Oggi sono tornata, dopo tanti anni, in un luogo che mi è sempre stato caro, un luogo che mi ha accolto
in momenti piacevoli e soprattutto confortato nei momenti inquieti.
Ho percorso con la macchina il breve tratto di strada, che da quella principale porta verso lo sbocco sul
mare. Sono scesa e mi sono lasciata avvolgere dall’aria pungente colma di salsedine, e nelle orecchie
solo il rumore delle onde che si infrangono sugli scogli.
Sono rimasta lì in piedi, nessun passante, nessun rumore, se non quello del mare. Il cielo imbronciato
lasciava intravedere la sagoma del promontorio.
Ho respirato, ma non sono riuscita a provare quelle sensazioni che nei ricordi mi hanno legato a quel
pezzetto di terra protesa verso il mare.
È tutto diverso: quel muretto che mi proteggeva dal vento si è fatto più piccolo, il breve tratto di
spiaggia sassosa è sporco. È tutto diverso: non ho più diciotto anni.
Solo il rumore del mare e il profumo di salsedine sono gli stessi. Un rumore mi ha infastidito e mi ha
distolto dal ricordo.
Ma che ore sono?
Matilde, guardando l’orologio, si rese conto di aver trascorso tutta la notte davanti a quella tela, e il
risultato non era molto soddisfacente.
Troppo rosso, troppo contrasto con tutto quel nero. Diavolo, ma che sta succedendo? Non ho mai usato
colori così forti e intensi!
Alzandosi dallo sgabello che usava per dipingere, si avvicinò alla finestra. L’aprì e cercò di riprendersi
con l’aria pungente che entrava nella stanza. Era stanca, non aveva voglia di tornare a lavorare su quella
tela. Si buttò sul letto, cercando di riposare qualche ora. Al risveglio mise su quel CD che le piaceva
tanto.
Tornò a sedersi sullo sgabello e il pennello cominciò ad affondare nei colori. Un ritratto di donna: lei
leggermente di profilo in un lungo abito rosso. Ma di chi era quel volto che le armava la mano?
Il lavoro le piaceva e contemporaneamente sentiva, però, un senso di fastidio nei confronti di quella
donna ritratta. Non le era mai capitato di provare una tale sensazione. Un po’ quella donna le somigliava
fisicamente, per il colore castano dei capelli, gli occhi scuri e per qualcosa d’interessante nel viso.
Continuò a lavorare, assentandosi completamente da tutto il resto. Era sola in casa, nessuno poteva
disturbarla e interromperla. Dopo diverso tempo, guardando nuovamente fuori dalla finestra, si accorse
che ormai il cielo si stava tingendo dei colori del tramonto.
Accidenti, ma che ore sono? si chiese ricordandosi di avere un appuntamento di lavoro.
Ma che importanza ha che ore sono, non mi aspetta nessuno.
Sono comunque risalita in macchina e sono tornata a casa.
Con pigrizia e indolenza mi sono preparata un pasto fugace, ho acceso la TV per riempire il silenzio della casa.
Poi, preso il mio bloc-notes, ho cominciato a trascrivere alcune idee da utilizzare per questo benedetto romanzo, il più delle volte senza un’apparente coerenza.
Il desiderio di evadere, come sarebbe la vita se…
La cosa certa è che in questo preciso istante la mia vita non procede molto bene. Eppure tutto farebbe pensare il contrario.
Solo un anno fa, alle soglie dei quarant’anni, ho scritto un romanzo e me lo hanno pubblicato. Sono diventata, per un momento, un caso letterario. Un anno vissuto tra incontri, interviste, notorietà. Ho anche trovato un editore che vuole puntare sul mio nome per creare una nuova collana. E così, eccomi alle prese con il mio secondo romanzo.
Ho sempre sorriso all’idea del cosiddetto blocco dello scrittore! Ma come si fa a rimanere inermi davanti a un foglio bianco quando si ha il privilegio di colorarlo con la propria fantasia, raccontando la vita del protagonista e del mondo che gli gira attorno? Eppure devo ricredermi.
