Al suono dei corni Joele aprì gli occhi e capì che finalmente erano tornati. Si vestì senza neppure lavarsi, né sciacquarsi la faccia, e fu subito fuori con Scheggia al suo fianco. Da casa sua, sulla collina, vide ormeggiare nel porto la Gemma d’Oriente, la più veloce e bella di tutte le navi dei Caraibi, quella del leggendario capitano J. Fox. Joele cominciò una corsa a perdifiato verso il porto, scendendo lungo i prati verdi sui fianchi della collina, dove tanti anni prima suo padre aveva deciso di costruire la loro casa, così che sua moglie potesse abbracciare con lo sguardo la baia in attesa dei suoi vittoriosi ritorni. Nel porto c’era un gran baccano e la gente faceva festa perché erano passati sei mesi da quando la Gemma d’Oriente era partita per mietere terrore sulle rotte del vecchio continente. Ad accogliere i pirati c’era l’intero villaggio e tutte le locande quel giorno avevano già aperto, nonostante fossero soltanto le sei del mattino. Nell’aria si sentiva l’odore del rum e si capiva che ci sarebbe stata baldoria per settimane.
Finalmente Joele arrivò davanti alla banchina e lo vide. Era lui, con il suo cappello rosso sangue, i capelli lunghi raccolti in un codino, la barba nera e un orecchino pendente. La sua giacca era blu con bottoni d’oro e al collo portava un medaglione a forma di drago con un occhio di rubino. Era lui, con la sua famosa scimitarra d’oro intarsiata di diamanti, bottino di battaglia nei mari d’Oriente. Era finalmente tornato il capitano Jeremy Fox, per tutti J. Fox, la Volpe dei Caraibi. Quando, tra la folla acclamante, fu davanti a Joele, il capitano si fermò e, guardandolo dall’alto della sua mole, gli disse: «Hey, piccolo furfante… non mi sono dimenticato di te e della promessa». Dalla tasca interna della giacca estrasse un piccolo pugnale e glielo regalò. Il manico era in madreperla, la lama tagliente era in una custodia di cuoio di pelle d’asino, nella quale vi era incastonata una piccola e preziosa bussola da marinaio. Joele rimase senza fiato. Lo guardò con gratitudine e disse: «Capitano… è il pugnale più bello dei Caraibi… grazie… grazie». Il capitano, che quando guardava negli occhi qualcuno riusciva sempre a leggere in fondo al suo cuore, si abbassò e lo fissò come solo lui sapeva fare. «Non mi devi ringraziare. Se oggi sono ancora vivo, lo devo solo a tuo padre: lui era un grande uomo» gli disse, scompigliandogli i capelli con la sua mano enorme. Quando sentiva qualcuno parlare di suo padre a Joele venivano sempre gli occhi lucidi di pianto, ma si fece coraggio e corse a cercare Nick per fargli vedere il pugnale. Fu Scheggia ad arrivare per primo alla casa di Nick e di suo zio Danko, lupo di mare in pensione. Toc! Toc!
«Nick! Nick!! Niiiiick!! Avanti, dormiglione, alzati!» «Chi è? Corpo di mille bombarde!!!» Danko aprì la porta. «Ah, sei tu, piccola peste! Nick alzati, pelandrone, c’è qui Joele!» «Nick, guarda!» disse Joele mostrandogli il pugnale. «Per tutti i calamari giganti! Ma questo è un pugnale della regia Marina spagnola!» esclamò Danko, che poi aggiunse: «È un pugnale degno di un capitano». «Ma chi te l’ha dato?» chiese curioso Nick. «Ma come… non hai sentito i corni, la baldoria in città? Sono tornati!» «Vuoi dire che la Gemma d’Oriente è…» «E chi se no?» «Allora andiamo, presto! Voglio vedere mentre scaricano il bottino» esclamò Nick mentre in tutta fretta s’infilava i pantaloni. I due, con Scheggia, si lanciarono in una gran corsa tra le ragnatele di viuzze di San Pedro, che avevano come termine ultimo la banchina del porto. Sull’isola di Novadera c’era una regola: il bottino andava stipato nella tesoreria del villaggio e doveva essere diviso in questo modo: il 10% spettava al capitano, il 60% veniva distribuito tra la ciurma, mentre il restante 30% veniva dato alle vedove dei pirati che avevano perso la vita in battaglia e che altrimenti non avrebbero potuto crescere i figli. I due rimasero a bocca aperta nel vedere quella processione di casse piene di ogni bene: vestiti di gran prestigio, stoffe raffinate, gioielli preziosi, ori, barili di rum e casse di pesce sotto sale. Tutti erano estasiati, bambini, donne e vecchi, a vedere quel bottino che pian piano riempiva i magazzini della tesoreria del porto. Fu lì che Joele incontrò Amanda. Rimase colpito da quella ragazzina, dai suoi capelli lunghi e neri, dai suoi occhi chiarissimi e cristallini come l’acqua del mare. Il suo volto aveva un non so che di familiare. Per guardare meglio si era arrampicata, a piedi nudi, su di un pino, e sedeva su un ramo, non molto distante dall’ingresso del magazzino. Soprattutto, rimase colpito da quella pigna che lo raggiunse sul collo, lanciata con precisione proprio dalla ragazzina. «Ahi! Chi è stato?» esclamò con rabbia Joele. «Testa di carota, spostati, non riesco a vedere cosa c’è in quella cassa!» «Testa di carota? Te la sei cercata!» Joele raccolse la pigna e la lanciò con forza e precisione, colpendola sulla mano di appoggio. Amanda perse l’equilibrio e cadde giù dal ramo, centrando una pozzanghera di fango. «Ahah! Ahah!» Joele e Nick scoppiarono in una grossa risata. «Hai fatto un grosso sbaglio! Tu non sai chi sono!» gridò con rabbia la ragazzina. «Sì che lo so: sei… una statua di fango! Ahah!» le rispose Joele. «Io sono… Papà! Papà! Papà!» E fu così che Joele vide quella bambina correre incontro al capitano Fox. Caspiterina! Proprio la figlia del capitano: adesso sì che sono nei guai, pensò Joele.
