«Prima o poi quel coglione si mette nei guai, vedrai» mi
aveva detto scendendo in fretta, e io sapevo
che aveva ragione.
Un po’ più avanti, sulla strada, c’era una donna.
Non mi era mai capitato di vedere qualcuno restare
immobile sotto la pioggia con lo sguardo fisso davanti a
sé. Avrei potuto pensare che quella ragazza sottile fosse
pazza, ma in lei c’era qualcosa che mi colpì. Mi ero
avvicinato con l’auto di ordinanza, ormai ero di fianco
a lei, che continuava a tenere fisso lo sguardo nel vuoto.
Mentre tiravo lentamente giù il finestrino continuavo
a guardarla, e lei non muoveva un muscolo.
«Signorina, tutto bene?»
Nessuna risposta.
«Posso fare qualcosa per lei?»
Avevo alzato un po’ il tono di voce, questa volta.
Lei non aveva risposto, però aveva girato la testa nella
mia direzione. Gli occhi erano sbarrati, pieni di lacrime immobili.
Silenzio.
Non capivo perché, ma avrei voluto consolarla e
trovare il modo di impedirle di bagnarsi.
«Signorina, guardi che se ha bisogno di qualcosa,
io sono qui apposta.»
A quel punto i suoi occhi erano finiti nei miei e lei
aveva cominciato a tremare.
«Grazie, non mi serve nulla,» le spalle si muovevano
«sono solo stanca.» Le ginocchia iniziavano a
piegarsi.
Nel frattempo ero sceso dall’auto, e un attimo
dopo Delia era svenuta tra le mie braccia.
CAPITOLO DUE
Ancora un piccolo imprevisto da sistemare. Ancora uno,
poi di certo le cose sarebbero state più
tranquille.
La schiena cominciava a farle male. Non era
sempre facile spiegare alle nuove arrivate come ci
si doveva comportare. Di solito reagivano con totale
accettazione e fiducia in lei. D’altro canto sapevano
benissimo che nessun altro avrebbe dato loro questa
opportunità, e così di solito erano felici di potersi
rendere utili. Qualche volta però le cose non andavano in
tal modo, e in quei casi Maria si chiedeva se avrebbe
retto ancora a lungo quelle lotte. Una delle ragazze
straniere, Katrina, in quel periodo era più difficile da
gestire delle altre. Si lamentava, cercava di opporsi,
sembrava non avere voglia di lavorare. Poi si piegava,
certo, come tutte in fondo, però dava del filo da torcere.
E quell’ultimo imprevisto proprio non ci voleva.
Maria aveva quasi cinquant’anni, e mai come in quei
giorni le sembravano anni buttati via. Un tempo era
tutto diverso. Un tempo aveva senso aiutare gli altri.
Un tempo.
Seduta alla sua scrivania, stava posando una
mano sulle reni. Maledetta questa schiena… Un lungo
respiro e si era rimessa a contare i soldi.
In effetti erano più del previsto. Quel mese l’avvocato
aveva contribuito in maniera pesante alla riuscita.
Aveva detto che avrebbe dato molto e lo aveva
fatto. Tutto andava come doveva, dunque.
«Ho dato ordine che la cena sia servita un po’ prima
stasera, ho fatto bene, sorella Maria?»
Un balzo sulla sedia, di nuovo il dolore alla schiena.
«Mi hai spaventata, sorella Gaia. Certo che hai
fatto bene, almeno saremo tutte pronte per l’incontro
di stasera. Le ragazze si stanno preparando?»
«Sì, le ho avvisate tutte.»
«Bene, arrivo tra poco allora.»
***
Appena uscita dall’ospedale, Delia non sapeva
dove andare. Non sarebbe potuta tornare dai suoi: le
avevano detto chiaramente di non ripresentarsi mai
più alla loro porta. Non poteva andare da Luca. Non
aveva una casa, non aveva soldi, non aveva un lavoro.
Nulla. Quel giorno, appena dimessa, aveva chiamato
Stella, forse l’unica amica che le restava al mondo, e
neppure pensava che lei sarebbe venuta a parlarle.
Mentre prendevano un caffè al bar fuori dell’ospedale, Delia ascoltava.
«Lo so che stai male, ti vedo. Ti ho perdonata per
quei soldi, non preoccuparti. Era la coca a farti agire
così, tu non sei una ladra. Non lo sei, vero?»
Delia piangeva.
«Insomma, cinquecento euro per me sono una fortuna, ma ho
capito che me li hai rubati per disperazione.
Adesso sei pulita, ma guardati… dovevi arrivare a questo
ricovero? Cosa vuoi fare? Cosa credi che io possa fare?»
«Non lo so, scusami, volevo solo vedere una faccia
amica.»
