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L’Eredità del Codice

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Consegna prevista Settembre 2025
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In un futuro prossimo un incontro casuale tra la giornalista Giulia e l’avvocata Amanda scatena una serie di eventi che darà anche all’inventore Eugenio, all’ereditiera Ivana, allo sportivo Gabriele e al politico Alessio l’occasione di realizzare i propri desideri e cambiare le loro vite. Per coglierla dovranno cooperare e mettere in gioco le loro abilità, tenendo a freno le loro debolezze.
Sullo sfondo un Paese in crisi, un mondo in cui le risorse scarseggiano e l’opportunità di adottare un’intelligenza artificiale per cambiare le cose. Ma servirà prendere posizione davanti a quesiti senza tempo. Di chi ci si può fidare? A cosa si può rinunciare per ottenere il potere? Cosa vogliamo veramente? Come vogliamo essere ricordati?
Attraverso un continuo cambio di prospettiva dei vari personaggi, “L’eredità del Codice” affronta temi d’attualità e del dibattito politico, sforzandosi di interpretare punti di vista diversi.

Perché ho scritto questo libro?

Il libro nasce da una domanda: quali tipi di potere esistono? Così sono nati sei personaggi che incarnano particolari abilità. Piano piano è iniziata a emergere l’idea di una storia che è diventata progetto quando ho capito che poteva affrontare i temi dell’intelligenza artificiale che si sviluppavano in contemporanea. Il progetto è diventato appassionante fino a rendersi materiale con la prima stampa di prova.

ANTEPRIMA NON EDITATA

1.1

L’ingresso dei tribunali ha sempre una scalinata. E se non ce l’ha, dovrebbe averla. Per sentire che la giustizia si colloca a un piano più alto di moralità? No, per dare modo alle piccole folle di giornalisti di accalcarsi ordinatamente sui gradini, dando a tutti la possibilità di assistere all’uscita di questo o quel personaggio coinvolto in una vicenda giudiziaria. Ancora meglio se sopra la gradinata viene installata una copertura che possa metterli al riparo dalle intemperie d’inverno o dal sole d’estate.

La mente di Giulia Cavalieri era attraversata da questi pensieri mentre scontrava i gomiti contro quelli degli altri giornalisti e le gocce di pioggia inumidivano la pelle, i vestiti e i capelli, ma soprattutto scorrevano sulle lenti degli occhiali. Lasciavano una patina sulla lucida pietra dei gradini dell’ingresso del tribunale. Il chiacchiericcio degli altri giornalisti si confondeva con i servizi in registrazione poco dietro.

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A Giulia non piaceva più quella parte del suo mestiere. Troppe volte aveva vissuto quelle situazioni di calca inutile. E il peggio doveva ancora arrivare: alla comparsa degli avvocati del Primo Ministro, i giornalisti si sarebbero temporaneamente trovati l’uno sopra l’altro, confidando di poter stare in un equilibrio simile a quello delle torri umane di certe antiche rappresentazioni popolari, urlando le proprie domande e avvicinando il microfono alla bocca degli avvocati solo per raccogliere un no-comment o, nel migliore dei casi, una dichiarazione standard tipo, “la corte ha esaminato attentamente le nostre argomentazioni e accolto le nostre richieste”.

Di notizie che già non fossero note, in verità, non ce n’erano proprio. Resistere in quella calca aveva un senso solo perché la stessa informazione, già ampiamente circolata e ribattuta da tutte le agenzie, per una buona parte del pubblico acquistava una sua forma, una sua riconoscibilità e tangibilità, solo quando veniva proferita e ripresa in video, digitalizzata e ritrasmessa no-stop sui maxischermi che occupavano intere pareti di case minuscole, o appesi nei muri degli uffici o installati sulle pareti degli edifici affacciati a luoghi pubblici molto frequentati.