Amanda disse al padre cos’era successo e mentre riferiva i fatti indicava proprio lui: «Quel ragazzo alto con i capelli rossi». Il padre, vedendo che si trattava di Joele, scoppiò in una grossa risata. Dopo aver preso in braccio Amanda, gli si avvicinò e lo guardò. «Capitano… io non sapevo! Non volevo! Non credevo!» Il capitano Fox un tempo era stato sposato, ma sua moglie morì dando alla luce Amanda. A causa della vita che conduceva, non poteva fare da padre e crescere una bambina piccola. Decise dunque di affidarla al convento di San Vincenzo, a Tenerife, e ogni anno passava da quell’isola per stare un po’ con sua figlia. Con il passare degli anni, però, la sua fama di terrore dei mari era cresciuta e sbarcare sull’isola spagnola era diventato sempre più rischioso: qualcuno avrebbe potuto tradirlo. Così quando Amanda compì undici anni, il capitano decise che era grande abbastanza per stare con lui a Novadera e così la prese con sé. Quello fu il suo primo incontro con Joele sull’isola. «Joele, non ti preoccupare: se l’è meritato. Adesso però mi piacerebbe che diventaste amici, come lo ero io con tuo padre.» «Amanda, questo è Joele: sono sicuro che d’ora in poi andrete d’accordo.» «Joele, questa è Amanda: la mia selvaggia preferita.» I due si strinsero la mano con titubanza, non immaginando che da quel momento sarebbero diventati buoni amici.
L’ISOLA DI NOVADERA
L’isola di Novadera era lunga circa quaranta miglia e larga una ventina, aveva la forma di una foglia allungata. Al centro era dominata dal monte Asful, che in realtà era un vulcano inattivo, un luogo dove anticamente, secondo la leggenda, gli indigeni dell’isola usavano fare dei sacrifici umani, per placare l’ira del dio vulcano. Ancora oggi alla base del monte ci sono i ruderi di un antico tempio indigeno e della città antica. L’isola era lussureggiante, coperta da costa a costa da una fitta giungla, abitata da numerose specie di variopinti pappagalli, scimmie urlatrici e una quantità infinita di coloratissime farfalle: era proprio un paradiso in terra. La costa era frastagliata e alternava spiagge bianchissime a scogliere alte e ripide. Lungo il suo perimetro si contavano ben sette baie, ciascuna provvista di un porto attorno a cui si era sviluppato un villaggio. A ogni villaggio apparteneva una ciurma agli ordini di un capitano pirata, che poteva disporre quindi di un porto di attracco e di una piccola flotta. Di solito le flotte erano composte da tre navi: l’ammiraglia era la più grande e meglio equipaggiata per l’arrembaggio; poi vi era una nave da carico porta provviste, in cui erano stipati solo i viveri e tutto il necessario per le lunghe permanenze in mare (queste navi, il cui equipaggio era generalmente composto da vecchi pirati, avevano cannoni solo per difendersi in quanto non intervenivano mai in battaglia); infine c’era una terza nave, che solitamente aveva la stiva vuota, pronta per essere riempita dai bottini di guerra. Questa nave era più leggera e veloce rispetto alle altre due e disponeva di un buon numero di cannoni, in quanto spesso partecipava attivamente alle battaglie, con il preciso compito di proteggere le navi che portavano le provviste. Le regole che disciplinavano la vita sull’isola erano contenute in un codice sottoscritto da tutti e sette i grandi capitani, che insieme componevano il gran consiglio dei pirati. Una volta all’anno, precisamente il 21 giugno, giorno del solstizio d’estate, il gran consiglio si riuniva per emanare nuove regole o per prendere decisioni importanti riguardanti la vita su Novadera. In quest’occasione veniva anche nominato tra i suoi componenti un reggente che per tutto l’anno avrebbe regnato sull’isola e amministrato la giustizia secondo il codice della pirateria. Il gran consiglio era in quel momento costituito da: capitano Ottone, detto mano di forbice perché, al posto della mano destra, aveva una forbice molto tagliente con cui si diceva facesse a pezzi i suoi nemici; il suo stendardo presentava, sotto un teschio nero, una forbice nera aperta su campo rosso e il suo villaggio si chiamava Tesoura Cidade, dove gli abitanti erano perlopiù portoghesi e vi erano i migliori fabbri di Novadera famosi per le loro Lame. Capitano Julien, detto il Conte per i suoi