Claude camminava stringendo le spalle nella corta giacca di lana
che indossava con poca disinvoltura. Il freddo pungente gli arrossava
le guance sbarbate da poco e lo costringeva a socchiudere gli
sporgenti occhi nocciola. Aveva lasciato il giaccone a casa, quello
colore verde acido che a sua madre piaceva tanto, ma che lui proprio
non sopportava. Quella sera doveva essere tutto perfetto e presentarsi
con quel capo da sfigato non era proprio il massimo. L’aveva
lasciato in garage, appeso all’appendiabiti assieme alla tuta da ginnastica
e alla giacca da giardino di suo padre.
Ho proprio bisogno di un giaccone nuovo, pensò. Era in ritardo,
come al solito. Da quando quattordicenne si era trasferito nella cittadina
del Minnesota assieme alla sua famiglia non era ancora riuscito a rimediare
alla sua difficoltà nel gestire la puntualità, nemmeno adesso che erano
trascorsi ben quattro anni dal loro arrivo.
Suo padre lavorava per una famosa multinazionale e così avevano
lasciato la Francia e tutto quello che possedevano per andare a vivere lì.
In fondo non era poi così male. Poche migliaia di abitanti,
perlopiù impegnati a lavorare nelle industrie metallurgiche che coronavano
la cittadina a pochi passi dal Canada, una chiesetta segnata dal passare
del tempo, un campo da football con le tribune arrugginite e
qualche locale di ritrovo per i giovani.
Avevano trovato alloggio in una bassa villetta non molto lontana
dal lago, con un ampio giardino e vicini discreti. Forse troppo discreti.
Non era stato facile per un ragazzo proveniente dal vecchio
continente inserirsi nel gruppo dei giovani del posto.
Il primo ostacolo era stato la lingua. Il secondo i gusti e
le preferenze. Per il primo
poteva affermare che dopo quattro anni, accento a parte,
il problema non si poneva più. Quanto ai gusti… Un’auto piena di militari che
intonavano un canto goliardico sfrecciò dalla direzione opposta alla
sua, ricordandogli che doveva affrettare il passo se voleva arrivare
in tempo. In mano stringeva una bottiglia di vino francese prelevato
dalla riserva personale di suo padre. Non era un grande bevitore, ma
aveva scoperto che da quelle parti il buon vino era molto apprezzato
e quella sera a casa di Johnny c’era una festa. Johnny era la ragazza
più strana che avesse mai conosciuto in vita sua. Piuttosto alta e
robusta, dotata di un carattere deciso e risoluto, era il “ragazzaccio”
più dispettoso e irriverente che si fosse mai visto a Towertown. Ed
era la sua migliore amica. Si erano conosciuti a scuola, pochi giorni
dopo il suo trasferimento e subito si era creata una certa empatia. A
differenza degli altri, si era sforzata di capire lo stentato inglese di
quell’allampanato ragazzo venuto dall’Europa e ben presto avevano
cominciato ad apprezzarsi. Lo aveva aiutato nello studio e introdotto,
un po’ alla volta, nella sua cerchia di amici. Certo, era ancora
“quello che parla solo di calcio e di Pogba”, ma cosa poteva farci, se a
lui piaceva il calcio? Alla fine aveva dovuto rassegnarsi e aveva riposto
nel cassetto il poster del Paris Saint-Germain sostituendolo con
quello dei Minnesota Vikings.
Diede un rapido sguardo all’orologio che portava al polso. Le dieci
e mezzo. Se non mi sbrigo farò tardi anche stavolta e non me lo
perdonerebbero. Sono sei mesi che prometto questa bottiglia di Bordeaux
dell’89, pensò. In realtà la sua preoccupazione era rivolta a qualcos’altro.
Allungò la mano libera per cercar la tasca della giacca e trovò
conforto nelle forme spigolose del pacchettino che custodiva gelosamente.