Guardo quel foglio bianco e mi sale l’angoscia di non avere più nulla da raccontare. Poche frasi che sistematicamente cancello, perché non hanno senso, non riesco a trovare l’idea, la trama ogni volta è sempre troppo debole perché acquisisca la forma di un romanzo.
Per il primo non era stato così difficile, anche se avevo scritto proprio di me, della mia vita. La complessità, allora, era dettata dal pudore che si ha nel raccontarsi apertamente.
Stavolta mi sono imposta di scrivere utilizzando solo la fantasia, prendendo magari spunto qua e là dalla realtà, ma principalmente volevo raccontare attraverso l’immaginazione. Eppure è così difficile iniziare. Forse un po’ di musica potrebbe farmi trovare l’ispirazione.
Suonano alla porta e, come al solito, non aspetto nessuno.
«Si può?» Riconosco la voce di mia sorella. Aprendo la porta mi ritrovo davanti agli occhi un bel mazzo di tulipani.
«Dai, entra.» La faccio accomodare in cucina.
«Ti va un caffè? Ho appena finito, diciamo, di pranzare» le dico sistemando velocemente i tulipani nel vaso.
«Come mai a quest’ora? Io ho già digerito il pranzo da un pezzo! Comunque non ho molto tempo, devo andare a casa che i bambini mi aspettano, però un caffè non lo rifiuto.» Metto su la moka, a fuoco basso. Ogni volta è un rito: riempire d’acqua, far scendere la giusta dose di polvere nera, l’attesa del rumore scoppiettante e l’aroma che pervade la stanza. Preparo le tazzine, quelle di ceramica colorata. Mi mettono allegria. Il caffè ha sempre su di me un effetto rilassante, quasi che riesca a mettermi di buon umore.
Stavolta però l’impresa è difficile.
«Allora, come va il romanzo? Quando mi farai leggere questa nuova opera?»
Guardo di sfuggita mia sorella. Mentre sorseggio il caffè, le rispondo con poca convinzione: «Presto, presto! Non avere troppa fretta». Non ho neanche il coraggio di dirle che sono ferma. Ferma alla prima parola.
«Mia cara, conoscendoti avrai già scritto almeno seicento pagine! Ma capisco la tua riservatezza, non insisto. Quando vorrai il mio parere…» Intanto si alza e si incammina verso l’ingresso. La seguo provando un senso di sollievo. Non ho voglia di fingere e tanto meno di parlare solo del libro.
Richiudo il portone alle sue spalle.
E ora che faccio?
***
Silvia a quell’ora era sempre intenta a preparare la cena per lei e suo marito.
Una vita da pubblicità, perfetta, ogni cosa al suo posto: la giusta dose di emozioni, di romanticismo ma anche di razionalità e concretezza. Si dedicava alla cura della casa, al matrimonio e ai tanti hobby. Nessun figlio. Di tempo libero ne aveva.
Erano trascorsi così quasi cinque anni, e forse iniziava a sentire il vuoto dovuto alla mancanza di figli. Per motivi di salute le era stato consigliato di abbandonare l’idea di averne, per non compromettere un equilibrio forse precario, tra ormoni e salute fisica.
In realtà, la malattia che l’aveva colpita in giovane età non era del tutto conosciuta, e così la prudenza si era rivelata un’arma necessaria. Con il suo caso aveva di certo abbassato l’età media delle donne colpite da tumore al seno.
Di colpo era diventata adulta, troppo presto.
Aveva affrontato tutta la faccenda con una calma impressionante, per il medico che la curava, per il chirurgo che la operava, per la sua famiglia. Il buon senso le aveva fatto accettare con relativa calma la situazione, anche se dentro la paura non l’aveva mai abbandonata un istante.
Per Silvia quella era stata una giornata strana, segnata da un bizzarro impulso nervoso di aprire le finestre e respirare. L’aria raggiunse e riempì i suoi polmoni. Non che avesse di che lamentarsi o preoccuparsi.
