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L’apprendista bardo

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Conte per legame di sangue, bardo per istinto del cuore: il giovane Raymond affronta un viaggio dalla sua Provenza a Parigi attraverso una Francia devastata dalla carestia, scontrandosi con la necessità di scegliere tra responsabilità cavalleresche e passione musicale, tra razionalità e magia, tra il dovere e l’amore. Non sarà solo: il maestro bardo Luc, costretto da una maledizione nella forma di uccello, lo guiderà e lo inizierà alla musica magica e al potere delle parole. In un labirinto di sentieri, personaggi e leggende l’apprendista Raymond dovrà districarsi tra luci e ombre dentro e fuori di sé, per decidere infine se seguire il proprio destino, oppure riscriverlo.

 

NOTIZIE POCO GRADITE DA PARIGI
«Ahahahah! È caduto di nuovo!»
Ancor prima di riaprire gli occhi, disteso sulla
schiena e imbottito di protezioni in cuoio fin sopra
alla gola, Raymond sentì le risa di derisione del suo
maestro d’armi e dei commilitoni. Aveva ancora uno
stivale nella staffa della sella, ed era stata una vera
fortuna che il cavallo si fosse fermato appena era caduto giù, di nuovo.
Che poi, pensava Raymond, in questi casi tra compagni ci
si prende sempre in giro, ma sapeva che quegli scherni
non avevano nulla di bonario o affettuoso.Continua a leggere
Continua a leggere