Aveva quasi tutto per quel lavoro. Un’ottima capacità di comunicare e di comprendere lo stato d’animo delle persone, una scrittura efficace e un eloquio chiaro. Riusciva sempre a mettere l’enfasi sulle parole giuste. Un’espressione che bucava lo schermo. Era alta con delle braccia lunghe che non guastavano nella competizione con i colleghi per arrivare vicino all’intervistato, proprio come nella situazione in cui si sarebbe potuta trovare di lì a poco.

Tuttavia, poteva succedere che tutto quello sforzo non le sarebbe valso niente. Le capitava spesso che l’intervistato la guardasse male senza rispondere o con espressione indifferente solo per non apparire scortese di fronte alle telecamere. Già perché nonostante le sue capacità, Giulia incuteva una certa paura nei potenziali intervistati e spesso non riusciva a porvi rimedio e a metterli a proprio agio. Molti la conoscevano per le sue inchieste e per come aveva messo in difficoltà vari politici. Avvertendo la diffidenza che incuteva, cercava di esprimersi con parole neutre che evitassero giudizi, ma, nonostante i suoi sforzi, le domande le uscivano dalla bocca comunque precise, puntuali, nette, senza offrire agli intervistati troppe possibilità di sviarle.

Il suo cameraman la seguiva ovunque, anche lui sgomitando con gli altri per un’inquadratura migliore, con il problema aggiuntivo di non poterla perdere di vista. Alcuni colleghi erano passati al drone, controllato da un software di Intelligenza Artificiale (AI) che si supponeva dovesse imitare uno sciame d’api nel mantenere le distanze, ma i risultati finora erano stati deludenti (il brusio di fondo dava fastidio e a volte per l’affollamento si scontravano comunque cadendo sulla testa dei malcapitati) e la maggior parte delle testate importanti come la sua preferiva fare le riprese alla vecchia maniera.

A un certo punto, un avvocato passò poco di lato ai giornalisti e tutti cercarono di inseguirlo, pur non riconoscendolo. Nel movimento della calca, il cameraman scivolò sui gradini umidi e cadde malamente. Nonostante la confusione Giulia se ne accorse subito, imprecò e si diresse verso di lui. La caviglia le sembrò subito stranamente gonfia e il cameraman le disse di continuare il servizio senza di lui.

Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Altre volte avrebbe continuato con le riprese dallo smartphone, ma quella volta no. Per quel giorno ne aveva avuto abbastanza.

“Ci mandassero qualche matricola”. Lei poteva ambire a mestieri più interessanti e meno stressanti. Chiese al cameraman se doveva chiamare un’ambulanza, ma l’uomo, per nulla desideroso di andare al pronto soccorso ortopedico, un luogo in cui qualsiasi stima dell’ora di uscita si rivela sempre troppo ottimistica, decise di voler provare ad alzarsi e vedere come andava. Lo aiutò ad alzarsi e, raccolta l’attrezzatura, si diressero al bar accanto al tribunale. Entrando notò una persona che subito riconobbe.

1.2

Amanda Artemi era uscita da una porta laterale del tribunale. Gli avvocati più noti sarebbero usciti dalla porta principale, ma lei quel giorno non aveva voglia di stare a sentire le frasi fatte sull’ingiustizia delle accuse al Primo Ministro né tantomeno le dichiarazioni tronfie dei suoi capi sull’efficacia della strategia difensiva. Si sarebbe presa il suo caffè in santa pace, con un cioccolatino per gratificarsi della vittoria.

Mentre apriva la porta del bar e si metteva in coda per ordinare, pensò che lo studio avrebbe acquisito ancora maggiore notorietà e prestigio dopo quella giornata e che avrebbero così potuto aumentare le tariffe da applicare ai propri assistiti. Anche lei avrebbe certamente ottenuto un premio e probabilmente anche un aumento, magari al prossimo caso importante avrebbe ottenuto anche una maggiore visibilità.

