Prologo
«Miguel, dove vanno a finire i ricordi che perdiamo?»
«Più che perderli, credo che rimangano nascosti in qualche minuscolo spazio della nostra mente. Anche se non li ricordiamo, faranno sempre parte di noi. Alcuni ricordi ti restano dentro senza che tu te ne accorga.»
Il vento leggero dell’autunno scuoteva i rami delle ginestre e dei lecci che costeggiavano il lungomare. Ne staccava le foglie che si lasciavano trasportare senza meta per poi depositarsi silenziose sul terreno e la sabbia. La nuova stagione era appena iniziata, ma l’aria era già fredda e umida, il mare di un indaco intenso. Uno stormo di gabbiani sostava lungo la riva, le zampe sfiorate dalle onde.
Ad Alba non era mai piaciuto quel periodo dell’anno: l’estate era finita, le persone se ne erano andate e il suo paesino era a un tratto vuoto. Tutto intorno le cose sembravano rallentare, quasi fermarsi, lo spazio si allargava e il silenzio le dava più tempo per pensare, riflettere. Perché le si contorceva lo stomaco?
Ecco, provava una strana malinconia durante le mezze stagioni, anche se allo stesso tempo le piaceva quella lieve tristezza mescolata alla quiete. Non riusciva proprio a spiegarsi come quell’emozione negativa potesse coesistere con un’altra positiva.
Strinse la mano del padre, anche lui silenzioso come il lungomare.
Decise di non farsi altre domande; aveva otto anni e aveva tempo per scoprire cosa volesse dire quella sensazione. Quando sarebbe diventata più grande, si disse. Staccò la mano da quella del padre e cominciò a correre verso il bagnasciuga, rincorrendo i gabbiani che zampettavano per qualche istante e si alzavano in volo sempre prima di essere raggiunti. Dopo un breve tratto Alba si fermò, si guardò intorno, poi ricominciò a correre; voleva raggiungere le onde, oscillare come loro, tentare di toccare il vento. Stanca, si lasciò cadere sulla sabbia bagnata.
«Sono felice, papà.»
Sarebbero passati anni prima che nella mente di Alba riaffiorasse il ricordo di quell’episodio sulla spiaggia. Sarebbe stato lui a ricordarglielo, durante un viaggio che oggi le sembrava come un sogno.
Si trovavano bloccati nel traffico sull’autostrada per Stoccarda. L’aria condizionata asciugava il sudore prodotto dal caldo afoso di metà luglio. L’uomo alla guida aveva sbagliato strada, e aspettavano da almeno due ore di raggiungere un’uscita per poter tornare indietro. Erano entrambi seduti sui sedili posteriori, stanchi ma felici della giornata trascorsa. Il padre di Alba appariva emozionato, e un senso di nostalgia ancora gli attraversava il cuore: aveva portato la figlia a visitare il paese dov’era cresciuto, dove aveva trascorso la sua infanzia, e le aveva mostrato la casa in cui aveva vissuto con i genitori. Non ricordava un periodo della sua vita più felice di quegli anni di spensieratezza, marachelle e avventure con gli amici. Quanto desiderava poter riavvolgere il nastro e rivivere quei momenti, prima che la nonna di Alba si ammalasse, prima che lui fosse costretto a crescere, prima delle difficoltà e del buio che alla fine lo travolse.
«Quindi eri felice, quando abitavi qui?»
«Sì, molto. A sette anni già me ne andavo in giro per le strade da solo. Camminavo per ore e scoprivo ogni giorno qualcosa di nuovo. Combinavo parecchi guai, devo ammetterlo, ma erano innocenti. Come lo ero io, del resto.»
Alba ascoltava con attenzione i racconti del papà, al punto che poteva quasi vederlo correre per quelle strade che aveva calpestato anche lei solo qualche ora prima. Riusciva a immaginarlo in quell’altra epoca, libero e pieno di sogni, ed era una visione così vivida che persino lei sentiva la nostalgia di quei momenti, anche se non li aveva vissuti.
Si lasciò cadere sul sedile e appoggiò la testa contro il finestrino, volgendo lo sguardo sulla strada illuminata appena dalle luci anabbaglianti.
«Invece io credo di non essere mai stata felice, papà. Non ricordo nemmeno una volta in cui io l’abbia sentito o detto ad alta voce.»
«Ti sbagli, una volta me l’hai detto. Lo ricordo come se fosse ieri. Eravamo sulla spiaggia e tu ti eri buttata a terra dopo aver tentato di inseguire dei gabbiani…»
Nella mente di Alba si accesero delle immagini sempre meno confuse mano a mano che il padre raccontava. Le aveva vissute in un’altra vita quelle sensazioni? Non ricordava di aver pronunciato quelle parole, ma il motivo sì. Anche allora, da bambina, stava pensando alla felicità, al fatto che non l’avesse mai provata, proprio come avvertiva quella sera. Aveva deciso di dire quelle parole sperando che le si imprimessero nella mente e nel tempo. Così, in un futuro ipotetico, se qualcuno le avesse mai chiesto: «Qual è la prima volta in cui sei stata felice?», lei avrebbe avuto una risposta da dare.
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