Erano invece il giusto castigo per quel figlio incapace
che la sorte aveva attribuito al conte di Provenza. Lo
stesso conte non aveva mai fatto nulla per rimettere a
posto quegli insolenti; era come se, in un certo senso,
fosse dalla loro parte, e lasciasse fare a loro quello che
invece lui, come padre, non poteva permettersi.
«Avanti, rimettiti in piedi, Raymond!» lo spronò da
lontano suo cugino Gilles, mentre con espressione beata
si aggiustava la lunga chioma castana, pavoneggiandosi
in sella al suo cavallo baio dal pelo lucente. «Passatemi
l’elmo!» esclamò verso gli scudieri e, in attesa che qualcuno
obbedisse, finì di sistemare i lacci del piccolo scudo da
allenamento e se lo fissò al braccio sinistro.
«Guarda Raymond, guarda come si fa!» Gilles afferrò con
la mano destra la lunga lancia da giostra che
lo scudiero gli porgeva e, solo dopo essersi assicurato
che tutti lo stessero guardando, partì al galoppo contro
la quintana, il fantoccio da allenamento che pochi
minuti prima aveva disarcionato Raymond. La lancia
di Gilles colpì lo scudo del fantoccio proprio nel mezzo,
aprendo una vistosa crepa nel legno, e tutti fecero
a gara per complimentarsi con lui.
«Che colpo, Gilles!»
«Così si fa!»
«Sei il più grande cavaliere di Provenza!»
«Ci dovresti andare tu a Parigi!»
Già, Parigi. Il nome che da qualche giorno a quella
parte tormentava in continuazione Raymond, e non
solo lui.
Gilles gettò sulla sabbia del campo quello che
restava della lancia e fermò il cavallo a due passi
da Raymond, che intanto si era rimesso in piedi, e non osava
fiatare. Guardandolo dall’alto si tolse l’elmo, gli mostrò
un eloquente sorriso di scherno e disse: «Cerca almeno
di non disonorare la Provenza, cugino».
Gilles gli lanciò contro l’elmo e voltò il cavallo.
Prima di abbandonare il campo non risparmiò però
l’ennesimo affondo. «Ricorda che puoi sempre tirarti
indietro… ahahah!»
Raymond si sentì una preda inerme consegnata
agli sguardi affilati degli altri cavalieri, con la testa
bassa per la vergogna prese per le briglie il suo cavallo
e se ne andò in silenzio, sentendo a ogni passo il peso
di tutti quegli occhi sopra di lui.
Sapeva benissimo cosa stavano pensando: il destino si è
divertito con il conte, e gli ha dato un figlio
inetto, scambiandolo con suo nipote Gilles, valoroso e
tanto abile con le armi. Lui sì che sarebbe stato il degno
erede del conte!
E hanno ragione! Almeno così pensava Raymond.
Avevano ragione a dire che Gilles avrebbe meritato la
sua eredità, e avevano ragione a dire che Gilles sareebbe
dovuto andare a Parigi al suo posto.
Di nuovo Parigi…
Raymond si fermò davanti a un laghetto sotto le
mura del castello e si liberò delle protezioni di cuoio.
Dopo essersi sciacquato il volto si fermò a fissare
il proprio riflesso: aveva sedici anni e qualche mese
– età non da poco nel Medioevo – ed era già alto un
metro e settanta – anche in questo caso, altezza più
che dignitosa per un ragazzo medievale –, poco meno
di suo cugino Gilles, che superava anch’egli il metro e
settanta ma che aveva due anni più di lui.
Come Gilles, aveva un corpo discretamente robusto;
non imponente, ma neanche mingherlino, un
corpo ben proporzionato insomma, e quando metteva
l’armatura non sfigurava per niente di fronte al cugino,
anzi! I suoi capelli castano scuro, lunghi e ondulati, lo
rendevano molto più marziale di quanto Gilles, con la
sua chioma chiara ben pettinata, potesse essere.
Aveva un viso immaturo ma tutto sommato bello,
e soprattutto sincero, il che gli impediva di nascon-
dere agli altri quello che provava. Forse era per questo
che odiava sostenere gli sguardi altrui, e spesso
teneva i suoi brillanti occhi nocciola rivolti verso il
basso, o in qualunque altra direzione lo salvasse da
quelli degli altri. Non come gli occhi color del ghiaccio
di Gilles! pensò Raymond, fissando il riflesso dei
propri. Quelli sono gli occhi di un comandante, di uno
che non ha paura di trattare con gli uomini e sa farsi
rispettare!
Alla fine, Raymond aveva finito per credere di
essere davvero un problema, e da quando era arrivata
quella fatidica notizia da Parigi, quella sensazione
s’era fatta ogni giorno più forte.
Che colpa ho io? pensava, è colpa mia se non sono
bravo con spade e palle chiodate, se non so giostrare
e se mi sento a disagio con i cavalieri? È colpa mia se
sono l’erede di Provenza?
Fin da bambino Raymond aveva avuto un debole
per i menestrelli che frequentavano la corte del conte.
Guardava incantato i loro strumenti, come gli altri
bambini guardavano le armature dei cavalieri, e sognava
di creare quello che loro creavano: quel linguaggio
senza parole, immediato, divino, che mandava in
estasi tutti quanti. Quella magia chiamata musica.
Il conte gli aveva concesso di imparare a suonare
la cetra, giudicandolo un segno di raffinatezza per un
nobile e per un cavaliere. Per un cavaliere appunto; era
accettabile che un grande condottiero si dilettasse a
conquistare le dame suonando la cetra, ma solo dopo
aver conquistato castelli e terre. Se invece era
interessato solo a strimpellare… be’ devo aggiungere altro?
Notizie poco gradite da Parigi L’apprendista bardo
Raymond trasalì. Una mano dalla stretta vigorosa
lo prese dal collo della camicia e lo costrinse a mettersi
in piedi con un solo strattone. Era suo padre, il conte.
«Hai fatto un’altra bella figura, vero?» gli domandò,
fissandolo dall’alto in basso con occhi severi.
«Lascio troppo indietro la spalla, non riesco a trovare
il tempo giusto per allungare il braccio e colpire…» tentò
