ANTEPRIMA NON EDITATA
Prologo
L’unica cosa che sento è il ticchettio di quell’orologio. Non scandisce il tempo, mi scandisce i nervi. Ogni colpo mi ricorda quanto è dura stare qui, seduto su questa poltrona di pelle consunta, mentre un odore di carta vecchia e cuoio mi si attacca ai vestiti. Stringo i braccioli, forse per ancorarmi alla realtà. La luce è fioca, le ombre sono lunghe, ma il buio vero ce l’ho dentro.
Lui è lì, dall’altra parte della scrivania. Mezza età, impeccabile, con una calma che mi fa male. Quegli occhi penetranti mi scavano dentro. Stringe una penna di madreperla. È in attesa, e la sua attesa è un peso.
Poi la sua voce si alza, fredda, tagliente.
“Raccontami di tuo padre.”
Basta una frase. Mi si stringe lo stomaco. È una ferita, e lui ci ha appena messo il dito. Un istante fa stavo solo guardando il pavimento, ora vedo un abisso.
“Non ricordo molto di mio padre…” La mia voce è rauca, quasi non la riconosco. “Avevo solo sei anni quando…” Mi si spezza. Sento la maschera di dolore contrarsi sul volto, ma cerco di trattenere tutto. Non posso piangere. Non qui. Non davanti a lui.
Lui non batte ciglio. Il suo sguardo è una lastra di ghiaccio.
“Devi parlare,” dice con una fermezza quasi brutale. “Non puoi continuare a seppellire il tuo passato dentro di te. La verità, per quanto dolorosa, è l’unico cammino verso la libertà dal tormento.”
Queste parole mi scuotono. Paura. Dolore. Ma anche, in un angolo minuscolo, una scintilla di speranza. Forse ha ragione. Devo affrontare questa cosa. Prendo un respiro profondo.
“Ero solo un bambino quando mio padre morì,” riprendo, e sento la voce tremare ma anche farsi più decisa. Le mie mani si serrano ancora più forte. Devo aggrapparmi a questa poltrona. “Era una sera d’estate… calda, soffocante. Eravamo fuori, tutti e tre, io, mio padre e mia madre.” Il nome di mia madre mi provoca un piccolo sussulto. “Avevamo passato il pomeriggio insieme… mi aveva comprato un gelato. Vaniglia. Lo ricordo ancora.”
Una smorfia malinconica mi deforma il viso. I ricordi sono vividi e mi fanno male.
“Eravamo sul ponte sopra il fiume. Stringevo forte la mano di mia madre… avevo una paura tremenda delle altezze. Guardare giù, vedere l’acqua scorrere… mi faceva girare la testa. Ma mio padre sorrideva. Mi ha messo una mano sulla testa e mi ha detto che non dovevo avere paura, che il ponte era solido, che il fiume era solo un fiume; la paura non doveva controllarmi.”
Lui annuisce. “Tuo padre insegnava filosofia all’università. Un uomo di principi.”
“Sì,” rispondo con un sorriso che muore subito. “Era tutto per me. Sempre calmo, sempre pronto a rassicurarmi. Ma quel giorno… quel giorno è crollato tutto.”
Silenzio. Devo riprendere il controllo.
“Non ricordo tutti i dettagli. Solo il terrore. Un uomo… comparve. Aveva un passamontagna. Cercò di prendere la borsa di mia madre. Mio padre si mise in mezzo. Non voleva che le facesse del male.”
Gli occhi mi si riempiono di lacrime, ma non piango. Non posso. “Ci fu una lotta. Mio padre provò a parlare, a dissuaderlo, ma l’uomo aveva un coltello. Io caddi a terra, mia madre urlava… e poi mio padre fu colpito. L’ho visto cadere. L’ho visto sanguinare.”
Il silenzio adesso è totale, oppressivo. Lui, per un attimo, sembra meno di ghiaccio. La sua voce torna, professionale: “È difficile, lo so. Ma è importante ricordare. È la chiave per affrontare ciò che sei diventato oggi.”
Annuisco lentamente. Gli occhi sono di nuovo persi. “Mio padre… mi sorrise un’ultima volta. Mi disse che mi amava. E poi… poi non ci fu più.”
Sono esausto. L’uomo si alza, chiude il taccuino. Cammina verso la finestra. La sua ombra si allunga sul pavimento. Si volta verso di me.