La sensazione che qualcosa le sfuggisse aveva fatto capolino nella sua testa. Lo sguardo si smarrì tra i colori di un tramonto che sembrava fosse stato dipinto proprio per lei.
Ogni volta che il cielo si tingeva di rosso e il sole appariva come un’immensa palla di fuoco, non poteva fare a meno di pensare a suo padre. Era come se lui le volesse dire: “Sono qui, sto bene. Non preoccuparti per me e vivi serena come lo sono io”.
Cercò di riprendersi dallo stordimento in cui era scivolata. Di lì a poco sarebbe tornato suo marito e doveva ancora finire di cucinare e preparare la tavola.
***
Il buon senso mi dice di provare a passare un po’ di tempo davanti al computer e scrivere almeno una trama plausibile, il mio animo invece mi spinge a prendere un’altra decisione.
Ho bisogno di respirare aria nuova.
Nessun legame, nessun ostacolo. Prendo un catalogo di viaggi e decido di sceglierne uno. A caso. Finalmente scelgo: prenderò il treno per una città dove non sono mai stata. Non ho bisogno di allontanarmi troppo, solo quel poco per ritrovare la fantasia, la voglia di raccontare e raccontarmi. Prenoto treno e albergo, preparo rapidamente la valigia scegliendo poche cose essenziali. Starò via solo qualche giorno. Qualche telefonata di rito, giusto per avvisare che per un po’ sarò fuori.
Alla stazione controllo il binario, corro come una disperata verso il binario 10. Il treno è lì, pare che stia aspettando proprio me. Trovato il vagone, sto per salire quando sono distratta da qualcosa. Poco distante, un uomo tiene dei fogli in una mano. Sta piangendo.
Rimango sospesa tra il marciapiede e il primo gradino. Quasi che la forza di gravità mi impedisca di compiere quel piccolo salto che mi porterebbe sul treno.
Ora prende il cellulare, compone un numero: chi starà chiamando? Sono lontana per capire le parole, ma abbastanza vicina per sentirne il respiro affannoso. Mentre parla continua a piangere, copiosamente.
Il capotreno mi riporta al motivo per cui mi trovo lì, devo salire sul treno se non voglio perderlo. Esito, attendo di vedere se anche l’uomo lo prende.
Eccolo riporre il cellulare in tasca, ricomporsi e salire.
Al fischio del capotreno compio lo sforzo di saltare su. Cerco il mio posto, sistemo il bagaglio e affondo nella poltrona.
Mi sveglio di soprassalto. Accidenti, ma che ora è?
Il ritmo del treno ha provocato in me un tale rilassamento che mi sono addormentata. Percepisco un respiro che non è il mio. Sbircio intorno a me per capire da dove provenga e mi accorgo che sulla sinistra, poco più indietro, è seduto l’uomo.
Rivolto verso il finestrino, il suo sguardo sembra assente. Il paesaggio scorre, ma non davanti ai suoi occhi. Tiene stretti nella mano un pugno di fogli. Forse gli stessi che leggeva alla stazione. Gli occhi sono ancora gonfi di pianto, che trattiene a stento. Il ritmo affannoso del respiro sembra non volerlo lasciar riposare.
Non mi era mai capitato di vedere un uomo piangere in un luogo pubblico. Doveva essere veramente sconvolto per farlo alla stazione. Sarà per una donna? Per cos’altro, se no! Quasi la invidio.
Lo osservo, in preda a una forza di attrazione che non fa distogliere il mio sguardo dalla sua persona. Non è bello, distinto sì. Quello che mi colpisce di più è il movimento delle mani: morbido e delicato. E la cura con cui le muove tra i fogli. Comincio a sentire tutta la stanchezza del viaggio, anche se il tempo è trascorso velocemente tra il sonno e quell’uomo che ho scrutato a lungo.
