Se Adelaide Cecilia Roner, da sempre e da tutti chiamata Ada, avesse dovuto descriversi, avrebbe sicuramente iniziato con il sottolineare la sua età: trentuno anni, quattro mesi e ventuno giorni per la precisione e nient’altro di rimarchevole da aggiungere, grazie.
Almeno non quel lunedì 10 giugno di pioggia e freddo, talmente freddo che se si alzavano gli occhi da terra era ancora possibile vedere delle spruzzate di neve imbiancare le montagne intorno alla valle. E ce n’erano molti di occhi puntati in alto quella mattina, al cimitero dietro la chiesa principale di Soldeno, in Val Piovena.
Nessuno voleva essere lì in quel momento, in mezzo alle lapidi nascoste dai fiori colorati e alle croci in ferro battuto, adornate dai maestri artigiani di leggeri arabeschi dalle linee flessuose e tralci ritorti di fiori o spine. A pochi interessava granché di quella vecchia signora di cui ricordavano a malapena il nome, fuggita dalla valle almeno vent’anni prima. Non capivano nemmeno bene per quale motivo fossero lì; perché glielo avevano chiesto Piero e Rosa, ecco il perché, preoccupati che ci fossero solo loro quattro al funerale, la sorella, il cognato e i due nipoti, Ada e Claudio. Perché Viola Zolden, mai sposata e quindi per sempre rimasta signorina, non aveva altri parenti in Val Piovena e si era fatta amare poco negli anni in cui aveva abitato nel suo paese d’origine.
La cerimonia in chiesa si era svolta senza pianti e senza scene drammatiche da parte di nessuno, né dei familiari né tanto meno degli altri paesani presenti per far numero; chi aveva deciso di partecipare era ancora un po’ stordito dagli aperitivi della domenica sera e aveva ascoltato il sermone di don Gianluca con un occhio chiuso e l’altro quasi, attento però a sentire se nella descrizione della signorina Zolden e della sua vita misteriosa ci fosse qualche succoso pettegolezzo da riportare a casa, al bar e in giro per le borgate del paese. La conclusione era stata: nulla di rilevante. Le solite parole di circostanza sulla vita effimera che si conduce, l’importanza degli affetti, una piccola riflessione sull’imperscrutabilità anche delle persone più care.
A proposito dell’imperscrutabilità di Viola, Ada avrebbe avuto qualcosa da ridire, perché pareva che don Gianluca si fosse completamente dimenticato della descrizione che la nipote aveva fatto della zia solamente due giorni prima, insieme a sua madre, nell’ufficio del parroco. Di certo “imperscrutabile” era una parola che a Ada non sarebbe mai venuta in mente in relazione alla zia: affettuosa, dinamica, divertente, fantasiosa, quello sì. Ed era di certo uno spirito un po’ troppo libero per la comunità di Soldeno, infatti aveva deciso di andarsene, appena si era resa conto che la nipote poteva farcela anche senza di lei. Era stato quello l’unico episodio apparentemente indecifrabile della sua vita, anche se, conoscendola bene, dopo un primo momento disperato Ada aveva capito benissimo che sua zia Viola non poteva fare altro che quello: prendere e andare via da un momento all’altro, senza dire niente a nessuno, senza dare spiegazioni e senza informare anima viva sulla sua meta.
Al camposanto, dopo tre giorni di nuvole e pioggia gelida, mentre i funzionari del cimitero si apprestavano a chiudere il loculo contenente l’urna in alabastro arrivata direttamente da Guadalupe, era spuntato un timido raggio di sole, dando un senso agli occhiali scuri che le signore intervenute alla cerimonia avevano indossato per darsi un tono.
«Chissà quanto l’avrà pagata quell’urna, che stupida donna» sussurrò la madre di Ada tirando su col naso, senza capire nemmeno lei se lo stesse facendo per il freddo o per la commozione.
«Mamma, eh.»
«Ada, tu eri sempre dalla sua parte. L’unica a cui scriveva ancora.»
«Sì, due mail all’anno.»
«Be’, era sempre qualcosa. A noi ci ha esclusi completamente, una passata di straccio sul ripiano della cucina, eliminati come delle bricioline fastidiose.»
A Rosa Zolden, coniugata Roner dall’età di ventitré anni, erano sempre piaciute le similitudini ambientate in cucina, forse perché era sempre stato l’ambiente, sia a casa che al lavoro, che aveva maggiormente frequentato in vita sua, e non con poca fatica. Sua sorella Viola, invece, a lavorare seriamente non ci aveva proprio mai pensato, che sfacciata. Lei faceva l’imprenditrice nel campo dell’import-export (di cosa, esattamente, Rosa non aveva capito) senza muovere il sedere da casa; era stata la prima a farsi attivare la connessione Internet a domicilio, nel lontano 1996, e prima di Internet utilizzava il telefono, quello fisso e poi quello cellulare e anche in quel caso era stata una delle prime del paese a possederne uno, uno scatolo nero grande più di uno dei walkie-talkie giocattolo di Ada e Claudio.
