesce a condensare in poche battute una vita intera, con i dolori, i ripensamenti e le vendette, lasciando tuttavia a chi legge il privilegio di pensare che una pistola, alla fine, non debba necessariamente sparare”.

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La seconda edizione del Premio letterario Laventicinquesimaora. è stata lanciata a dicembre 2016 con una nuova traccia e la premiazione è avvenuta il 20 gennaio 2017. La terza edizione sarà a dicembre 2017.

Roberta Cesana

Troverai qui tutte le novità su questo libro

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La 25esima Ora
“Laventicinquesimaora.” è il Premio Letterario organizzato da Belleville – La Scuola, rivolto a chi vuole mettere alla prova il proprio talento e la capacità di scrivere una storia senza troppi indugi o ripensamenti. Con 3600 battute e un weekend a disposizione, i partecipanti si sono cimentati nella forma del racconto breve partendo dalla seguente traccia: “ Parafrasando Čechov: se nel primo capitolo di un racconto compare una pistola, bisogna che questa spari… ma è davvero così? Una pistola deve per forza sparare? ”
I venticinque finalisti scelti dalla Giuria sono stati raccolti nell’ebook a cura di Belleville – La Scuola.
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