Era un regalo per Janette. Si sorprese a sorridere come uno
sciocco al ricordo del giorno in cui l’aveva conosciuta. Occhi azzurri,
fluenti capelli biondi e un tono accusatore nella voce mentre lo
rimproverava di averla urtata con la bicicletta, facendole cadere a terra il
frullato alla fragola che stava gustando. Per scusarsi l’aveva invitata
al bar all’angolo, dove tra un frullato e l’altro avevano scambiato alcune
parole e l’iniziale diffidenza nei suoi confronti si era stemperata.
Erano usciti dal locale con il numero di cellulare l’uno dell’altra e
la promessa di rivedersi; avevano continuato a frequentarsi per tutta l’estate.
Claude non credeva ai colpi di fulmine – o almeno che potessero
capitare a lui –, ma non sapeva descrivere diversamente la
sensazione che provava quando era in compagnia della ragazza.
Eppure non aveva mai avuto il coraggio di rivelarle i suoi sentimenti.
Temeva di rovinare qualcosa o di aver frainteso… Si ridestò dai suoi
pensieri, risoluto. Questa sera sarebbe stata quella giusta. Johnny
aveva invitato anche lei. Aveva messo da parte qualche dollaro per
comprare un anellino d’argento. I suoi amici avrebbero detto che
era una pacchianata, ma in Francia si usava ancora così. Ripassò
mentalmente il piano: sarebbe entrato in casa, avrebbe salutato
Janette, l’avrebbe invitata in veranda, si sarebbe dichiarato e poi…
«Maledetta timidezza» imprecò a denti stretti. Non era sicuro che
le cose sarebbero andate così, ma non poteva aspettare oltre. Un festoso
e chiassoso frastuono veniva dalla casa in fondo alla via. Casa
di Johnny. Raggiunse l’abitazione, si rassettò il nodo della cravatta e
sfoderando il migliore sorriso di cui era capace suonò il campanello.
A qualche isolato di distanza il ragazzo stava per eseguire una
consegna. Le pizze si stavano raffreddando velocemente nel portapacchi
della bicicletta e al suo capo non piacevano le lamentele
dei clienti. Per questo fu restio a fermarsi quando quell’uomo lo
chiamò. «Ragazzo, un’informazione per favore.» L’uomo aveva una
voce profonda ed era stato molto cortese, diversamente dal tipo a
cui aveva fatto la consegna precedente.
«Conosci questa persona?»
Il ragazzo diede una sbirciata rapida al nome scritto in modo frettoloso
su quel pezzo di carta. «Sì certo, tutti la conoscono in città.»
«E sai dirmi dove posso trovarla?» Il fattorino sfilò dalla tasca la
penna che usava per fare firmare le ricevute e tracciò sul foglio un
semplice percorso. L’uomo prese il foglio e lo osservò compiaciuto.
«Posso sapere perché le interessa saperlo? Sa, è una mia amica…»
«Devo consegnarle una pizza» rispose l’altro quasi subito.
«Ma sono io il ragazzo delle pizze!» si risentì l’altro, seccato.
«Non per molto» mormorò la creatura mentre il suo braccio descriveva
un arco rapido sotto la gola del ragazzo.
Quando con qualche difficoltà la bicicletta ripartì, fu chiaro che la
gran parte delle pizze contenute nel portapacchi non sarebbe stata
consegnata.
«Lasciate stare il poster di Jonathan Rhys Meyers!» gridò Johnny
dall’interno della casa, mentre a passi decisi raggiungeva la porta di
ingresso, aprendola. «Claude… vecchia spugna! Ti si vede, finalmente.
Eravamo in pensiero.»
«In pensiero per me o per la mia bottiglia di Bordeaux?» replicò
maligno Claude.
«Non dire fesserie, entra, ci siamo tutti! E con voi due facciamo
subito i conti!» riprese lei, urlando rivolta alle sue spalle, dove su
una parete campeggiava il poster del suo attore preferito al quale
erano stati tratteggiati barba e baffi con un pennarello.
«E…» Claude ammiccava a Johnny cercando di scorgere nel frattempo
tra gli invitati il familiare volto di Janette.
