Pasquale andò a dormire svegliandosi il mattino dopo fresco e riposato.
“Ah, era ora!” Esclamò felice. “Andiamo a fare colazione.”
Il suo buonumore durò ben poco.
Passò alla cronaca nera e rimase pietrificato.
Sotto, la foto di Pippo, uno dei suoi più cari amici.
La settimana seguente, un sabato pomeriggio, Pasquale bussò al campanello Rizzo – Bancinelli, in via Ubaldo Forci 212.
“Chi è?” Rispose una voce dopo un po’.
“Ehm… ciao, non ci conosciamo. Io sono Pasquale, un caro amico di Pippo. Sono… sono stato in America per lavoro per tutto il mese scorso, e non sono potuto passare prima, non potevo rientrare in anticipo. Ero passato a vedere come stavi…”
Pasquale si sentì un po’ idiota nel dare tutte quelle spiegazioni per citofono, ma la voce di lei gli giunse con naturalezza.
“Ah, Pasquale. Sì, Pippo mi ha parlato molto di te. Sali, dodicesimo piano, scala D.”
Uscito dall’ascensore, Pasquale si trovò davanti a una porta già aperta, occupata da una delle ragazze più belle che avesse mai visto in vita sua.
Dall’articolo sul sito ricordava che aveva 32 anni, ma non ne dimostrava più di 23 o 24.
“Ciao, piacere Gaia,” disse lei tendendogli la mano, con un sorriso accennato.
Pasquale bofonchiò un “Piacere, Pasquale,” e lei si era già scostata per farlo passare. E meno male, non avrebbe fatto una bella figura restando a guardarla come un pesce lesso.
“Vieni, accomodati.” La precedette in casa imbambolato, imponendosi di riprendersi in fretta.
Lei aveva capelli di un biondo miele, tenuti fermi da una coda di cavallo. La pelle del viso era liscia, senza l’ombra di una ruga o della minima imperfezione.
E non è nemmeno truccata, notò Pasquale. Guardandola, avvertì la stessa meraviglia provata la prima volta che aveva visto, in un video dimostrativo, un filmato in 4k su una TV Oled.
Le proporzioni del viso erano perfette. Avrebbe potuto fare la modella di quelle pubblicità di prodotti detergenti, che impiegano solo ragazze splendide dagli occhi chiari e dalla pelle luminosa. Solo che in TV gran parte del lavoro lo fanno i filtri e gli effetti video, Gaia invece era così al naturale.
Emanava un senso di angelica purezza.
Ciò che colpiva Pasquale quasi fisicamente erano gli occhi, due smeraldi verdi che, con il sole che entrava al dodicesimo piano a quell’ora del pomeriggio, sembravano brillare di luce propria.
Madonna che bella, pensò affascinato.
Lei lo fissava con franchezza, un’espressione neutra ma nella quale affiorava il dolore della perdita.
Dalle parole usate da lui al citofono, le aveva fatto capire che sapeva già della disgrazia, difatti disse: “Mi dispiace conoscerti in queste circostanze.”
“Anche a me,” rispose lei. “Posso offrirti qualcosa? Un caffè, un succo di frutta, qualcos’altro?”
“Un caffè, grazie.”
“Fammi compagnia se vuoi, così parliamo.”
Lui la seguì in cucina, osservandola mentre con fare esperto preparava il caffè.
“Pippo mi ha parlato molto di te, di quello che combinavate quando eravate ragazzi,” sorrise girandosi a guardarlo, “voi tre,” concluse, riferendosi anche a Sergio.
“Invece io di te non sapevo niente. L’ultima volta che ci siamo riuniti, Pippo non ci ha detto nulla. Quando è stato? Due anni e mezzo fa.”
“Allora noi ci conoscevamo, ma non stavamo insieme, per questo forse non vi disse niente. Io lavoravo in un bar vicino al suo posto di lavoro e lui veniva a prendere il caffè tutte le mattine. Sai com’è, una parola tira l’altra… ci siamo messi insieme poco dopo la vostra rimpatriata, e sposati l’anno scorso…” A Gaia iniziarono a inumidirsi gli occhi di lacrime.