***
Giornata spossante, tutto il giorno tra il tribunale e lo studio. I clienti che vogliono avere sempre ragione e lei lì a riempirsi di chiacchiere, a ribadire che non sempre i risultati possono essere favorevoli. Dentro di sé Giulia era certa che la scelta di frequentare Giurisprudenza era stata giusta, le era sempre piaciuta. Certo, un ripensamento lo aveva avuto, ma dopo aver ripreso gli studi sembrava che tutto fosse filato liscio.
A distanza di qualche anno, ora aveva uno studio più che avviato, era conosciuta nel settore del diritto di famiglia. Si occupava principalmente di minori, era molto legata ai bambini, anche se non ne aveva. Forse proprio questo l’aveva spinta a interessarsi dei tanti piccoli abbandonati o costretti a vivere in situazioni di disagio. Entrando in villa, chiuse il portone dietro le sue spalle.
Le corse incontro Flò, una piccola cocker. Quando la vide la prima volta, rimase affascinata dall’espressione dolce del suo musetto. Si erano piaciute a prima vista e dal momento che Flò era in cerca di casa, Giulia aveva deciso di metterle a disposizione la sua.
Sono i cani a scegliere me o sono io che non so resistere a loro? si domandò togliendosi in corridoio le scarpe che iniziavano a farle male. Arrivata in camera si guardò allo specchio. Non era bella, non si sentiva tale. I suoi capelli troppo castani, i suoi occhi troppo scuri, c’era sempre qualcosa che non andava in lei.
Si preparò un bagno caldo e si immerse nell’acqua nascondendosi nella schiuma profumata, perdendo la cognizione del tempo. Fu la sveglia proveniente dal suo cellulare a distoglierla dal torpore.
***
Finalmente l’annuncio, il treno sta entrando in stazione.
Mi infilo il cappotto, tiro giù la valigia e mi dirigo verso l’uscita del vagone. Proprio dietro di me, l’uomo. Ne riconosco il respiro. Non faccio in tempo a scendere dal treno che il cellulare si mette a squillare. È mia sorella.
«Diamante, sei arrivata? Si può sapere che ti prende, partire così all’improvviso!»
«Non ti devi preoccupare, ti ho detto che è per lavoro.» Mi rendo conto però che la mia voce tradisce un certo fastidio.
«Lavoro, lavoro. Non me la racconti giusta. Non sarà mica per un uomo?» Mia sorella ancora non si dà pace che io non abbia nessuno accanto.
«Ma che vai pensando! Senti, ora ti devo lasciare altrimenti non raggiungerò mai il mio albergo. Non ti preoccupare che mi faccio viva io quando posso!» Taglio corto, un po’ per il freddo con cui la città sembra darmi il benvenuto, un po’ perché voglio seguire quell’uomo.
È sceso con me. Si guarda intorno come se aspettasse di incontrare qualcuno. Forse l’autrice della lettera?
Gli si avvicina un tipo che, dopo averlo salutato, lo invita a seguirlo. Gli corro dietro e capisco che stanno parlando di lavoro. D’improvviso perdo tutta la curiosità per lui. Non sono partita per fare l’investigatrice, anche se un giallo non sarebbe male come secondo romanzo.
Mi dirigo verso il primo taxi della fila, salgo e chiedo all’autista di portarmi velocemente in albergo.
Profumi e colori
Peccato che debba uscire, pensò Matilde mentre guardava il suo dipinto. C’era una prevalenza di rosso, rosso fuoco. Il vestito della donna, leggermente morbido nelle forme, con uno scollo che lasciava scoperte le spalle ben disegnate.
Non c’era più tempo, doveva prepararsi per non arrivare tardi. La sua migliore amica le aveva organizzato un vernissage, esponendo tutti i suoi lavori: quadri e sculture sparsi nell’incantevole cornice di un cortile interno, in uno dei palazzi più caratteristici della città. Un po’ il ritrovo dei pittori.
Anche se la serata richiedeva un abbigliamento particolare, Matilde infilò il primo paio di pantaloni che trovò e sopra mise una camicia in stile indiano. Una delle sue tante sciarpe di seta e un filo di trucco.