“Sei più forte di quanto credi,” dice, ed è una calma sorprendente. “Hai affrontato l’oscurità, ma ora devi imparare a vivere con essa.”
Non rispondo. Ma qualcosa nei miei occhi è cambiato. Forse, per la prima volta, la via d’uscita è un po’ meno lontana.
CAPITOLO PRIMO
L’auto era parcheggiata lungo una stradina silenziosa, lontana dal brusio cittadino. Era come una sentinella che attendeva il proprio turno. L’aria fresca della notte filtrava attraverso i finestrini leggermente abbassati. Una brezza delicata contrastava con la tensione palpabile nel veicolo. Eppure, la conversazione tra i due creava un’atmosfera leggera, quasi surreale. Simone e Sebastiano chiacchieravano sommessamente, seduti come due vecchi amici in un angolo segreto del mondo, mentre la luce lunare disegnava ombre sui sedili in pelle.
Simone, avvolto in una giacca scura che si fondeva con l’oscurità, non aveva nulla dell’austero medico che era di giorno. I suoi capelli brizzolati e il sorriso accattivante suggerivano un uomo che sapeva godersi la vita, lontano dagli ambienti formali degli ospedali. Era l’analista, il pensatore. Sebastiano, con il suo abbigliamento casual e il sorriso complice, sembrava il partner perfetto. Era l’uomo di campo, il cauto.
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Una busta di pistacchi era la principale distrazione di Simone, il suo snack preferito. L’agenzia di Intelligence si lamentava spesso delle condizioni poco decorose in cui l’auto veniva ritrovata a fine missione, ma Simone non riusciva a preferire uno spuntino meno “invasivo”.
“Davvero non riesci a resistere a quei pistacchi, eh?” chiese Sebastiano, osservando con un misto di divertimento e preoccupazione l’attività incessante del suo amico.
Simone, con un pistacchio tra le dita e un sorriso divertito, rispose: “Sono irresistibili, Seba. È una delle mie poche debolezze. Meglio questo che fumare, no?”
Sebastiano alzò un sopracciglio con un’espressione giocosa. “I piani alti si lamentano della tua dipendenza. L’auto, a fine missione, sembra un campo di battaglia.”
Simone fece una smorfia pensierosa mentre guardava il caos che aveva creato intorno a sé. “Sì, l’agenzia non è esattamente contenta, ma è un’abitudine difficile da spezzare.”
L’autoradio trasmetteva una melodia leggera, offrendo un contrasto ironico tra la serietà del momento e la tranquillità della notte.
Tra una risata e l’altra, Simone e Sebastiano osservavano con attenzione l’edificio di fronte a loro, come due predatori in attesa. Simone buttò un guscio di pistacchio dal finestrino e si rivolse a Sebastiano con un sorriso divertito.
“Scommetto venti euro che uscirà con quel cappotto. Lo tira fuori solo quando è in paranoia totale.”
Sebastiano sorrise, accettando la sfida. “Accetto. Per me non è ancora così ansioso da sfidare il caldo con quella vecchia pellaccia. Piuttosto, hai un piano B se non si muove stanotte?”
Simone si accigliò per un momento. Confidò a Sebastiano che aveva qualcosa in serbo, ma che la cosa fondamentale era affidarsi al loro istinto e alla loro intesa, poiché erano bravi a cogliere gli indizi sottili.
Sebastiano, con tono più calmo, ribadì che avrebbero avuto bisogno di pazienza e attenzione, esprimendo la speranza che quella notte potessero finalmente ottenere il risultato cercato.
Simone annuì, gli occhi fissi sulla strada buia di fronte.
All’improvviso, il portone principale dell’edificio si aprì. Ne uscì un uomo sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e avvolto in un lungo cappotto grigio. La sciarpa scura stretta attorno al collo aggiungeva un tocco di mistero alla sua figura. Simone si girò verso Sebastiano con un accenno di sorriso: aveva vinto la scommessa.
L’uomo salì su una piccola utilitaria e partì lentamente verso la periferia della città. I due avviarono l’auto per seguirlo discretamente. Il motore sussurrò appena. La periferia si svelava lentamente di fronte a loro. La radio, ora silenziosa, lasciava spazio solo al sibilo leggero del vento tra gli alberi.
Sebastiano osservava attentamente ogni mossa dell’uomo pedinato, il suo sguardo concentrato e senza distrazioni, cercando di cogliere qualsiasi dettaglio. Simone, nel frattempo, continuava a sgranocchiare i pistacchi, mantenendo una parvenza di normalità nonostante l’adrenalina.