di giustificarsi Raymond con atteggiamento remissivo.
Il conte sospirò e poggiò le mani sulle spalle del figlio:
«Ascolta Raymond, manca un mese al torneo del
re, e anche se non mi aspetto che tu vinca la mano della
principessa, è tuo dovere tenere alto l’onore della Provenza».
Cercò lo sguardo del figlio, ma senza successo.
Raymond aveva gli occhi così in basso che avrebbe
dovuto piegarsi fino a terra per riuscire a vederli.
Era questo che tormentava la corte di Provenza. Da
Parigi era da poco arrivata la notizia che il re,
malato e debole, cedeva il trono al futuro marito di
sua figlia, la principessa Costanza. Per sceglierlo era
stato indetto un torneo aperto a tutti i grandi signori
d’Europa: il vincitore avrebbe ottenuto la mano della
principessa e con lei la corona di Francia. L’evento era
stato fissato per la seconda settimana di giugno.
Perché il re aveva deciso di abdicare e di scegliere
il marito della figlia attraverso un torneo? Perché non
combinare un matrimonio regale che avrebbe portato
vantaggio a entrambe le parti? Nessuno conosceva la
risposta, ma le voci avevano già tessuto una leggenda,
e la leggenda era che la maledizione della Francia –
nessuno ormai dubitava che ci fosse una maledizione!
– fosse legata al re, e per spezzarla la corona dovesse
passare a qualcuno che ne fosse realmente degno. E
quale miglior modo per scegliere il successore, se non
con la più nobile delle tradizioni cavalleresche, l’apice
del valore e delle abilità, la giostra?
Spiegando i fatti abbiamo in qualche modo colmato
il lungo silenzio che intercorse tra il conte e suo figlio dal
momento in cui li lasciammo per dare notizia del torneo.
«È inutile, padre,» si decise a dire Raymond «mi
alleno da anni senza successo, come faccio a migliorare
in un solo mese?» Raymond strinse le labbra e socchiuse gli occhi, stava per mettersi a piangere e fece
di tutto per trattenersi.
Il cielo era velato da una spessa coltre grigia; un’unica, grossa, pennellata indelebile che aveva cancellato dal cielo ogni altro colore e che soffocava la luce
del sole, rendendola lattea e spettrale. Raymond stentava persino a ricordare l’ultima volta che aveva visto
il sole, e in quella giornata avrebbe fatto qualsiasi cosa
per vedere la luce primaverile balenare sulle acque
verdi del laghetto, o per ammirare la festosa danza delle colombe tra i rami in fiore di Provenza; invece quel
cielo grigio pesava sul suo animo e lo opprimeva fin nel
profondo. Persino l’aria gli sembrava più pesante, e per
un attimo gli sembrò di non poter più respirare.
«Raymond!» lo richiamò il conte, scuotendolo per
le spalle. «Sei l’erede del conte di Provenza: se tu fossi
nato contadino nessuno avrebbe preteso nulla da te, ma
il tuo posto è un altro. Come puoi pretendere che
i cavalieri ti rispettino e combattano per te se non sei
nemmeno capace di stare a cavallo con un’arma in mano?
Raymond! Mi ascolti? Dannazione!» Il conte sbuffò, livido
di collera. Raymond era incapace di parlare, tanto
più di ribattere, ma ebbe un sussulto improvviso, e con
voce sofferente domandò: «A cosa serve?».
«A cosa serve cosa?» controbatté ancora più spazientito il conte.
«A cosa servono le armi, se non rimane nulla da difendere?
Se continuiamo così non avremo neanche da
mangiare, e voi pensate solo al torneo, e alla giostra…»
Qualcosa si era rotto dentro Raymond, e rompendosi aveva
lasciato che tutto un fiume di pensieri ed
emozioni represse uscisse fuori all’improvviso: «Perché
devo andare a Parigi? Lo sapete che non vincerò mai la
mano della principessa, tanto vale non presenta…».
«Taci!» lo interruppe suo padre, con il viso rosso e
contratto di rabbia. «Tu non sai cosa sia il prestigio di
una casata, non sai cosa è l’onore, e, soprattutto,»
digrignò i denti e si piantò davanti al figlio, puntandogli
contro l’indice della mano destra «non sai cosa sia il rispetto!»
Era talmente furioso che a ogni respiro la sua cassa toracica
di dilatava a dismisura, e Raymond non fu
molto d’aiuto, ma rincarò la dose, sbottando:
«Mandate Gilles, se ci tenete tanto!».
«Lo avrei fatto, snaturato che non sei altro!» inveì il
conte. «Lo avrei fatto, se le regole avessero concesso di
mandare un campione; ma solo i pretendenti della principessa
possono partecipare, non ti è ancora chiaro?»
In realtà la cosa gli era molto chiara.
Nelle sue ultime parole Raymond intendeva qualcosa di più;
qualcosa che il conte non aveva colto, e ora era
in bilico tra il desiderio di andare fino in fondo e quello
di battere in ritirata. Ma Raymond, un giovane ragazzo
che il destino aveva fatto nascere erede dei conti di Provenza,
e che tutti deridevano, non era un codardo.
Serrò le labbra e sbatté le palpebre, ma stavolta
non riuscì a trattenere due lacrime.
«Mandate Gilles, vi ho detto» affermò di nuovo,
con tono risoluto, spezzato subito dal dolore che gli
prese la gola quando concluse la frase.
Il conte fu sorpreso e smarrito dall’atteggiamento
del figlio.
«E…» riprese Raymond, masticando a vuoto alcune parole,
prima che il magone si attenuasse «e se è
quello che volete, fate Gilles vostro erede.»
«Dovrei farlo! Ahahahah!» il conte rise con gusto
a quell’esortazione; doveva essergli risultata talmente
ridicola da non meritare altra risposta che il riso.
«Smettila di dire sciocchezze, e torna ad allenarti!»
Il conte lasciò il figlio dove lo aveva trovato e
scomparve oltre le mura di cinta, credendo la questione risolta.
Ma la questione non era per nulla risolta, almeno
per Raymond.