Come imboccò la stradina che portava al palazzo, sentì le tante voci provenire dal cortile. In cuor suo sperava che la serata si traducesse in un successo, sarebbero stati presenti dei critici e pittori molto più esperti di lei. Un buon risultato le avrebbe garantito l’inserimento in un ambiente davvero particolare.
Entrando dal cancello in ferro battuto, si trovò davanti a un discreto numero di persone, intente a sorseggiare un aperitivo mentre si scambiavano le impressioni sull’ultima mostra d’arte contemporanea che era stata organizzata proprio in città. Alcuni stavano ammirando le statue che aveva appena creato. Mentre attraversava il cortile, sentiva i commenti positivi e questo un po’ la rincuorò.
Era alla sua prima vera mostra personale, già si era affacciata sul palcoscenico e aveva ricevuto buoni apprezzamenti. Ma il timore di non rispondere in modo adeguato alle aspettative degli appassionati d’arte c’era tutto.
Con un po’ di sana agitazione, si diresse verso l’unico volto amico che in quel momento le sorrideva: quello di Dario.
***
Mi sorride il portiere dell’albergo, mentre mi consegna le chiavi della mia camera: «Signora, la sua camera è pronta» mi dice.
La stanza è spaziosa, ben pulita e curata. Non che voglia rinchiudermi qua dentro, tanto valeva rimanersene a casa, ma una stanza accogliente già mi mette di buon umore.
Una doccia calda, lunga e rigenerante è quello che mi concedo, non appena chiudo la porta dietro di me. È già ora di cena quando mi guardo allo specchio dentro il mio vestito rosso, rosso fuoco! Ma come mi è saltato in mente di metterlo in valigia, qui non conosco nessuno e sarà improbabile usarlo. Ripiego per uno dei tanti coordinati, pantalone e camicia, che uso quotidianamente. Un foulard, un filo di trucco per nascondere parte della stanchezza dovuta al viaggio.
In breve tempo sono già fuori, per le vie del centro. L’aria è pungente e rimpiango il clima mite della mia città. Chiusa nella giacca, inizio l’affannosa ricerca di un ristorante.
Ne tralascio alcuni, guardando tra i vetri noto che sono quasi vuoti. Finalmente mi trovo davanti all’ingresso di un locale, due scalette in discesa per entrare. C’è un gruppo di ragazzi che sta facendo la fila davanti al portone.
Le pareti sono dipinte con scene della città. Sembra di stare all’aperto, tra la folla. Per una che è in cerca di emozioni e che odia stare sola, l’effetto è sorprendente.
Mi accomodo come al solito sedendomi con le spalle al muro, chissà perché ho questa fissazione! Devo poter controllare la sala e tutti quelli che sono vicino a me. Decido di lasciarmi andare alla buona cucina e ordino le pietanze tipiche, dolce compreso. Le luci diffuse e la musica che riempie la sala mi danno un senso di allegria. Come vorrei che ci fosse qualcuno con me, per avere un po’ di compagnia. Ultimamente però non sono riuscita a mantenere il ritmo che essa impone. Mi sono chiusa in me stessa, troppo presa a capire ciò di cui ho bisogno.
Apparentemente la mia vita si può definire normale, tranquilla, quotidiana, regolare… ma non è di questo che ho bisogno. Ho bisogno di respirare e assaporare tutto ciò che è possibile respirare e assaporare.
Senza perdermi nulla di quello che esiste al mondo.
A volte in passato, quando mi sentivo inadeguata alla vita, chiudevo gli occhi e mi immaginavo altrove, in altre situazioni, a vivere una vita diversa. Mi chiedevo: mentre io sono qui, dall’altra parte del mondo cosa stanno vivendo? E mi vedevo catapultata all’improvviso ai bordi di un ponte, nel rossore di un tramonto che non era il mio, ma quello di qualcun altro.
Sensazione insolita e prorompente.
