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Le sei spine della rosa

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Fin da quando era una bambina, Olivia è sempre stata perseguitata da diverse voci malevole e crudeli. Anche se si trovano dentro la sua mente e possono comunicare solo con lei, queste voci non sono certo meno reali, anzi, la loro influenza è sempre evidente e tangibile. Il loro scopo è quello di destabilizzarla, distruggere ogni sua sicurezza, farla annegare in un oceano di ansia. Proprio per questo Olivia ha pochissimi amici e i suoi contatti sociali sono ridotti all’osso. Ma nel momento più complicato della sua vita, quando alla sua lotta quotidiana si affianca anche la gestione emotiva richiesta dalla separazione dei suoi genitori, Olivia farà una serie di nuove conoscenze che le offriranno una prospettiva inedita sul suo arduo rap – porto con le voci e una spalla su cui piangere e reggersi nei momenti di più profonda difficoltà.

PROLOGO

Parecchie cose non sono più come prima e quella sfera di fuoco alta nel cielo pare volersi prendere gioco di lui. Isaac non deve scalare la marcia nell’affrontare la curva e solleva una gran quantità di pietrisco. Dopodiché posteggia la macchina nel garage all’aperto dell’enorme casa di quell’uomo cupo e sconsolato che è ormai suo padre.

«Tutte le automobili sono dotate di cambio automatico. Eppure dalle ultime innovazioni ecosostenibili non è stato tratto un sostanziale beneficio.» L’amico gli parla con aria disinvolta ma lui fatica a mantenere la concentrazione. «Le elettriche stanno per essere sostituite. Siamo a un passo da una guida totalmente autonoma. E pensare che nei primi anni del nuovo millennio era solo utopia.»

L’entusiasmo futuristico di Jacopo lo travolge. Peccato che non esista nulla al momento che potrebbe alleggerire anche il peso di suo padre. Fino a poche settimane fa lui non era così, pensa. Per niente.

Il suo socio gli appoggia una mano sulla testa, gesto che lo irrita alquanto, ma non glielo impedisce. «Dal progresso, per quanto venga condannato, non si può tornare indietro.»

«Già. Adesso però scendi.»

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«Grazie del passaggio. Ci sei sempre quando ne ho bisogno.» Jacopo scavalca la portiera della decappottabile senza far rumore, se non nell’atterraggio. «Se volessi parlare, hai sempre il mio numero. Usalo.» Si sistema al comando del suo bolide parcheggiato, costeggia la fontana e lo conduce fuori dalla proprietà. Ha una gran faccia tosta e non teme di dire la verità quando serve. È questo che più intriga Isaac del suo modo di essere. Alle volte il suo parlare loquace e sfrontato allontana le persone, ma non conta, perché è l’unico a non aver pretese nei suoi confronti. Il fatto che si ostini a ripudiare la vita non lo tange, perché da un certo punto di vista Jacopo è per sua natura inquieto e insoddisfatto tanto quanto lui.

«Grazie, ma hai davanti a te una roccia che non si scalfisce. Sono fatto di pietra e legno duro, come questa casa.»

Negli anni avevano disboscato un lembo di territorio e costituito una pavimentazione stradale di terra che lo attraversava, su cui rarissime volte transitavano mezzi di trasporto. Qualche anno prima se ne era servito per la prima lezione di guida con suo padre, che l’aveva osservato pazientemente e con minuzia. Si era concentrato sull’insegnargli a utilizzare il cambio manuale, nonostante sapesse che non sarebbe stato utile. Inflessibile, lo aveva avvertito che avrebbe dovuto sapere come cavarsela in qualsiasi situazione, perché “un uomo libero è un uomo che sa adeguarsi”.

Come quella volta in cui insistette sulla scelta della scuola a indirizzo scientifico, e Isaac lo aveva trovato molto strano essendo l’uomo un vero e proprio esteta. Dal canto suo avrebbe voluto frequentare un artistico, o un liceo umanistico, ma non di certo ciò che gli impose. Lo odiò per questo. Più di quanto non fosse lecito per un normale ragazzo, credeva, dato che lui parlava con previdenza, certo, e decretava con la drasticità di un padre di famiglia. Tuttavia, al tempo non poté che considerare questo come una grave forma di incuria.

Gli spiegava come essere un uomo autonomo e le idee che aveva a tal proposito lo confondevano. È un uomo difficile, senza dubbio. Ai tempi pensava che l’arte fosse una un’arma a doppio taglio che l’avrebbe potuto portare alla rovina se non fosse stato sufficientemente capace. Il perché fosse stato così prevenuto ancora non riusciva a comprenderlo. Spesso aveva avuto ragione e talvolta ciò lo spingeva a insistere ove sarebbe stato meglio che Isaac seguisse il proprio giudizio.

La madre era imparziale, calma e onesta. Voleva difenderlo e lo faceva rimettendoci la faccia. L’uomo la deprezzava di tanto in tanto, rivolgendole parole indelicate e volgari che gli facevano venire la pelle d’oca. Isaac non sapeva se fosse stata l’abitudine ad annullarli, oppure le duplici incomprensioni. Quel che imparò a fare, però, fu lasciare che si allontanassero gradualmente, nel tentativo di risolvere questioni in cui lui non era stato messo in mezzo.

«Ci vediamo domani. Sarò puntuale questa volta.» Il collega sputa la gomma fra le foglie di un cespuglio basso e se ne va definitivamente. Isaac non si stupisce che nei decenni la terra si sia rapidamente contorta dal dolore per colpa delle diavolerie che gli esseri umani si sono accinti a riversare sul suo cadavere. In effetti ritiene che il collasso del nostro pianeta sia un destino prossimo e irreversibile e che ormai non abbia più senso tentare di salvaguardarlo.

Lei sarebbe rimasta ferita da un simile idealismo e questo tacitamente, ma in maniera lucida, lo lacera. Lo lacera il fatto che lei non sia più lì a screditare la sua indifferenza e a punirlo con il silenzio. In seguito, pensa, se fosse stato possibile sarebbe tornata da lui per dirgli che sì, forse avrebbero dovuto tutelare il mondo prima di causare un danno di tali proporzioni. Avrebbe aggiunto che, in ogni caso, con il suo ragionamento lui vanificava tutti gli sforzi che altra gente aveva fatto e che non si era limitata ad alzare le spalle in segno di sconfitta.

Lei era così, s’interrogava e non si dava pace.

Colto da una sensazione di panico, dimentica sui sedili posteriori l’inutile pensiero che ha acquistato per il padre da un atelier in centro. La dimora dei suoi genitori gli incute sempre un po’ di nostalgia, come se contenesse troppi ricordi per lui inarrivabili. Un gran bel posto, comunque sia. Suo padre gli aveva dato vigore molti anni prima, demolendo e ricostruendo in parte una vasta abitazione del 1800. Un vero e proprio impegno mentale e fisico. Eppure lui ci teneva, diceva, anzi lo sostenevano sia lui sia la donna. Ammirava il fatto che fossero ancora legati al passato, affascinati dal vivere una vita lontana dal cemento e dai fumi tossici.

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Alessia Ermini
È nata a Brescia all’inizio del nuovo millennio. Ha conseguito il diploma di maturità presso l’istituto professionale P. Sraffa e attualmente ricopre il ruolo di assistente all’autonomia in una scuola superiore del comune di Leno. Nel corso del 2021 ha partecipato alla produzione e alla realizzazione di una rubrica di testi poetici per l’emittente televisiva regionale lombarda PIUVALLITV.
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