Tutti hanno un posto in cui amano tornare di tanto in tanto, giusto per lasciarsi travolgere dai ricordi e fare scorrere i pensieri. Sono quei luoghi che, sebbene siano stati visitati milioni di volte da milioni di persone, non perdono mai il loro fascino per alcuni individui. E, certamente, ognuno ha il proprio.
Per Isabella e Olivia, quel posto era in montagna e per raggiungerlo occorreva camminare a lungo. Ce le aveva portate la madre quando avevano cinque anni e se n’erano perdutamente innamorate, tanto da chiedere di tornarci ogni anno per il loro compleanno. Quando erano piccole lo amavano solo per il gusto della scampagnata, ma crescendo avevano imparato ad apprezzare sinceramente ciò che si trovava alla fine di quel percorso: una maestosa cascata, dalla quale nasceva il torrente che costeggiava tutto il sentiero. Stare lì accanto e ascoltare lo scroscio dell’acqua che cadeva da un’altezza per loro impressionante le faceva sentire leggere, era come sentire la propria canzone preferita soltanto una volta all’anno.
Quello era sempre stato il loro posto magico, sin dalla loro infanzia, e le cose non cambiarono con gli anni: anche per il loro quindicesimo compleanno decisero di recarsi lassù, per apprezzare ancora una volta la bellezza di quel luogo così affascinante.
Olivia, la più timida delle due, ogni anno trascorreva tutto il tempo a realizzare un nuovo disegno del posto, tradizione iniziata a sette anni e mai interrotta, se non per un anno, quando si trovò con il braccio ingessato.
Isabella, invece, che era molto meno silenziosa della sorella, si portava dietro la sua magica chitarra lilla e si lasciava ispirare dal suono dell’acqua per comporre qualcosa di unico. Anche quell’anno era intenta a strimpellare, stuzzicando di tanto in tanto la gemella che disegnava da due ore senza aprire bocca.
«Cara la mia Olivia,» canticchiava, accompagnando ogni battuta
con un accordo «ti confesso la mia invidia / tu riesci a disegnare / senza mai parlare / io non lo riesco a fare / voglio solo cantare, can-tare, cantare».
Ben presto quella buffa canzoncina si trasformò in un frastuono di chitarra, mentre Isabella imitava qualche rockstar.
«Sono solo molto concentrata, Izzy. Quest’anno deve essere per-fetto, non posso sbagliare niente.»
«Dici così ogni anno.»
«E infatti ogni anno è più bello. Non capisci, voglio raggiungere il non plus ultra della paesaggistica.»
«Ambiziosa la ragazza.»
«Eh certo, devo. Se non puntassi in alto, non riuscirei mai a essere soddisfatta di me stessa. Il disegno è quello che amo fare, non posso permettermi di non essere all’altezza.»
«Dio mio, quanto sei rigida / dai non fare la frigida / rilassati un pochino / molla quel pennellino… non so come continuare, ma il concetto è chiaro, no?»
«Sì, guarda, ho finito» disse girando il foglio per mostrarlo alla so-rella con fierezza.
«Wow. Scusa, ma è uguale a quello dell’anno scorso. E somiglia molto anche a quello dell’anno prima.»
«Ma cosa dici! La mia tecnica è estremamente migliorata, sono diventata più fine e precisa, ho imparato così tanto! Non puoi sul serio pensare che siano uguali. Guarda i margini, sono più sottili e anche meno tremolanti, il che fa sembrare il tutto molto più pulito e realistico. Per non parlare della colorazione, che quest’anno mi ha messa a dura prova per via della giornata nuvolosa. In ogni caso, di sicuro è differente da ogni altro.»
«Cielo, scusami. Non credevo di averti recato una così grave offesa. Non mi permetterò mai più di criticare in tal modo la tua arte, perdonami.»
Facevano sempre così, era un continuo discutere, ma in realtà si adoravano e nessuna avrebbe fatto a meno dell’altra. Tuttavia, finita l’estate, si verificò qualcosa di imprevedibile, che fece crollare gli equilibri di quel duetto perfetto: Olivia si sentì male. La portarono in ospedale e lì, dopo una serie di esami, alla ragazza fu diagnosticato un tumore maligno ai polmoni, già piuttosto esteso.
Dal momento in cui ricevette la notizia, Isabella smise di pensare.