Mentre affronto il secondo piatto, in fondo alla sala si preparano a suonare. Un piccolo gruppo di ragazzi dà il via a una gara di karaoke. Tra stonature ed esibizioni degne di un palcoscenico migliore, trascorro una serata tranquilla e piacevole.
Sul finire del mio pasto, proprio mentre sto per affondare il cucchiaio nel crème caramel, si apre la porta e vedo una figura familiare attraversare la sala. L’uomo che era sul treno, in compagnia della persona che lo aspettava alla stazione e due donne. La meraviglia temo traspaia sul mio volto.
Stavolta però non noto in lui nessun affanno, nessun malessere. Incontrandolo semplicemente ora, non credo che avrebbe suscitato in me la curiosità provata alcune ore prima.
Si siede a un tavolo nel punto opposto al mio, spalle al muro. Sorride ai commensali e sembra chiacchierare con un tocco di spensieratezza.
Mentre finisco il mio dolce, i ragazzi che erano entrati con me si preparano a uscire. Poco dopo anch’io lascio il ristorante. Uscendo accenno uno sguardo verso l’uomo: è ancora lì, intento a chiacchierare con i suoi amici. Sembra una persona come un’altra. Nessuna traccia di quell’inquietudine.
***
Preparare la tavola era una cosa a cui Silvia teneva in modo particolare. Sistemare con cura piatti, bicchieri, posate, tovaglioli. Ogni cosa al suo posto. Fiori sulla tavola, candele accese. Era un rito, sedersi e gustare le pietanze concedendosi il gusto di chiacchierare e raccontarsi l’uno all’altro.
Aveva scelto stavolta delle candele rosse e la tavola richiamava le sfumature vermiglie nei singoli oggetti che la arredavano.
In quel momento si aprì la porta e Walter la salutò con affetto, come tutte le sere. Mentre lui saliva al piano di sopra per farsi una doccia e cambiarsi, Silvia portava in tavola le pietanze. Accese lo stereo, scegliendo un po’ di musica come sottofondo.
Seduti a tavola, Walter iniziò a raccontarle i pochi avvenimenti di quella giornata di lavoro, come sempre. Lei s’interessava comunque delle piccole cose, del caffè preso con il collega o dell’ultimo resoconto andato a buon fine.
«E tu cosa hai fatto oggi?» le chiese Walter. In un primo momento non seppe rispondere. In realtà non le era successo nulla che potesse suscitare dell’interesse. I pensieri e quella strana inquietudine, che si erano fatti avanti per buona parte della giornata, erano qualcosa di particolare che poteva però essere fraintesa. Non erano dovuti a del malessere provocato dal loro ménage familiare, erano qualcosa di più profondo e difficile da spiegare. Accennò con un sorriso a piccoli gesti quotidiani.
La serata trascorse in tutta tranquillità. Al termine della cena, Silvia non aveva voglia di sparecchiare subito la tavola e riordinare la cucina. Affondarono insieme sul divano e scelsero un film. Finito il film, non avevano ancora voglia di andare a dormire. La serata aveva già il tepore primaverile. Uscirono sul terrazzo. Il gelsomino colpì le loro narici con il suo profumo intenso. Quella pianta era diventata parte integrante della casa, era cresciuta con loro ed era diventata ben presto riparo per alcuni uccelli che ne avevano fatto il loro nido.
Erano passati cinque anni da quando si erano conosciuti quasi per caso, quando si dice il destino! Silvia, all’epoca, era una studentessa universitaria. In un’aula gremita di gente, si era seduta accanto a una ragazza. Alla fine della lezione si erano date appuntamento per il giorno dopo, e così in breve tempo avevano stretto una bella amicizia.
Poi un giorno la sua amica Lilli le aveva proposto una cena a quattro: le avrebbe dovuto reggere il gioco con un ragazzo. Silvia non era certo propensa a questo tipo di serate, ma per fare un favore all’amica accettò. La serata era iniziata in modo un po’ particolare. Un collega di Lilli, che oltre a frequentare l’università lavorava, andò a prendere Silvia per poi raggiungere gli altri due direttamente al ristorante. La casa di Silvia si trovava a pochi chilometri dall’ufficio ed era di strada per il locale.
