Matteo Baroni è un investigatore privato che collabora saltuariamente con le forze dell’ordine in qualità di consulente. Un giorno viene raggiunto da una telefonata: il capitano della squadra mobile di investigazione della Polizia di Stato gli chiede di collaborare in merito all’indagine sull’omicidio di Edoardo Castelli, Procuratore della Repubblica di Milano trovato morto all’interno del suo ufficio. La totale assenza di tracce lasciate dal colpevole rende inizialmente difficoltosa l’indagine, ma il ritrovamento di alcune polaroid, apparentemente innocue, rappresenta una svolta. Una serie di eventi inquietanti che affonda le sue radici in un episodio avvenuto quasi trent’anni prima, che getta ombre sulla figura irreprensibile del magistrato e aziona una catena di omicidi compiuti a sangue freddo. Una storia dove amicizia, amore, odio e dolore si intrecciano senza sosta, portando l’investigatore a rischiare la sua stessa vita, per riuscire a far luce sull’intera vicenda.
Perché ho scritto questo libro?
Ho cominciato a scrivere a circa 25 anni, in un periodo personale particolarmente difficile, trovando subito un conforto inaspettato mentre la penna scorreva sul foglio. In poco tempo, la scrittura è diventata una routine quotidiana, una valvola di sfogo costante. Che sia un semplice diario o un romanzo, la scrittura mi ha permesso di entrare in un mondo a parte, dove sentirmi gratificato, valorizzato, compreso. Mi auguro che la mia storia sappia suscitare la giusta ispirazione in altre persone.
ANTEPRIMA NON EDITATA
CAPITOLO 1: SEMINARIO
Baroni si alzò, raggiunse il centro del palco, sistemò gli appunti e rispose agli applausi con un cenno imbarazzato del capo; è sempre stato una persona abbastanza introversa fin da bambino: Non ha mai cercato le luci della ribalta, ha sempre preferito una vita tranquilla e piuttosto “riparata”. Negli ultimi anni, tuttavia, aveva dovuto imparare a convivere con la notorietà inaspettata. Non poteva dire che la cosa gli facesse particolarmente piacere. Preferiva di gran lunga camminare serenamente in strada senza che la gente lo fermasse. Non si può dire quindi che questa situazione gli facesse piacere, anzi, lo imbarazzava parecchio, almeno all’inizio. Col passare del tempo, non potendo comunque cambiare il naturale corso degli eventi, aveva imparato a conviverci, seppur a fatica. Prese ancora qualche secondo, sistemando gli appunti, poi decise che ne avrebbe fatto a meno. Passò in rassegna con lo sguardo la platea, ed esordì:
“Premetto di non essere particolarmente bravo a tenere discorsi; probabilmente per questo motivo non ho deciso di diventare avvocato” – aggiunse poi, abbozzando un sorriso – “sarei stato un’assoluta frana nelle arringhe”.
La platea rise alla battuta. Ciò consentì a Matteo di sciogliersi ulteriormente.
“Come Alberico ha anticipato poco fa” – proseguì dopo una breve pausa – “sono un profiler certificato, anche se lavoro principalmente come investigatore privato. Come ben sapete, un profiler si occupa di analizzare il comportamento di un criminale e cercare di rivelare le relative caratteristiche e tratti comportamentali, tutto questo in base a ciò che si può rilevare dello stesso criminale dalla scena del crimine: i dati comportamentali, il modus operandi, anche le stesse caratteristiche delle potenziali vittime sono una base di partenza. Questo approfondito studio porta alla creazione di un profilo che possa aiutare le forze dell’ordine nella ricerca di potenziali sospettati”
Una mano si alzò dalla platea, e Matteo approvò con un cenno della mano: era d’accordo con il Rettore che il suo intervento avrebbe potuto evolversi in una sorta di intervista: si trovava più a suo agio nel rispondere alle domande delle persone, piuttosto che ad imbastire discorsi da zero.
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“In che modo un profiler agisce in modo pratico?” – chiese una ragazza dai lunghi capelli ricci.
“L’analisi della scena del crimine è senza dubbio il punto di partenza di ogni indagine” – rispose prontamente Baroni – “è fondamentale soffermarsi su tutto ciò che compone la scena del crimine: dal luogo scelto dall’assassino, dal modus operandi utilizzato, dal tipo di vittima, dagli stessi indizi trovati sulla scena del crimine; ognuna di queste parti può essere foriera di indizi fondamentali per la creazione del profilo criminale: il luogo scelto ha una motivazione particolare? O l’assassino è stato frettoloso, ha agito d’impulso e il luogo non ha alcuna importanza? Come mai è stato usato quel particolare modus operandi? Perché è stato scelto quel particolare tipo di violenza? Come mai è stata scelta quella particolare vittima? Si tratta di vendetta, o l’assassino ricerca determinate caratteristiche fisiche? La posizione del corpo ha un significato? Quali indizi sulla scena del crimine possono essere decisivi, e quali altri fuorvianti o privi di importanza? La risposta ad ognuno di questi quesiti ci consente di delineare un profilo psicologico e comportamentale. Faccio un esempio: una scena del crimine pulita, con un’assenza di prove concrete, nessun segno di trascinamento, nessun testimone oculare o uditivo ci porta a credere che l’assassino sia una persona metodica, organizzata, verosimilmente ha studiato a fondo il suo piano di azione giorni, settimane prima; è una persona paziente, intelligente, probabilmente integrata anche socialmente. Viceversa, una scena del crimine disorganizzata è associata ad un profilo impulsivo, violento; difficilmente ha pianificato a fondo il suo crimine, è facile pensare che viva pure nelle vicinanze della scena del crimine.”