08 luglio 2019

Aggiornamento

Recensione a cura del blog di Eri gibbi qui
05 luglio 2019

Aggiornamento

"Il libro mi ha incantata subito da quando ho visto la copertina, la cui illustrazione mi ha fatta esultare, perché è raro trovare una bella copertina tra i libri pubblicati dalle piccole case editrici. La principale ispirazione dell’autore per la scrittura di questo libro è sicuramente il poema cavalleresco." Estratto della recensione pubblicata sul blog Miss Maggie Paper, che potete leggere a questo link. l'apprendista bardo recensione
21 maggio 2019

Aggiornamento

Nuove recensioni. Buona lettura!

ICrewplay

Alicesogno.it 

Hope and Paper 
26 marzo 2019

Aggiornamento

Se potessi avere la possibilità di scegliere se vivere nell’epoca odierna o nel Medioevo, dove ricadrebbe la tua scelta? Saresti disposto a rinunciare a tutte le comodità che ci circondano in nome di una vita all’insegna della totale semplicità?

Questa è una delle domande che Teatrionline ha fatto a Federico Leonardo Giampà. Se siete curiosi di conoscere la risposta potete leggere qui l'intera intervista.
16 marzo 2019

Aggiornamento

Recensione a cura del portale Italia Notizie.  
15 febbraio 2019

Aggiornamento

Recensione al romanzo di Federico Giampà tra le pagine del mensile Leggere: tutti di Febbraio. Recensione al romanzo di Federico Giampà
05 febbraio 2019

Aggiornamento

"L’apprendista bardo si apre a diverse chiavi di lettura a seconda dell’età in cui si legge, mostrando la complessità di un’opera che si svela pian piano, strato dopo strato. [...] Il richiamo ai miti di Orfeo e di Ossian, e i rimandi a epiche e leggende antiche impreziosiscono la narrazione, alternando momenti di pura fantasia ad altri di interessante immersione nella Storia."
Potete trovare qui il resto della recensione, buona lettura!
04 febbraio 2019

Aggiornamento

Federico Giampà, intervistato dal portale Nightguide, ci parla di letteratura ed editoria. Trovate qui l'intervista integrale.
12 Febbraio 2018
L'autore di "L'apprendista bardo" di Quotidiano del Sud, Federico Leonardo Giampà, si racconta sul Giornale del Sud. Di seguito l'articolo a lui dedicato. Buona lettura!

Scansione 11 feb 2018, 11_03

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Gran bel libro! ho adorato i personaggi e le descrizioni mi permettevano di immaginare al meglio le scene, la scrittura coinvolgente di trascina alla pagina successiva.. lo consiglio!

  2. (proprietario verificato)

    Ottimo libro. Il connubio magia-musica è accattivante, la trama è coinvolgente e i personaggi sembrano dipinti. Ma il vero punto di forza è lo sfondo, i luoghi in cui si svolge la trama. Vari spunti per apprezzare arnesi, usanze e luoghi passati. Aspettando il sequel.

  3. (proprietario verificato)

    Scrittura elegante e trama coinvolgente. Spiccano l’originalità ( dote rara in questo genere letterario ), le descrizioni sublimi e la profondità di ogni singola pagina. Un romanzo che fa bene all’anima.

  4. Salvatore

    (proprietario verificato)

    La magia è arte, e l’arte è magia.
    Nell’una come nell’altra, senti subito l’incanto, o esso non vi è affatto.
    Ho pre-ordinato questo libro perché, sfogliata l’anteprima, ho avvertito l’incanto sin dalle prime righe. So che non deluderà.

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Federico Leonardo Giampà
FEDERICO LEONARDO GIAMPÀ nasce a Catanzaro nel 1991. È specialista
del Medioevo, laureato in Filosofia e Storia antica e in Scienze Filosofiche.
Ha pubblicato opere di poesia ed è stato finalista del Premio Campiello
Giovani 2007 con il thriller La Nenia del Maestro. Convinto del valore inesauribile del racconto è tornato alla narrativa. L’Apprendista Bardo è il suo romanzo d’esordio.
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