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Lady Gaia

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Mentre è in America per lavoro, Pasquale scopre che Pippo, grande amico d’infanzia con cui i rapporti si sono ormai diradati, è morto. Sconvolto 
dalla notizia, dopo aver saputo che era convolato a nozze da poco, decide di andare a fare visita alla vedova, Gaia, per offrirle il suo supporto 
e la sua vicinanza. Quello che Pasquale non immagina, però, è che la donna è così bella da scatenare in lui la sindrome di Stendhal. Inizia, così, un periodo di forte turbamento per l’uomo, che non riesce a smettere di pensare a lei, ma al contempo si sente estremamente in colpa per essere attratto dalla moglie di uno dei suoi più cari amici. Ad aiutarlo in questa lotta contro se stesso, però, c’è la sua dignità, ribattezzata Pasquale Secondo, che lo mette in guardia fin dai primi attimi di turbamento.

PROLOGO

A Pasquale stava scoppiando la testa. Moriva di sonno e non aveva fame, ma doveva pur mangiare qualcosa, per cui si preparò a scendere a fare colazione.

Il suo hotel era modesto, ma funzionale. Guardò fuori dalla finestra il cielo sgombro sopra San José, California, cittadina simbolo della Silicon Valley.

Dannato fuso orario, pensò.

Era in America da soli due giorni per un corso di aggiornamento professionale e trovarsi a nove ore di differenza rispetto a dove viveva e lavorava non era stata una passeggiata.

In vita sua non aveva mai viaggiato tanto, avendo bazzicato sempre in Europa o al massimo in Africa, quindi era la prima volta che subiva gli effetti di uno sfasamento consistente dei ritmi di veglia e sonno.

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Aveva passato la prima notte con gli occhi sbarrati e in preda alla fame. Aveva rifiutato un hotel più prestigioso perché non amava tanto la confusione, ma in quel momento aveva rimpianto il fatto di non poter chiamare di notte per farsi preparare qualcosa. Così era dovuto uscire per comprarsi da mangiare, ma fortunatamente in America i locali erano aperti a qualsiasi ora.

Il mattino dopo aveva saltato la colazione perché non aveva fame e poi, verso le nove e mezza, in piena attività lavorativa, gli era piombato addosso un sonno tremendo. Aveva faticato letteralmente a tenere gli occhi aperti, ma purtroppo la giornata era ancora lunga.

Intorno alle tre gli era venuta di nuovo fame, ma era troppo presto per cenare anche per gli standard americani.

Quantomeno, la sua permanenza lì sarebbe durata circa un mese, permettendogli di riuscire a ritrovare un ritmo sano ed equilibrato.

Pensa se dovevo starci solo una settimana… Il tempo di abituarmi e sarei dovuto partire di nuovo, rifletté cercando di vedere il lato positivo della cosa.

Quello era stato il primo giorno e gli americani si erano mostrati comprensivi. Il secondo giorno era andato più o meno allo stesso modo, ma gli era scoppiato quel mal di testa atroce.

A ogni modo, il terzo iniziò ad andar meglio e, finalmente, la sera del quarto Pasquale andò a dormire svegliandosi il mattino dopo fresco e riposato.

«Ah, era ora!» esclamò felice. «Andiamo a fare colazione.» Il suo buonumore, però, durò ben poco.
Come ogni mattina, infatti, si mise a sfogliare la prima pagina del sito di MilanoToday, per restare aggiornato sulle notizie della sua città. Niente di interessante, solita solfa.

Così passò alla cronaca nera e rimase pietrificato. Tra gli altri, c’era il seguente titolo: Uomo precipita dal dodicesimo piano: morto sul colpo.

Sotto, la foto di Pippo, uno dei suoi più cari amici.

CAPITOLO UNO

Pasquale Russo, Pippo Rizzo e Sergio Corengia erano nati lo stesso anno, agli antipodi d’Italia, ma erano cresciuti insieme, diventando migliori amici.

I genitori di Pasquale erano originari dell’entroterra campano, nell’avellinese, e quelli di Pippo erano salentini. Avevano in comune il fatto di essere emigrati a Torino verso la fine degli anni Sessanta e di aver trovato lavoro allo stabilimento Mirafiori della Fiat.

In quegli anni la vita non era rose e fiori per i meridionali. La tristezza degli affetti lontani era amplificata dal clima freddo e dal tempo grigio. L’accento piemontese, alieno alle loro orecchie, rimarcava di continuo il loro trovarsi lì.

La Fiat, però, dava loro da vivere e i genitori di Pasquale e Pippo erano grati di avere quella possibilità, per cui lavoravano duro senza lamentarsi. Con lo stipendio pagavano l’affitto, mantenevano la famiglia e, con grandi sacrifici e straordinari a non finire, riuscivano anche a mettere da parte qualcosa.

Russo e Rizzo non erano solo colleghi di lavoro e meridionali. In comune avevano anche l’aver dato ai figli il nome del proprio padre e aver fatto in modo che nascessero al Sud, quasi che il fatto di aver scritto “Torino” sulla carta d’identità potesse contaminarli a vita.

E poi c’era Corengia.

Collega di lavoro dei due, era uno dei settentrionali, non tanti in realtà, a non aver pregiudizi sui “terroni”, come venivano chiamati gli emigranti dal Sud Italia. In un tempo in cui il solo sentire l’accento meridionale nel chiedere informazioni per una casa in affitto procurava brusche chiusure di citofono, Corengia aveva imparato presto ad apprezzare la serietà e l’abnegazione sul lavoro di Russo e Rizzo. Calmi, pacati, senza grilli per la testa, il loro unico obiettivo era mandare avanti la famiglia e assicurare ai figli un futuro migliore di quello che era toccato a loro.

Era stato Corengia, nel 1967, a trovare casa a Rizzo nel paesino di provincia in cui viveva, vicino Torino. Aveva personalmente garantito al proprietario che, anche se il suo collega era meridionale, era comunque una brava persona. Così Rizzo aveva potuto farsi raggiungere dalla moglie, sposata l’anno prima nella natia Puglia.

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Gianluca Iannotta
nasce a Caserta nel 1975. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza a S. Agata de’ Goti (BN), studiando chitarra classica e arti marziali. Nel 1998 entra nella Guardia di Finanza e nel 2000 si trasferisce a Palermo per lavoro, dove si iscrive alla facoltà 
di Scienze Motorie, conseguendo la laurea con lode nel 2005. Lady Gaia è il suo romanzo d’esordio.
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