Dalla platea si alzò timidamente un’altra mano. Un ragazzo sovrappeso e con una calvizie già visibile nonostante la giovane età chiese:
“Che cosa rivelano le ferite inferte a una vittima? Possono davvero raccontare qualcosa sulla psicologia dell’assassino?”
“Le ferite inferte alla vittima possono essere ampiamente rivelatrici” – rispose Baroni – “una sola coltellata, ma letale, rivela una persona esperta nell’utilizzo dei coltelli, o dell’anatomia umana. Un solo colpo di pistola dritto al cuore o alla testa rivela una dimestichezza nell’utilizzo di un’arma da fuoco. Una serie esagerata di colpi di arma da taglio suggerisce un animo particolarmente violento, un desiderio di provocare dolore; a questo stato d’animo sono spesso associati anche disturbi mentali.”
Di nuovo la ragazza coi capelli ricci sventolò in aria la mano con decisione.
“In quale momento della sua vita ha capito di voler intraprendere questa strada professionale?”
Baroni rifletté qualche secondo, poi rispose:
“Il lavoro dell’investigatore privato mi ha sempre affascinato; da ragazzo ho letto parecchi libri gialli, studiato personaggi iconici come Sherlock Holmes o Hercule Poirot, sognando un giorno di diventare come loro. Avere una mente analitica ed una naturale predisposizione a risolvere i misteri hanno fatto sì che mi convincessi a conseguire tale obiettivo; solo durante gli anni in cui ho studiato giurisprudenza ho valutato con attenzione la possibilità di diventare avvocato, ma poi ho scelto definitivamente il settore dell’investigazione; non escludo però di iscrivermi all’Albo degli avvocati in futuro” – concluse poi.
CAPITOLO 2: OMICIDIO CASTELLI
“Allora Matteo, cosa puoi dirci da una prima occhiata?” – chiese Vedovati, interrompendo il silenzio.
Baroni volse lo sguardo verso l’interno dell’ufficio, poi, dopo qualche secondo, nuovamente verso gli ufficiali:
“Non credo ci sia nulla di premeditato, penso sia stato un omicidio puramente istintivo” – disse.
Fusco non cercò nemmeno di celare uno sbuffo di incredulità. Vedovati lo guardò con fare interrogativo.
“Perdonami Richi, ma non vedo come non possa essere premeditato un omicidio qui dentro” – disse Fusco, cercando di giustificarsi – “ci sono telecamere ovunque, sicurezza anche in tarda serata… come può una persona entrare qui dentro e ucciderne un’altra senza aver escogitato prima un piano d’azione?”
“Proprio per questo motivo lo ritengo istintivo” – rispose con calma Baroni – “se l’intento dell’assassino è sempre stato quello di uccidere Castelli sin dall’inizio, non lo avrebbe di certo fatto qui dentro. Siamo in un posto, come hai giustamente sottolineato, in cui può essere facilmente smascherato.” – prese a camminare avanti e indietro nell’ufficio – “non dimentichiamoci l’orario in cui è stato ucciso; presumibilmente nel giro di poco tempo sarebbe rincasato: se davvero l’avesse voluto uccidere, l’avrebbe aspettato nel parcheggio o perché no, sotto casa.” – si fermò, e si mise a fissare la vittima – “No, io credo che l’assassino volesse solamente parlare con Castelli; si trattava verosimilmente di un conoscente, o di una persona che non suscitava alcuna sensazione di pericolo alla vittima. La pozza di sangue coagulata ai piedi della sedia ci fa capire che Castelli è deceduto nel punto esatto in cui il proiettile l’ha colpito, non ci sono segni di trascinamento. La sedia è sotto la scrivania, Castelli era seduto in maniera naturale quando l’assassino è entrato. Se fosse entrato con la pistola puntata, la prima reazione nella vittima sarebbe stata di naturale sorpresa: sono seduto alla scrivania, vedo una persona che entra puntandomi la pistola, mi viene spontaneo muovermi all’indietro, magari alzando le mani; in questo caso mi sposto all’indietro, anche con la sedia” – tornò quindi a guardarsi intorno – “l’assassino entra, Castelli è fermo alla scrivania, e non ostenta la minima sorpresa nell’arrivo del proprio ospite. Un conoscente? Un collega? Un incontro prestabilito? Non ci sono segni della presenza di un’altra persona nella stanza, probabilmente l’assassino è entrato ed è rimasto in piedi per tutto il tempo. Parlano semplicemente, la situazione degenera, parte il colpo di pistola.” – fece una pausa, poi aggiunse: “Un eventuale assassinio premeditato qui dentro sarebbe quasi una dimostrazione di sfida per l’assassino. In questo caso però dovremmo rilevare qualche segno della sua presenza, perché il suo intento sarebbe di prendersi gioco di voi, dimostrarvi che ve l’ha fatta sotto il naso, perché parliamo di una persona temeraria e molto orgogliosa del proprio lavoro, la sua firma non mancherebbe. Invece guardatevi attorno: tutto in questo ufficio rasenta perfettamente la normalità, nulla è fuori posto ad eccezione del cadavere; è stato puro istinto.” – concluse.
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