“Scusa, non volevo farti ricordare…” tentò di consolarla lui.
“Figurati,” rispose lei tirando un po’ su col naso, “per ora è così. Non mi sono ancora ripresa, e ci mancherebbe. Che beffarda la vita, proprio l’altro giorno pensavo che non mi ero ancora abituata… a… a sentirmi…” iniziò a incrinarsi la voce, “… a sentirmi chiamare signora, e sono già vedova.”
Iniziò a piangere e Pasquale distolse lo sguardo per non metterla in imbarazzo, anche se a ben vedere, pur non conoscendosi, loro due avevano l’affetto per Pippo che li legava insieme.
Poi la guardò e, cosa che non avrebbe mai creduto possibile, rimase ancora più incantato di prima. ll suo cuore si fermò per un istante.
La cucina era illuminata più del salotto. I raggi del sole entravano dal balcone come sciabole dorate, colpendo Gaia in viso e riflettendosi sulle sue guance bagnate. I suoi occhi, pieni di lacrime e illuminati dalla luce, scintillavano accentuando il verde.
Iniziarono a scendere le lacrime anche a lui, e lei pensò che piangesse per Pippo, ma non era così.
Pasquale stava vivendo la Sindrome di Stendhal, nel suo caso indotta non da un’opera d’arte, ma da una persona. Si sentì mancare, e meno male che era seduto.
Guardò quegli occhi e si sentì come immerso in un mare tropicale, sovrastato dalla sua immensità. Quello sguardo carico di dolore vestiva Gaia di una bellezza indescrivibile e in quell’istante Pasquale si innamorò perdutamente, con ogni fibra del suo essere, ogni goccia di vita che gli passava nel corpo, ogni respiro che esalava dai polmoni.
In quel momento, però, non lo comprese.
Fu lei a rompere l’incanto. “Scusa, non volevo far commuovere anche te,” disse equivocando il suo pianto.
Lui si vergognò due volte, perché le uniche lacrime versate sarebbero dovute essere per il suo amico, e per il fascino travolgente e inopportuno che subiva da quella ragazza, sua moglie.
Quei sensi di colpa lo fecero riscuotere. Prese un tovagliolino di carta e si soffiò il naso.
“Figurati. Beh, io ero passato, oltre per conoscerti, per sapere se ti occorre qualcosa. Come te la passi?”
Anche lei si ricompose. Il momento era passato.
“Per ora vado avanti.” Gaia scrollò le spalle.
“Non voglio essere indiscreto, ma dall’accento non mi sembri milanese, anche se non capisco bene di dove sei.”
“Vengo da un paesino al confine tra Marche e Abruzzo. Mi sono diplomata, ho lavorato per un po’, ma la mentalità del posto non mi è mai piaciuta. Sono scappata a Milano, ormai… quasi nove anni fa.”
“Ti ho chiesto di dove sei perché nemmeno io sono di Milano e so cosa significa non avere parenti nelle immediate vicinanze. Se hai qualche problema chiamami pure.”
“Grazie, grazie davvero.” Lei espose un sorriso candido e regolare.
Ha anche la dentatura perfetta, pensò Pasquale, che si sentì in obbligo di aggiungere qualcosa.
“E poi, ehm, non vorrei che ti offendessi, ma… ma no, se stavi con Pippo non sei la tipa che bada a certe cose. Prima hai detto che lavoravi in un bar…”
“Sì. Perché?” Non aveva capito a cosa si riferisse. Lo guardava con un’espressione d’attesa.
“Ehm, ripeto, l’ultima cosa che voglio è urtare la tua sensibilità, ma anche a livello economico, se hai bisogno di qualcosa, non farti problemi.”
L’espressione assorta si aprì in un sorriso smagliante, e a Pasquale parve che il mondo si colorasse più intensamente di prima. Si sentì venir meno, per la seconda volta.