Puntuale alle venti, il campanello suonò. Era Walter. Quando lo vide la prima volta non provò alcun interesse, anche se era di certo una persona gentile ed educata. Forse quella sera non era disposta a storie d’amore, ma bastò uscire con lui il giorno seguente. Un film, una cena. Avevano scherzato tutta la sera come se esistessero solo loro.
***
Un bagno rilassante era proprio quel che ci voleva per riacquistare le forze per affrontare una serata così impegnativa. Giulia preparò con cura il vestito che avrebbe indossato, e cercò di organizzare anche la scelta d’abito per il marito che di lì a poco sarebbe rientrato a casa.
Puntò tutto su un vestito che aveva indossato in passato solo una volta. Aderente al punto giusto, di un rosso intenso. Per il marito scelse un completo blu notte, una camicia rosa e una cravatta con disegni piccoli, di gusto classico.
«Dove sei?» sentì la voce del marito provenire dal salone al piano di sotto.
«Paolo, qui in camera, mi sto già preparando. Non possiamo fare tardi» rispose, mentre lui l’aveva già raggiunta.
Erano stati invitati a un vernissage di una pittrice agli esordi. In realtà sia lei che il marito non avevano molti punti in comune con quell’ambiente, ma un cliente di Paolo aveva insistito tanto.
Anche Paolo era un avvocato, s’intendeva di società finanziarie. Si erano conosciuti all’università durante una prova d’esame.
Arrivati nel cortile di uno splendido palazzo, si meravigliò per l’atmosfera piacevole che c’era. Tanta gente che chiacchierava in piccoli gruppetti, sorseggiando degli aperitivi all’apparenza gustosi.
Si avvicinò a loro il cliente, che con un sorriso smagliante le strinse delicatamente la mano, accennando a un rapido baciamano. Li accompagnò dall’organizzatrice della serata, una signora un po’ stravagante, con quel pizzico di eccentricità che si attribuisce spesso agli artisti. Capelli neri, folti e raccolti in un’acconciatura dal sapore antico, il trucco che accentuava lo sguardo con una riga di matita nera e sulle labbra un rossetto acceso e una scia di profumo intensa e avvolgente. Ispirava subito simpatia con la sua vitalità, che rendeva difficile darle un’età precisa.
Lasciò Paolo con il cliente e si mise a girare tra i quadri e le sculture esposte in quel magnifico giardino. Una in particolare attrasse la sua attenzione: era una piccola scultura in terracotta, le ricordava il Messico. Era un piccolo uomo, dai lineamenti molto forti e torvi, ricoperto di piume. Nella mano destra teneva un’ascia e nella sinistra una spiga di mais. Mentre gli girava intorno, travolse un cavalletto. Fece in tempo a non far cadere la macchina fotografica, che apparentemente doveva essere più che professionale.
Si guardò intorno e fu sollevata appena constatò che nessuno si era accorto di nulla. Non appena fece per allontanarsi, qualcuno la fermò tenendole il braccio. Si voltò, impacciata.
L’uomo era alto, distinto, e la guardava fisso negli occhi. Per diversi secondi non una parola tra loro. Lei cercò di liberare il braccio e ci riuscì facilmente, perché la presa non era così forte, sembrava un invito a restare. Invece si allontanò e raggiunse Paolo.
Insieme lasciarono il cortile e si diressero a casa. Paolo le raccontò di aver conosciuto la pittrice, una donna molto piacevole e interessante. Il cliente che aveva tanto insistito per farli partecipare gli aveva proposto di investire nel campo dell’arte, ma Paolo non era propenso a quel tipo d’investimenti. Arrivati a casa, stanchi per la lunga giornata, si addormentarono.