«Non eravamo alla sua altezza» concluse tirando di nuovo su con il naso, ma questa volta era evidente che non fosse per il freddo.
A Rosa sarebbe tanto piaciuto avere una sorella normale e andare in giro con lei a braccetto per il paese il sabato pomeriggio, a mangiare i krapfen al bar pasticceria Dolomitika e guardare i programmi della domenica pomeriggio insieme, badando ai bambini. Invece niente, Viola l’aveva privata di tutto ciò e per questo non riusciva a perdonarla completamente.
Le persone intervenute al funerale iniziarono a sparpagliarsi tra le lapidi, sembravano quasi intontite da quel sole inaspettato, e finalmente anche Ada avrebbe potuto tornare a casa e stare per conto suo. Era strano sapere che la zia Viola non c’era più, da nessuna parte del mondo, o meglio, che finalmente era lì, vicino a loro, di nuovo a Soldeno, eppure mai così lontana. Di certo non le avrebbe più potuto spedire e-mail da dove si trovava adesso, e nemmeno farle quelle brevi e rare telefonate di cui nessuno sapeva nulla.
«Come stai, amore della zia?»
«Zia, ma da dove chiami stavolta, ti sento tanto male…»
«Sono in Islanda, tesoro mio, c’è tanto vento, sono ai piedi del vulcano Thrihnukagigur, fra poco inizia la visita.»
«Il vulcano che? Zia, ma non sarà pericoloso?»
«Ma figurati, patatina, è un tour tranquillo! Adesso ti devo lasciare che parte il gruppo e devo stare vicino ad Ari, altrimenti poi mi perdo e lì sì che ridiamo, eh? Ma ti ho detto di Ari? È tanto caro, un bell’uomo, eh, poi ti racconto, sai, Adina bella, adesso la zia deve andare, tanti bacini!»
Melina raggiunse Ada alle spalle e le prese la mano, interrompendola nell’atto ossessivo compulsivo di grattarsi nervosamente l’interno del polso.
«Dai, andiamo a bere un prosecchino, la zia avrebbe approvato.»
Dario Fasiolo (proprietario verificato)
E’ una storia molto piacevole e contemporanea. A tratti spassosa, a trappi malinconica, a tratti riflessiva,a tratti commovente. Francesca ha una scrittura formidabile. Un debutto corposo ma che alla fine non vorresti che finisca. Io non vedo l’ora di una seconda parte della storia. Quindi forza Francesca. Bellissimo debutto.
abelbulbo (proprietario verificato)
Sono solo a metà, ma devo andare avanti. So che quella che è arrivata è solamente una copia non editata, ma la lettura scorre e non ho notato errori particolari, è un romanzo gradevole e divertente, ma non superficiale. Sarà curioso leggerlo dopo la fase di editing, mi aspetto grandi cose.
pumessabianca (proprietario verificato)
Forse sono un po’ parte, perchè ho avuto il piacere di leggere il romanzo in anteprima e ho seguito il suo sviluppo passo dopo passo, fin dai primi giorni in cui Francesca parlava della storia come del suo “progetto”. Mi ricordo quanto fosse superstiziosa a riguardo, non ha voluto dirmi nulla della trama fino all’ultimo, quando era sicura che il tutto avrebbe visto una fine. Però vedevo come fosse sempre più entusiasta, ogni giorno più convinta. Il romanzo nel suo complesso non poteva che riflettere tutta questa passione e (anche se in minima parte) le idee che frullavano in testa alla scrittrice. Forza amica mia, sono certa che riuscirai a trasmettere tutta questa forza anche agli altri lettori!
sandra.fr651 (proprietario verificato)
Un esordio importante, ma estremamente piacevole. Francesca ha la capacità di dipingere personaggi vividi, con tratti distintivi che li rendono estremamente reali. Non esistono buoni o cattivi, perchè tutti sono veri, prima di tutto, con le loro debolezze e le loro fragilità. Quello che mi è piaciuto di questo romanzo è la costruzione attenta, il modo in cui i pezzi vadano a mettersi al loro posto giusto man mano che prosegue la lettura, velocizzando l’ordine delle cose verso il climax finale. Sono tanti i livelli di lettura di questa storia e tanti i possibili sviluppi. Sono convinta che il libro potrebbe piacere a molti e portare tutti a importanti riflessioni.