Ma da quando la corte aveva pronunciato il suo giudizio, la sensazione principale che aveva iniziato a provare, inspiegabilmente, era di un certo schifo. Certo era soddisfatta, ma in fondo se l’aspettava. Si aspettava che il giudice non se la sarebbe sentita di passare oltre su certi errori procedurali dell’accusa, di sostenere l’impianto accusatorio fondato su legami tanto evidenti nella sostanza quanto flebili nella forma. Era certa che in un processo così importante la separazione dei poteri fosse inevitabilmente sottile, quasi trasparente, perché qualsiasi essere senziente avrebbe avvertito un po’ di pressione. Senza vere prove, anche la presunzione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio non sarebbe stata sufficiente.

E quindi schifo, sì. Schifo per quel sistema giudiziario, lento, pomposo e inefficiente anche a causa dei cavilli che gli avvocati come lei trovavano per renderlo ancora più ingiusto. Più un processo si allungava, più solo i ricchi potevano permetterselo. Alcuni paesi stranieri avevano iniziato a usare software AI per eliminare automaticamente dai dibattimenti tutto ciò che non riguardava il processo e tutte quelle richieste che gli avvocati facevano solo allo scopo di prendere tempo o introdurre artificiosamente elementi di ambiguità. Gli avvocati più solerti potevano ancora ricorrere contro la non ammissione di certe prove, ma senza la possibilità di interrompere il processo. “In questo campo siamo maledettamente indietro” diceva spesso Amanda ai suoi colleghi, che in fondo non la capivano, visto che era loro interesse che i processi fossero così com’erano.

Schifo poi per il Primo Ministro, che lei aveva appena salvato dall’inizio di un procedimento penale che gli sarebbe certamente costato il posto, se non qualche anno di galera. L’accusa di corruzione si basava su una maggiorazione del prezzo pagato da un’azienda a una società riconducibile alla moglie del Primo Ministro per servizi difficili da certificare. Amanda era certa che quella fosse una mazzetta, ma i livelli di separazione che era riuscita a dimostrare salvaguardarono la posizione del Primo Ministro. Al massimo si poteva ipotizzare un management carente nella società che aveva pagato i servizi. Che lei avesse sempre votato per il partito del Primo Ministro le ingarbugliava ulteriormente lo stomaco.

Schifo anche per il suo studio, dove pochi bravi professionisti s’impegnavano per la gloria di molti avvocati di rappresentanza, i cui cognomi resistevano nei titoli dello studio solo per discendenza genetica e in genere abili solamente a parlare davanti ai microfoni e a pubblicizzare lo studio.

Schifo, in definitiva, per sé stessa. Aveva sgobbato tantissimo per raggiungere quella posizione e, come altre volte in passato, sentiva di essere sottovalutata e di poter ambire a qualcosa di più che difendere dei corrotti, per quanto celebri e facoltosi. Probabilmente non avrebbe mai più seguito un procedimento così importante e alla fine il senso qual era? Salvare una persona colpevole.

La borsa di studio per l’Università di Diritto e l’ingresso in un prestigioso studio legale le avevano aperto la strada per tutto quello che potesse desiderare, ma piano piano iniziò a provare un’irritazione irrefrenabile verso gli affari sporchi che si trovava a difendere. La pagavano bene e spendeva i suoi soldi allegramente, ma era sempre meno motivata e sempre più incredula nel vedere la pochezza, non solo morale, delle persone potenti. I suoi capi, i suoi clienti e ora anche i suoi governanti. Non che avesse mai pensato che fossero stinchi di santo, ma almeno una parte di loro sembravano onesti o addirittura interessati al bene delle persone. Invece, nel migliore dei casi, si facevano gli affari propri. Avendoli conosciuti da vicino, capiva di essere migliore di loro e pensava che, in fondo, il suo ruolo nel mondo fosse quello di sostituirsi a loro. Peccava di arroganza? O era quello a cui era veramente destinata? E comunque, anche se avesse deciso di intraprendere quell’avventura, non avrebbe avuto idea da che parte cominciare.