«Smettila di piangere, dai. Non posso fare niente
per te. Non ho un euro e se Giulio sa che ti ho vista
oggi, mi butta fuori di casa. Ascolta, forse posso darti
un consiglio, però.»
Il resto della conversazione era un ricordo nebuloso per
Delia. A un certo punto Stella aveva tirato fuori
un foglietto con sopra un nome e un indirizzo: “Convento
Delle Grazie, Santuario di Belmonte, S. Colombano”.
Aveva poi aggiunto un nome con una biro, “suor
Maria”, e si era raccomandata con Delia che andasse
da lei, che le raccontasse quello che le era successo
e chiedesse la sua ospitalità. Quella donna era una
santa, stando a quanto si diceva, e dava asilo a donne
bisognose e senza via di uscita come ora pensava di
essere Delia.
«Fatti aiutare, ne hai bisogno» aveva concluso, poi
aveva pagato i caffè ed era uscita.
Fatti aiutare, ne hai bisogno. Fatti aiutare, ne hai
bisogno. Fatti aiutare, Delia. Fatti aiutare.
«Sono qui per vedere suor Maria.»
Che diavolo ci faceva davanti a quella porta?
Il treno regionale, da Torino, ci aveva messo più di
un’ora ad arrivare a Valperga. Poi, da lì, altri chilome-
tri per arrivare al santuario. Non c’erano bus di linea,
non durante la settimana e in quella stagione, però il
panettiere al quale aveva chiesto informazioni le aveva
risposto che se voleva l’avrebbe portata lui al convento,
tanto doveva consegnare dei biscotti alle suore. Delia
era salita ringraziandolo sul suo furgone, e non ricordava
di cosa le avesse parlato quell’uomo durante il tragitto,
sentiva solo l’odore di farina e una crescente nausea.
«Io entro dalle cucine, signorina, la lascio qui davanti
all’ingresso, va bene? Buona fortuna.»
Subito dopo aver suonato, già aveva voglia di
scappare. Ma non poteva farlo. Non poteva.
«Sono qui per vedere suor Maria» aveva detto,
quasi senza accorgersene.
«Certo cara, vieni» le aveva risposto la donna che le
aveva aperto. Una suora. Una piccola suora con gli occhi
piccoli, le labbra piccole, le mani piccole. «Vieni.»
Delia si era decisa a entrare e a seguirla, trascinando le gambe.
Arrivate in una grossa stanza piena di quadri con
immagini sacre e alcune sedie addossate al muro, le
aveva fatto cenno di fermarsi.
«Siediti cara, vado a cercare suor Maria e a sentire se può riceverti subito.»
«Sì, grazie.»
«Ah, io sono suor Gaia, per servirti.»
Quella che con un sorriso e tanta gentilezza si era
presentata a Delia come suor Gaia era sparita poi dietro
una piccola porta. Una piccola suora sparita dietro
una piccola porta. Delia abbassò la sua piccola testa
sulle sue piccole mani.
Leonardo Jon Scotta
Trama intrigante, intreccio rapido, scrittura veloce, dialoghi essenziali e incisivi e capitoli brevi che invogliano a proseguire d’un fiato. Un crescendo d’attesa in accelerazione fino al finale. Brava Durbano, buona la prima!
agostino (proprietario verificato)
L’inizio è sorprendente e coinvolgente…intrigante la trama che si intravede da queste prime pagine…non vedo l’ora di leggere il seguito…per adesso l’autrice si merita un bene brava ,vediamo se raggiunge l’ottimo in bocca al lupo
claudio14669 (proprietario verificato)
Prima parte descrittiva di un ambiente a pochi conosciuto, poi il mistero renderà sempre più avvincente la lettura fino ad essere a perdifiato. Ottimo Stefania!
nimue66 (proprietario verificato)
Questo romanzo ti coinvolge già dalle sue prime pagine, sembra che l’autrice ti prenda per mano per accompagnarti all’interno di questo luogo in apparenza protetto, un rifugio per anime perse che qui possono trovare ciò che avevano smarrito.
Ma il colpo di scena è assicurato, coinvolgendo il lettore a proseguire nella lettura per scoprire ciò che questo luogo sia nella realtà e ciò a cui andranno incontro i suoi personaggi.
Coinvolgente e scritto in modo piacevolmente fluido ed avvincente… da leggere assolutamente.
Giuseppe (proprietario verificato)
Trama interessante ed avvincente, le pagine scorrono veloci nella bramosia di “sapere” come evolve il racconto.
Discorsi diretti senza precisazioni che appesantiscono la lettura, descrizioni essenziali che ricreano ambienti e situazioni in modo tale da essere facilmente immaginati da chi legge.
Insomma, un libro che si fa leggere sorprendendo…
Alessandra (proprietario verificato)
Intrigante fin dalle prime righe. Stile veloce e diretto, senza fronzoli. Promette di stupire e avvincere fino all’ultima pagina. Brava Durbano.