Ma non fu soltanto il turismo a lasciare una forte impronta.
Era il novembre del 1906 quando la famiglia Volkonsky si trasferì nella cosiddetta città antica. Il gruppo familiare era definito come una delle famiglie più nobili della Russia, in residenza a tempo indeterminato nel Paese alla ricerca di una svolta e di un rafforzamento delle attività commerciali legate al suo cognome. Nonostante ciò, considerate le voci giunte da fonti esterne, non poteva di certo mancare una visita più approfondita della città da parte dei suoi membri, con lo scopo non solo di soddisfare le curiosità verso Cracovia, ma anche di integrarsi al meglio in quella che ormai si poteva definire una nuova casa.
Di fronte ai forti sviluppi di quella che era tutta la civiltà, non mancavano le temute suddivisioni sociali, dove il ricco riusciva sempre a spiccare sul povero senza mostrare la minima empatia nei suoi confronti. Visto il rango del quale la famiglia poteva giovare, era e sarebbe stato inammissibile cercare di accontentarsi di quello che la città poteva offrire come stile tradizionale.
«Bisogna sempre splendere verso un buio scadente…» diceva la signora Volkonsky.
La donna aveva approfittato per un’uscita di un sabato mattina con il proprio figlio Zack verso una delle zone più chic e rinomate della città allo scopo di rinnovare il proprio vestiario personale. Negozi con vetrine di lusso, bar con dehor, gazebo che ispiravano classe ed eleganza solo a osservarli, luci che spiccavano elegantemente nelle vie.
«Adesso sì che posso dire di sentirmi a casa…» disse la madre entusiasta con lo sguardo rivolto verso il figlio.
Il bambino sembrava nascondere degli occhi privi di interesse verso le attività portate dalla mamma, che per via dell’avidità e del narcisismo che la contraddistinguevano, difficilmente poteva sentirsi in grado di accorgersi delle emozioni del proprio figlio.
Zack portava anch’egli abiti che solo la nobiltà poteva calzare: mocassini in pelle, pantaloni eleganti di un grigio che sprigionava ricchezza, maglioncino di lana azzurra, fino alla giacchetta di tessuto blu con al di sopra gli stemmi del cognome che, irrimediabilmente, gli apparteneva. Odiava l’imposizione della sua famiglia, forte e decisa perfino per quanto concerne il vestiario.
L’unica cosa che riusciva a distogliere il bambino dal disprezzo era la stessa Cracovia.
Quanta magia che c’è qui… pensò Zack tra sé e sé.
Un’aria tanto semplice quanto pura alla vista era riuscita a gettare il bambino verso dei sentimenti difficili da spiegare, ma che neanche nella sua terra nativa, dove aveva vissuto nei suoi sei anni precedenti, era riuscito a provare. A interrompere quel sogno a occhi aperti, una biglia. Gli era caduta davanti al naso, rimbalzando sulla sua spalla. Zack la raccolse e la osservò per un attimo prima di scorgere una presenza alle sue spalle.
«S-scusa…» disse una voce acuta ma docile allo stesso tempo.
Alzando gli occhi, Zack vide di fronte a lui un bambino dai capelli biondi, coperto da testa a piedi con semplici stivali in tessuto, una sciarpa grigia e un parka dal colore verde militare. Ciò che spiccava in maggior modo in lui era un acceso color azzurro degli occhi in grado di emanare semplice calma alla vista. Un dettaglio insolito, ma che era riuscito ad affascinare il piccolo nobile, rimasto silente a osservarlo.
«T-ti chiedo scusa…» ripeté nuovamente il bambino.
Pur non completando la frase per intero, in Zack furono subito percepibili le sue successive intenzioni, quelle che l’avevano condotto da lui.
«Questa… questa è tua per caso?» disse il piccolo nobile con tono delicato.
«Oh… s-sì, l’ho persa di vista mentre giocavo, sono desolato se è venuta a disturbarti fino a questo punto. Non ne era mia intenzione.»
«Cosa? No, assolutamente. Scusarsi non serve…»
Senza dare troppe spiegazioni, Zack restituì cortesemente la biglia al bambino misterioso. Poco prima di poter dare i consueti ringraziamenti da parte sua, però, l’arrivo improvviso della signora Volkonsky gettò il figlio verso un panico improvviso. Lo prese per un braccio e lo trascinò dritto a casa, svanendo di conseguenza da quel posto magico.
«Piccolo insolente, quante volte ti ho detto di non allontanarti senza avermi prima chiesto il permesso?!»
«M-mi dispiace, mamma… n-non ne era mia intenzione… d-davvero…»
Le urla e le lacrime versate da Zack erano soltanto, in realtà, una piccola impronta delle vere sembianze nascoste dai signori Volkonsky: una famiglia dominata dall’avidità, dall’egoismo verso la propria figura, dalla volontà di compiere qualsiasi tipo di azione per il proprio interesse economico. Il tutto compiuto a costo di ferire chiunque stesse loro accanto. Oltre a tale intenzione, però, qualcun altro all’interno della dimora era già stato ferito.
Passarono diverse giornate dopo quella che si poteva considerare la prima visita a Cracovia, e i vari punti di interesse della città sembravano portare sempre verso lo stesso punto, la famosa piazza del Mercato. Lontano dalle questioni nobili, il bambino passava la maggiore parte del tempo libero con la propria madre, tra le vie della città. Sarebbe stato un sogno avere anche la figura del proprio padre al suo fianco, ma il lavoro sembrava essere una scusa per allontanarsi dall’infanzia del figlio. Non che la sua figura fosse sempre stata presente in famiglia.
Esattamente come la volta precedente, in Zack si era ricreato lo stesso sentimento vissuto il primo giorno in grado di scatenare quelle emozioni inspiegabili. Le medesime, a portare il bambino a un pensiero più che certo con il passare dei minuti all’interno della piazza: l’aria di quel posto era e sarebbe stata in grado di portare solo e semplice energia positiva.
«È… davvero molto bello qui, mamma, non trovi?»
Con lo sguardo verso il proprio figlio, la signora Volkonsky notò nel bambino un sorriso di cui forse non si era mai accorta prima. Un gesto alquanto inaspettato ma che sembrava essere stato in grado per un momento di cancellare l’avidità tipica della donna, limitata a osservare in silenzio il piccolo Zack.
«Sì, tesoro della mamma, è davvero bello qui.»
Seppur non parte di un ambiente tipico della sua natura, la piazza sembrava essere riuscita a trasportare la signora Volkonsky in una attenta osservazione del luogo, al punto da portarla inconsciamente seduta su una panchina quasi come incantata verso un posto che la donna aveva sempre ritenuto “vecchio”. Se da una parte la semplicità era riuscita a cancellare temporaneamente l’avidità di una donna nobile, dall’altra aveva presentato al piccolo Zack l’occasione perfetta per esplorare il luogo. Senza dare particolare attenzione ai dettagli, girando più volte attorno al posto come una trottola, l’intuito del bambino riuscì a percepire come l’area, attraverso pochi ma imponenti elementi, era in grado di trasmettere le differenti culture e storie che si portava dietro, definendo quella piazza come un posto magico, uscito da un’altra dimensione.
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