Il suo turno in coda alla cassa per ordinare il caffè si avvicinava e sentiva che forse una parte della sua vita si stava chiudendo e che la prossima svolta era molto vicina. Anche se questo voleva dire rinunciare per un po’ all’importante stipendio del grande e prestigioso studio.

1.3

Giulia non poteva certo perdersi questa occasione. L’avvocata sembrava sovrappensiero con un’aria vulnerabile. Non sembrava essersi accorta di lei e del suo cameraman. Decise di provare ad avvicinarla con calma, lasciando il cameraman seduto a riposarsi su una sedia. L’intuito le suggeriva che era strano che quell’avvocata si trovasse lì, forse poteva rivelarsi qualcosa d’interessante che avrebbe compensato la sua assenza dall’uscita del tribunale. Pensò quindi di provare a offrirle qualcosa.

“Buongiorno, mi chiamo Giulia Cavalieri, sono una giornalista, penso che ci siamo già viste, forse in tribunale… Avvocata Artemi, giusto? Posso offrirle un caffè?”

Amanda fu presa un po’ alla sprovvista. Parlare con i giornalisti era proprio quello che aveva cercato di evitare, ma ebbe il sopravvento l’automatica esigenza di mostrarsi cortese. “S-sì, va bene, grazie”. Si prese quindi un attimo per valutare la situazione. Squadrò Giulia, chiuse gli occhi e pensò automaticamente in che modo quella circostanza potesse farle comodo.

Da un lato non si sentiva nell’animo giusto di sostenere un’intervista, non sarebbe stata corretta verso lo studio né verso il suo cliente. Dall’altro aveva una gran voglia di chiacchierare, di dire come la pensava e di allontanarsi dallo schifo che sentiva. Realizzò che forse… forse poteva essere un’occasione. Quell’occasione. E un rischio al tempo stesso, come tutte le vere occasioni.

Una volta sedute a un tavolo, Giulia provò a esordire con un cauto “Lei è nel pool di avvocati del Primo Ministro, vero? Come mai non è a brindare con i suoi colleghi? Sembra così… triste, scusi se glielo dico, ecco, dopotutto non è stata una grande vittoria oggi?”

“La ringrazio del caffè, ma sappiamo entrambe benissimo cosa vuole da me. E io non ho ancora deciso se è quello che le voglio dare”.

Il tono improvvisamente aspro fece spalancare le palpebre a Giulia che istintivamente si mise in una posizione difensiva, ritraendosi. Tuttavia, era abituata a intervistati che non si fidavano di lei e rispose a tono: “Ok, quello che invece non capisco io è quello che vuole lei”.

Amanda lasciò che quelle parole risuonassero un po’ nella sua testa. Aveva sempre voluto qualcosa e in fondo anche ora, sotto sotto, sapeva quello che voleva. Ma, a differenza delle altre volte, si trovava ancora senza un piano preciso per ottenerlo.

Soppesò per qualche secondo se andare avanti o lasciarsi quella strada alle spalle. Ma un qualche detto che aveva sentito le risuonava nella testa: “meglio avere rimorsi che rimpianti”.

Squadrò ancora una volta Giulia. Decise che le piaceva. Piano piano qualche idea che poteva somigliare a un piano, seppur vago, iniziava a delinearsi nella sua testa.

Un piano con un briciolo di follia. “OK, possiamo darci del tu?”

Giulia annuì alzando le sopracciglia, stava per ottenere quello che voleva.

“Ci sono alcune domande che non potrai farmi. Ti darò un’interpretazione della decisione dei giudici che verte sull’inadeguatezza del sistema e tu non mi chiederai niente sulle mie opinioni politiche e su cosa pensi io in merito alla colpevolezza dell’imputato”.

“Andata” disse Giulia senza esitare.