Era certa di vivere in un brutto incubo, di quelli terrificanti che ti fanno svegliare tutta sudata, ma che prima o poi finiscono. Eppure più passava il tempo, più quell’incubo diventava reale. Farsene una ragione era impossibile, ma lentamente le sorelle iniziarono a comprendere ciò che stava succedendo. Tuttavia, nessuna delle due aveva voglia di pensarci.
Ogni volta che Isabella andava a trovare la gemella, le ragazze parlavano di tutto fuorché della situazione in cui si trovavano. Non volevano perdere un secondo del tempo che era rimasto loro, poiché entrambe sapevano che non sarebbe stato molto.
Il tempo sembrava correre più veloce che mai e Isabella avrebbe fatto qualsiasi cosa perché rallentasse. Gli eventi si susseguivano a una velocità indicibile, tanto che pareva accadessero tutti insieme: il primo ciclo di chemioterapia, i capelli caduti, altri esami dall’esito scoraggiante, Olivia che perdeva peso e lentamente cambiava aspetto, Olivia che doveva respirare con l’ossigeno attaccato, Olivia che non poteva camminare perché si stancava, il loro compleanno.
Sul compleanno non si poteva scherzare: dovevano andare alla cascata. Per fortuna i genitori ottennero il permesso dai medici per far uscire Olivia dall’ospedale, ma avevano soltanto tre ore di tempo.
Dovevano sbrigarsi.
La scampagnata fu molto più faticosa del solito, dato che dovettero spingere la sedia a rotelle, ma ne valse la pena: la cascata era maestosa e bellissima come sempre.
«Vieni Olivia, dobbiamo disegnare.»
«Non ci riuscirei Izzy, abbiamo poco tempo.»
«Abbiamo anche quattro mani.»
Le due gemelle si guardarono, poi risero e tirarono fuori tutto il necessario. Lavorarono per un’ora e alla fine il risultato fu pietoso. Era senza dubbio il peggior disegno tra quelli della collezione, ma non importava, lo avevano fatto insieme e questo lo rendeva unico.
Fu l’ultimo momento felice che passarono insieme: pochi giorni dopo, Olivia ripeté i suoi esami e scoprì che la sua situazione era notevolmente peggiorata. I risultati lasciavano ben poco spazio alla speranza, anche da parte dei dottori, sul tempo che le rimaneva, or-mai sempre più ridotto. Tutto si fece di nuovo scuro.
Isabella andò a trovarla in ospedale per quella che temeva essere l’ultima volta. Sua sorella quasi non parlava più, ma non ne aveva bisogno: si trasmisero una serie di emozioni indefinibili solo guardandosi. Nessuna delle due pianse e nessuna delle due disse mai addio all’altra, sapevano per certo che sarebbero state sempre il pezzo mancante del cuore della gemella, comunque fossero andate le cose.
Tre ore dopo che Isabella ebbe lasciato la stanza d’ospedale, Olivia chiuse gli occhi per l’ultima volta. Per la gemella, fu come se una parte della sua anima le fosse stata scavata via: non sarebbe mai più stata intera, come un puzzle che non può essere completato per via del pezzo mancante. Era così e non sarebbe mai cambiato.
Arrivò il giorno del loro compleanno e Isabella tornò alla cascata, senza chitarra né colori. Si sedette semplicemente vicino all’acqua scrosciante e ascoltò quel suono così familiare ed estraneo allo stes-so tempo. Le sembrava che dall’acqua uscissero mille flebili voci sus-surranti, tra cui quella della sorella, che aspettavano solo qualcuno che le ascoltasse.
Avevano tutte qualcosa da raccontare, ma non potevano farlo. Erano la voce di chi non poteva parlare. La voce dei muti.
In quel momento Isabella si sentì chiamare, come se i tasselli che componevano il disordinato puzzle della sua anima ritornassero al loro posto, lasciando solo un timido spazio vuoto, che la ragazza avrebbe tentato di riempire per tutta la vita, attraverso quella che realizzò essere la propria missione.
Sarebbe diventata lei la voce di tutte le storie che non potevano essere raccontate. Avrebbe regalato emozioni a chiunque avesse letto le parole che scriveva, avrebbe svolto per tutta la vita il lavoro più bello del mondo: sarebbe diventata una scrittrice.
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