***
Dario per lei era tutto. Matilde ne era convinta. Non che Dario fosse così perfetto, era estremamente dolce, attento alle sue esigenze, ma nello stesso tempo a volte era troppo preso da se stesso. In quel momento vide solo il sorriso di Dario, che le andava incontro. Ed era sufficiente per far sparire l’agitazione che provava.
Il cortile era pieno di gente. Le sue opere esposte in modo impeccabile. Su ognuna campeggiava una luce che metteva in risalto ora le forme, ora i colori. Dario era ancor più eccitato.
«Stasera sei bellissima!» le disse. Pensò che fosse solo un modo per farla sentire più sicura di sé. Le si avvicinò la sua amica.
«Mia cara, stavamo aspettando solo te! Vieni che ti presento agli altri» e la portò via con sé, lasciando il povero Dario da solo.
«Matilde, vieni che ti presento l’avvocato Paolo Dominici» le disse Carmen. Si avvicinarono a due signori, intenti a parlare d’arte e d’investimenti.
Quello che doveva essere l’avvocato, sentendosi nominare si girò verso di loro e sorrise: «Buonasera. Le faccio i complimenti per le sue magnifiche opere» disse gentilmente. Matilde ricambiò con un sorriso e si fermò a parlare per un po’ con loro.
Mentre era lì a ringraziare per i tanti complimenti che le venivano fatti per il suo lavoro, cercava di non perdere di vista Dario, ma non era facile. Ogni tanto ritrovava la scia confortante del suo profumo. Trascorse buona parte della serata a stringere mani e sorridere felice.
Nino Giampà (proprietario verificato)
Una lettura piacevole e commovente, dove si mettono a nudo l’anima, i sentimenti, le speranze e i sogni di quattro donne, dove è facile riconoscersi perché in fondo i sentimenti delle protagoniste, sia che siamo uomini o donne rispecchiano anche i nostri sogni e le nostre speranze, assolutamente da leggere
Marina Fraleoni (proprietario verificato)
All’inizio non è stato semplice, mi perdevo fra i vari personaggi, ma poi ho cominciato a prendere confidenza con ciascuno di loro, tanto da non poter smettere. Tante storie che s’intrecciano, uscite dalla penna, dalla fantasia, ma credo anche dalla vita dell’autrice.
Complimenti Paola, aspetto il prossimo!
sergio56 (proprietario verificato)
Una lettura piacevole, fresca. L’intreccio, una volta superato il primo capitolo, regala un ritmo coinvolgente tanto da voler arrivare presto al finale. Ma al tempo stesso si rimane in sintonia con i personaggi, al punto di voler sapere come prosegue la loro storia.
Giovanna d’Amato (proprietario verificato)
Un intreccio ben riuscito di 4 donne apparentemente diverse l’una dall’altra, ma con un filo conduttore unico: la ricerca dell’amore, il desiderio mai sopito della realizzazione personale, la strenua ricerca della felicità in fondo a ogni dolorosa storia personale. Alla fine questi 4 personaggi si muovono e si incontrano quasi casualmente come pedine in una scacchiera dove ognuna raggiunge un obiettivo o una certezza della propria vita, un inizio o un addio. Complimenti all’autrice che mi ha fatto sentire protagonista, come in un film e sarebbe questa una trama perfetta per il cinema.
alessandra.lombardi1967 (proprietario verificato)
Fin dalle prime righe le parole hanno evocato splendide immagini che hanno ‘rapito ‘la mia fantasia …..Paola cara scrivi a COLORI che emozionano e toccano i sentimenti….
Giovanna d’Amato (proprietario verificato)
Sin dalle prime frasi ti trovi immerso nel personaggio e nell’atmosfera che le parole evocano. Non possiamo perdere questa magia … spero di non dover attendere molto per leggere il seguito. Mi ha già rapita!! 🤩🤩🤩
deangelismg56 (proprietario verificato)
Ho letto l’anteprima del libro e conoscendo Paola so che sarà una lettura interessante e piacevole.