modi nobili e raffinati e il suo pizzetto sempre ben curato, tanto delicato nell’aspetto quanto feroce in battaglia; nel suo stendardo il teschio era blu, su campo bianco, coronato da tre gigli anch’essi blu; il suo villaggio si chiamava Saint Julien, erano pirati francesi e nelle loro taverne si ballava, si cantava e si beveva solo vino di Bordeaux. Capitano Eric, detto lo Scozzese perché lui e tutto il suo equipaggio amavano vestirsi in tipici abiti scozzesi, e dalla sua nave, la Scotland, prima di un attacco contro le navi dei nemici, si udiva per decine di miglia il suono di cento cornamuse; il suo stendardo raffigurava un teschio bianco su sfondo nero, al di sotto del quale una E e una S si sovrapponevano tra loro; il suo villaggio si chiamava New Glasgow, erano pirati coraggiosi e leali. Capitano Ralf, detto Occhio di vetro dopo averne perso uno in combattimento. Di lui si diceva che avesse la capacità di vedere il futuro grazie ai poteri del suo occhio: in effetti riusciva a prevenire sempre le mosse del suo nemico e ad aggirarlo. Il suo simbolo era un teschio rosso con sotto un occhio rosso su campo giallo. Il suo villaggio si chiamava Mystical Town, un posto molto inquietante, vi erano fattucchiere e cartomanti in ogni taverna, pronti a venderti elisir o a leggerti la mano. Capitano Abdul, il Saraceno, un pirata arabo animato da un senso religioso molto forte ma non per questo meno spietato. Il suo stendardo era un teschio bianco con al lato una mezza luna bianca in campo rosso; il suo villaggio era stato costruito intorno alla moschea, qui non si beveva alcol ma solo tè o limonate. Capitano Arnold, detto il Vichingo per le sue origini. Lui e il suo equipaggio erano i più abili navigatori tra i pirati. Non c’era tempesta o uragano che temessero e portavano dei copricapo con le corna così come usavano i loro antenati. Il suo stendardo presentava un teschio nero con delle lunghe corna rosse in campo bianco. Il suo villaggio, Sitingard, era fatto di capanne di legno e paglia qui si trovavano i migliori acconciantori di pelli e i migliori carpentieri. Capitano Jeremy Fox, la Volpe dei Caraibi, il più coraggioso, l’unico che fosse riuscito ad affrontare in battaglia, contemporaneamente, tre navi della Marina inglese, riuscendo ad affondarle tutte e tre, senza che la sua nave, la Gemma d’Oriente, subisse la benché minima scheggiatura. Il suo stendardo era una rosa dei venti bianca con al centro un teschio in campo blu, il suo villaggio San Pedro era quello più grande dell’isola, infatti fu il primo insediamento sull’isola e venne costruito dal suo grande amico Frederick il Rosso. Qui vi sono ancora numerose taverne con ottimo rum e un miscuglio di gente da ogni parte del mondo. Sul punto più alto dell’isola, e sulla prua di ogni nave del gran consiglio, sventolava infine uno stendardo unitario: un teschio bianco, su campo nero, con intorno sette stelle bianche, quanti erano i capitani e i villaggi presenti sull’isola. Quella era la bandiera di Novadera.
Gianfranco Dabbicco
Primo Step raggiunto!!!! le 60 copie minime… per ottenere il libro a casa per chi lo ha acquistato sono state raggiunte ieri, ora prepariamoci per far salpare Joele verso il mare aperto…..
nina.zmp (proprietario verificato)
Letto tutto d’un fiato. La meravigliosa sensazione di essere catapultati in un’altra realtà.
Vivere l’emozione di poter essere un pirata che si trova ad affrontare mille paure e avventure, con la consapevolezza di essere ancora un bambino ma con la forza di un piccolo uomo.
Consiglio la lettura a tutti, piccoli e grandi perchè alla fine, sognare farà sempre parte di noi a qualunque età
michele.matacchieri (proprietario verificato)
È tutta colpa di Sandokan. Lo confesso, da bambino non mi sono perso neanche una puntata in tv e ho promesso a me stesso che sarei diventato come Kabir Bedi, libero, coraggioso, invincibile. Non è andata proprio così, ma questo racconto ha avuto il grande merito di farmi tornare indietro nel tempo, alla spensieratezza e al desiderio d’avventura di allora. Per questo, ai ragazzi, ma anche agli adulti che non hanno ancora seppellito il “pirata” che è in loro, dico: spegnete il cellulare, spiegate le vele e partite pure voi per questo fantastico viaggio!