«Certo, certo, c’è anche lei. Credo che ti stia aspettando. Vi vedo
bene insieme.»
Claude arrossì leggermente mentre il suo volto si stendeva in un
sorriso soddisfatto.
«Grazie Johnny, sei un vero tesoro.»
«Ehi, non esageriamo, ragazzo!» scattò Johnny.
«Certo… scusa» si giustificò Claude. Johnny non amava molto i
complimenti sdolcinati.
Il ragazzo protese lo sguardo all’interno della stanza, da cui proveniva
una cacofonia di musica ad alto volume e un vociare persistente. La festa si
presentava molto variopinta. Mike Ford completamente sbronzo si
ciondolava goffamente sulle gambe in cerca
di un appoggio, possibilmente femminile. Stephen si dava da fare
assaggiando ogni stuzzichino disponibile sulla tavola imbandita,
Luke e Fabio seguivano la partita di basket alla TV, mentre gli altri
ballavano al ritmo delle ultime hit. Claude abbassò lo sguardo sulla
sua cravatta e ben presto si rese conto di non averci azzeccato molto
con l’abbigliamento.
«Avevo detto abbigliamento casual, ragazzo» lo rimproverò
Johnny. «Non stai andando a un funerale. Via quella cravatta!» e
così dicendo lo liberò dal collare e chiuse la porta alle sue spalle.
Dall’altro lato della strada il ragazzo delle pizze cominciò ad attraversare.
Sarebbe stato facile, un lavoretto semplice. Non capiva
come mai il suo Padrone si preoccupasse così tanto. Pochi istanti e
il problema sarebbe stato risolto… alla radice.
Claude entrò in salotto destreggiandosi abilmente tra gli improvvisati
ballerini e si diresse verso il tavolo delle bevande. Lì depose
la sua preziosa bottiglia e poi, guardandosi in giro, cercò di individuare
Janette. Infine la vide che ballava in un angolo della stanza,
cercando di evitare con abilità Mike Ford, che per l’ennesima volta
cercava di trovare qualcuna da abbordare.
«Coraggio pupa, vieni a fare un giro, eh… ti va?» stava dicendo.
«Dai, Mike,» lo apostrofò Claude «non vedi che non ci sta… lascia
perdere.»
«Ehi, tu, pivello, lasciami lavorare» ruttò Mike, investendo Claude
con una zaffata che sapeva di birra e ketchup messi assieme.
Claude non raccolse l’offesa. «Ok Mike, vai a dormire che è meglio…
Janette, posso invitarti a ballare?» disse Claude meravigliandosi
della sua sicurezza.
«Sì, certo… volentieri.»
I due si allontanarono verso il centro della stanza, lasciando
esterrefatto il povero Mike che non trovò niente di meglio da
fare che attaccarsi all’ennesima bottiglia di birra.
Stephen aveva da poco terminato il suo hamburger e cercava
qualcos’altro da mettere sotto i denti. Era un quindicenne tranquillo con
una ristretta cerchia di amici di un paio d’anni più grande di lui.
Molto alto per la sua età, spesso preferiva dedicarsi al simulatore
di volo installato sul suo computer piuttosto che assistere al basket
in televisione. Conosceva segreti e caratteristiche di ogni aereo
conosciuto, commerciale o passeggeri che fosse e sapeva atterrare
in ogni aeroporto del mondo. Virtualmente parlando, ovviamente.
Passava molto tempo in camera leggendo i libri di suo padre,
prevalentemente testi tecnici di meccanica e di idraulica. Si interessava
a tutto quello che era tecnologia e innovazione e spesso gli amici
facevano affidamento sulle sue competenze per sistemare problemi
grandi e piccoli sui loro computer. Come tutti gli altri era stato invitato
da Johnny quella sera, e non si era di certo fatto pregare per
accettare l’invito. Partecipare a un party in casa di Johnny voleva
dire potersi aspettare di tutto.