“Grazie!” Esclamò lei.
Marie-Henri Beyle, detto Stendhal, aveva provato quelle sensazioni la prima volta in cui era stato a Firenze, uscendo dalla Basilica di Santa Croce. Pasquale si identificò nelle sue parole: La vita mi è stata prosciugata. Ho camminato con la paura di cadere.
“Sei molto gentile,” proseguì Gaia ignara del suo tumulto interiore, “ma del resto Pippo me l’aveva detto, che per lui sei come un fratello.”
“Sì, hai detto bene, proprio… un fratello…” stavolta fu lui a commuoversi, colpito da un’ondata di dolore per la perdita del suo caro amico.
“Scusami,” si ricompose, “ma non potevo non chiedertelo.”
“Tranquillo. Sì, quando ci stavamo per sposare ho lasciato il lavoro al bar, in effetti facevo turni molto pesanti. È stato Pippo a insistere. Ha detto che guadagnava abbastanza per mantenere una famiglia, anche qui a Milano, ed è vero. Tra l’altro aveva anche dei fondi investiti, e un’assicurazione sulla vita. Non ne ero a conoscenza, me l’ha detto l’avvocato che ha curato la successione. Comunque apprezzo molto la tua offerta, anche quella di aiutarmi se dovessi aver bisogno di qualcosa.”
Chiacchierarono ancora un po’ del più e del meno, poi Pasquale ritenne che fosse arrivato il momento di andarsene.
“Beh, si è fatto tardi. Io devo andare.”
“Mi ha fatto veramente piacere averti conosciuto,” sorrise lei.
“Anche a me. Vuoi il mio numero di telefono? Che ne dici? Se dovesse servirti qualcosa…” Dopo essersi offerto di aiutarla in tutti i modi, Pasquale non poteva non dirlo.
“Certamente! Anche per sentirci, ogni tanto.”
“Giusto,” convenne lui. Si scambiarono i numeri e Pasquale se ne andò. Scese in strada, guidò fino a casa come ubriaco, e si accorse di essere arrivato solo quando aprì la porta.
Per tutto il tragitto aveva guidato in uno stato alterato di coscienza, vivendo e rivivendo ogni istante, ogni sguardo, ogni parola che si erano scambiati, e poi ancora, e ancora, e ancora, in un loop senza fine.
L’immagine delle sue guance bagnate di lacrime, scintillanti nel sole al tramonto, non l’avrebbe mai più abbandonato.
Paragrafo 19
Il sabato seguente Gaia e Pasquale uscirono con Giorgio e Clara, i suoi colleghi. Andarono a mangiare in un locale e la serata passò piacevolmente. I quattro si trovarono bene insieme, e le ragazze si scambiarono i numeri di telefono.
Erano usciti con l’auto di Pasquale e, mentre lui e Gaia tornavano a casa dopo aver accompagnato i colleghi, un automobilista uscì da una curva tagliando la strada. Stava per tamponarli frontalmente, e Pasquale fu bravo a frenare e a stringersi al bordo della carreggiata per evitarlo.
“Guarda quest’idiota…” fece lui.
“Bastardo! Ci stava venendo addosso!” Gaia era imbestialita. “Quando fanno così, mi devi credere…”
Non riusciva nemmeno a parlare dalla rabbia.
“Stai calma,” cercò di tranquillizzarla Pasquale, “alla fine è andato tutto bene.”
“Sì, ma ci siamo spaventati. Questi coglioni che non sanno guidare, se fosse per me li ammazzerei!”
“Addirittura! Cavolo, stai tremando,” disse lui
…
Rimasero un po’ così. Gaia era assorta nei suoi pensieri, Pasquale dopo un po’ sentì un rumore strano, senza riuscire a capire da dove provenisse. Si girò per un attimo a guardarla e si terrorizzò, cercando di non farlo vedere.
Gli si erano drizzati i peli delle braccia.
Gaia stava ringhiando.
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