1.4

Eugenio Della Porta si stava prendendo una pausa alla macchinetta del caffè negli uffici/laboratori in sharing dell’innovation hub dove lavorava la sua start up GAIA. Era appena circolata la notizia che il Primo Ministro non sarebbe stato rinviato a giudizio. Questo significava che il governo non sarebbe caduto e che la legge per l’estensione delle applicazioni dell’Intelligenza Artificiale di ultima generazione (AI+) avrebbe continuato il suo iter parlamentare.

Eugenio era stato molto nervoso negli ultimi giorni perché si preparava a un round di incontri con potenziali investitori. L’approvazione della legge avrebbe eliminato alcuni limiti normativi imposti all’utilizzo di alcuni tipi di Intelligenza Artificiale. In passato altri sistemi di AI, chiamati Super AI, simili a quelli che lui stava sviluppando, erano andati fuori controllo creando grossi danni, con la conseguente imposizione di importanti limitazioni al loro utilizzo applicativo. I nuovi sistemi, chiamati AI+ per differenziarli dai precedenti, avevano un funzionamento diverso e più sicuro, ma per poterli usare bisognava rilassare i vincoli della legge che aveva vietato le Super AI. Solo così avrebbe potuto aumentare la probabilità di ottenere finanziamenti e di acquistare server quantistici, tecnologie estremamente costose, ma necessarie per sfruttare al massimo il tipo di Intelligenza Artificiale che stava sviluppando.

Il caffè della macchinetta era sempre o troppo dolce o troppo amaro. Eugenio pensò che per quanto avanzata fosse la tecnologia, certe cose non funzionavano mai alla perfezione. La notizia appena ricevuta lo fece propendere per la selezione più dolce. Improvvisamente lo schermo installato davanti alle macchinette che era sintonizzato sul canale di notizie h24 si colorò di rosso con la scritta Breaking News, attirando la sua attenzione.

Avvicinò il bicchierino di materiale organico e compostabile alla bocca e un sussulto incontrollato del suo corpo gli fece rovesciare addosso tutto il contenuto.

2024-12-22

Aggiornamento

Grazie a tutti quelli che stanno sostenendo la campagna di #crowdfunding de L’Eredità del Codice https://bookabook.it/libro/leredita-del-codice/ Il vostro #passaparola può fare la differenza per raggiungere l’obiettivo di 200 ordini per la pubblicazione. Grazie di cuore @carolina_vecchioni per la splendida #recensione visibile nella sezione "Commenti". Le tue parole mi hanno davvero emozionato e sono grato per il tempo che hai dedicato a condividere la tua esperienza di lettura. 🙏 Se anche voi avete già letto la bozza, non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate! Ogni vostra opinione è preziosa. Buone Feste a tutti i lettori e sostenitori della campagna

Commenti

  1. È stata una lettura piacevole e avvincente. I personaggi sono ben delineati e l’intreccio ben costruito. La narrazione si costruisce su uno sfondo allo stesso tempo vicino e lontano dalla realtà in cui viviamo. Si tratta di qualcosa che già in parte esiste ma che ancora percepiamo come anteprima incerta di un futuro distopico, che forse si avvererà o forse no. “L’Eredità del Codice”, dietro alle vicende narrate, cela un più profondo livello di lettura che si interroga sul ruolo etico, politico e sociale che il progresso tecnologico può avere per l’essere umano.

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Lorenzo Meucci
Sono cresciuto tra Firenze e il Sud America, dove ho vissuto per circa 5 anni. Sono laureato in Economia con una tesi sull’incapacità di alcuni contratti di essere rispettati, andando a ricercarne le cause sia nelle regole del sistema che nei limiti umani, psicologici e computazionali. Questi temi, che portano a ricercare un equilibrio di libero mercato e regolamentazione, hanno ispirato la mia carriera professionale che si è sviluppata a Milano con l’ingresso in un gruppo internazionale operante nell’energia. A Milano ho incontrato mia moglie e sono nati i miei due figli. Mi interesso anche di politica, di sostenibilità e degli effetti sociali dell’evoluzione tecnologica, mi piacciono i thriller, la storia e la fantascienza.
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