«Vai, magico Kobe!» urlava esaltato Luke, saltando sulla vecchia
poltrona in pelle davanti al televisore. Da grande tifoso dei Lakers
qual era, Luke non si perdeva una partita della sua squadra preferita
per nessuna ragione al mondo e nemmeno quella sera aveva voluto
rinunciare all’appuntamento con il basket. Al suo fianco, assonnato
e annoiato, sedeva Fabio, un ragazzo di origini italiane. Era un amico
di Claude, anche lui appassionato di calcio, l’unico del paese che
condividesse questa sua predilezione per lo sport più praticato del
vecchio continente.
«Wow… hai visto, Fabio? Questo è sport… guarda che schiacciata.»
L’altro, dal canto suo, annuiva con indifferenza mentre sorseggiava
svogliatamente una Coca. Stephen seguiva divertito il monologo
di Luke mentre sgranocchiava una manciata di salatini. La musica si
stava facendo più blanda, dal rock si era passati alla disco e già stavano
facendo la loro comparsa i primi lenti dei vecchi anni Ottanta.
«Senti Janette, che ne diresti di andare in veranda a prendere un
po’ d’aria fresca?» Claude finalmente si era deciso.
«Certo, qui dentro mi sento soffocare… troppo fumo credo.»
Raggiunsero in breve tempo la veranda che si apriva sul giardino
con vista sul lago; in lontananza si udiva lo sferragliare del rapido
delle 23:10 diretto a Detroit, mentre alcuni cani randagi in strada
ululavano alla luna.
«È bello qui fuori…» esordì Claude con titubanza.
«Già, sembra di essere in un vecchio film» replicò lei intirizzita.
Era bellissima con le gote arrossate. Era il momento. Claude si
schiarì la voce e la guardò dritta negli occhi: «Senti Janette, io…».
Un tonfo improvviso fece sobbalzare i due. Era Alpher, il barboncino
di Johnny che, seduto sul davanzale della finestra che dava sul
salotto, aveva fatto cadere un vaso di dalie.
«Alpher, maledizione!» sbottò Claude tra lo spaventato e l’irritato.
Il barboncino osservò i due con noncuranza, zampettò un po’ per
la veranda e si diresse trotterellando verso il soggiorno e da qui in
cucina.
«Bene, ora venite fuori di lì e di corsa!» tuonava Johnny. «Non fate
i codardi, affrontate la vostra giusta punizione» e dicendo questo
puntava con fare accusatore l’indice della mano destra verso i
malcapitati decoratori di poster che erano ben lontani dal voler uscire
dal loro riparo.
«Guardate, voi due, che se non uscite spontaneamente, io…»
Johnny fu interrotta dal festante abbaiare di Alpher che dopo una
breve ricerca per la sala giungeva tra le sue braccia.
«Ah, sei qui, canaglietta» sussurrò dolcemente Johnny. Alpher era
l’unica cosa al mondo che mettesse in mostra il suo lato più tenero.
«Vieni qui in braccio… ehi… sei tutto sporco di terra. Che cosa hai
combinato? Non importa, tesoro.» Alpher da parte sua ricambiava
con tanto affetto, leccando il viso della ragazza e scodinzolando festosamente.
Quando il campanello suonò per la seconda volta, Johnny spazientita sbuffò.
Chi poteva essere? Erano arrivati tutti ormai. Forse
stavano facendo troppa confusione e i vicini avevano chiamato la
polizia? Posò Alpher a terra e i suoi lunghi capelli mori le scesero
sul volto. «Con voi faccio i conti subito» minacciò verso lo stanzino
delle scope, dove intanto i ragazzi si erano nascosti. Si avvicinò alla
porta. «Chi è?» disse mentre apriva.
«Pizza a domicilio!» rispose la creatura mentre sfilava dalla tasca
un lungo pugnale.
Claude aveva perso un’occasione d’oro, il momento più propizio
era passato e si sentiva imbarazzato e tremendamente in difficoltà.
Così, mentre il ragazzo si arrabattava su questo problema, ci pensò
Janette a risolverlo: «Cosa volevi dirmi prima, Claude?».
Il ragazzo arrossì leggermente, ma a causa della penombra lei non
se ne accorse. «Ecco io… Janette, tu mi piaci, e tanto, ci conosciamo da
poco ma io…»
Il dito di Janette giunse a socchiudergli le labbra.
«Non c’è bisogno di parlare così tanto, Claude, anch’io ti voglio
bene.»
Il ragazzo sentì un grande calore sprigionarglisi dal petto e salire
alla testa, si chinò leggermente in avanti e dischiuse le labbra mentre
avvicinava il suo volto a quello di Janette.
Claudio De Michielis
Grazie Alexis! Il seguito, “Il Brando di Helash” è in campagna di crowdfunding da una ventina di giorni!
alexys.tenshi94
Girando per il sito della Bookabook mi sono imbattuta in questo romanzo fantasy. Dopo aver letto la trama mi sono subito incuriosita ed ho deciso di dare un’opportunità a “Le tre lame”. Scelta davvero saggia…
Con questo romanzo ho potuto ritrovare quella passione ed adrenalina che è tipica dei fantasy.
Anche se la storia è ambientata nel futuro, sulla Terra vi è stata una regressione e il mondo sembra essere tornato al Medioevo. Protagonisti sono tre giovani – Claude, Stephen e Johnny – che dalla loro normalità fatta di feste, amici e problemi quotidiani si ritrovano teletrasportati nel futuro. Dopo uno smarrimento iniziale e aver compreso (a grandi linee) il loro nuovo compito, il trio di “avventurieri” dovranno cercare il Brando di Helash per poter sconfiggere il male che affligge il mondo (ed il tempo).
La profezia che viene tramandata da anni tra i vari regni parlerà di loro? Riusciranno a trovare il loro “posto” in questa battaglia?
Ho apprezzato molto lo stile di scrittura, mi ha ricordato molto Tolkien e Brooks. Le descrizioni non appesantiscono per niente il romanzo, che risulta scorrevole e riesce sempre ad avere l’attenzione del lettore al massimo con colpi di scena e rivelazioni, tanto da non poter lasciare il libro neanche per un minuto.
Spero che il seguito ci sarà presto perché voglio assolutamente scoprire come continuerà la storia.
NIVEN1972 (proprietario verificato)
La trama del libro è avvincente… appena inizi a leggerlo fai fatica a smettere, è appassionante ed avvincente… da leggere assolutamente.
Non vedo l’ora di leggere il prossimo !!
Alessandro (proprietario verificato)
Cristina in realta e quella che legge il libro, e’ fatto molto bene al pari delle grandi firme… Avvincente, ricco di intrecci, veramente bello se dovesse scriverne altri 10 io li compro!
In bocca al lupo.
sandro (proprietario verificato)
Ho avuto la fortuna di leggere la prima stesura… e sono stato il primo ad incoraggiare l’autore a scrivere.
Sono un appassionato del genere fantasy e mi sono bastati i primi 5 capitoli per innamorarmi dei personaggi e della storia.
Oramai l’ho letto 3 volte… e aspetto con ansia che Claudio riprenda a scrivere, per farmi volare ancora con la fantasia nel mondo che descritto con quel dettaglio e quella leggerezza di cui solo lui è capace.
I personaggi, poi, mi sono sembrati così reali che mi sembra di conoscerli da sempre.
UN LIBRO DA NON PERDERE.
Paolo (proprietario verificato)
Il Fantasy non è un genere facile, si rischia di cadere nelle banalità e nelle “solite storie”, lette e rilette. Ma non è questo il caso, in questo libro troviamo il classico Fantasy ma con una visione più ampia e con delle derive decisamente inusuali e molto accattivanti. La narrativa è scorrevole e incalzante, i colpi di scena ai susseguono e la caratterizzazione di personaggi e ambienti è particolarmente piacevole. Che dire si più…speriamo che l’autore continui a scrivere!!! DA NON PERDERE!