Dopo un po’ di silenziosa osservazione, Sebastiano ruppe il silenzio, chiedendo se Simone avesse notato qualcosa di strano nel comportamento dell’uomo.
Simone rispose con aria pensierosa che l’uomo sembrava piuttosto nervoso, più del solito. Lo invitò a stare attento, in quanto poteva trattarsi di semplice paranoia o di qualcosa di più serio.
L’uomo alla guida dell’utilitaria prese una strada laterale, portandoli in un quartiere meno frequentato. Le case si facevano più rare e l’oscurità della notte avvolgeva ogni angolo.
Sebastiano espresse l’opinione che l’operazione poteva essere più delicata del previsto e strinse leggermente il volante, chiedendo di continuare a seguirlo, ma di mantenere la distanza per non dare nell’occhio.
Il quartiere si fece sempre più deserto e l’utilitaria rallentò, fermandosi davanti a un anonimo bar. L’uomo uscì, guardandosi intorno con sospetto, e si avviò verso l’ingresso. Simone e Sebastiano si scambiarono uno sguardo, scesero dall’auto e si diressero verso l’entrata.
La campanella sopra la porta del bar tintinnò delicatamente. Il calore dell’ambiente contrastava con l’aria fredda della notte. L’aria nel bar era densa e stantia, satura dell’odore di birra e chiuso. Gruppi di persone chiacchieravano sottovoce, creando una colonna sonora rilassante che contrastava con la gravità della loro missione. L’uomo che stavano pedinando si era già seduto al bancone, ordinando qualcosa al barista con un gesto riservato.
Simone e Sebastiano trovarono un tavolo in un angolo discreto, da cui potevano osservare attentamente ogni movimento.
Dall’angolo del tavolo, Simone sussurrò a Sebastiano: “Manteniamo la calma e aspettiamo. Cerchiamo di capire cosa sta succedendo prima di agire.”
L’uomo dava l’impressione di chi stava attendendo qualcuno. Ogni tanto controllava nervosamente l’orologio, mentre il barista gli portava un bicchiere di whisky con ghiaccio. L’uomo che stavano pedinando si era già seduto al bancone, ordinando qualcosa al barista con un gesto riservato. I due amici studiarono il locale, cercando volti familiari o segnali che potessero rivelare il motivo della presenza dell’uomo.
Improvvisamente, la porta del locale si aprì con delicatezza. Entrò una donna dal portamento elegante, vestita con un abito nero. I capelli castani scendevano morbidi sulle spalle. La donna si avvicinò al bancone dove era seduto l’uomo, che si alzò per incontrarla. Scambiarono un sorriso discreto e poi si sedettero l’uno accanto all’altra.
Simone e Sebastiano intensificarono la loro osservazione.
“Bene, bene… La situazione si sta facendo più interessante,” sussurrò Simone a Sebastiano.
Sebastiano si protese in avanti, socchiudendo gli occhi. “Quella è Rebecca.” Il suo tono, sempre misurato, era ora un misto di curiosità e preoccupazione. “Una delle figure chiave di Giovanni Lauria. Come sospettavamo, la malavita è coinvolta.”
L’atmosfera nel bar era cambiata. La coppia parlava sottovoce, ma le espressioni dei loro volti rivelavano che la conversazione era seria.
Sebastiano sussurrò che dovevano avvicinarsi senza destare sospetti per scoprire cosa stessero pianificando.
Mimetizzandosi con cautela, i due si posizionarono a qualche metro di distanza dalla coppia per ascoltare frammenti di conversazione senza dare nell’occhio. La donna stava parlando con voce appena udibile, ma Simone riuscì a percepire alcune parole chiave come “scambio” e “informazioni riservate”. Sebastiano scambiò uno sguardo con il collega, indicando che le cose stavano diventando più complesse.
Continuarono ad ascoltare con attenzione. Videro l’uomo, con un certo disagio, passare una piccola chiave USB alla donna.
Simone strinse le labbra, la sua disinvoltura scomparsa per un attimo. “Ci siamo. Dati sensibili. L’amministrativo Gabriele sta facendo il doppio gioco per conto di Lauria.”
Il collega annuì, condividendo l’idea che l’uomo fosse corrotto. La situazione si stava rivelando più intricata e pericolosa.
Sebastiano, dalla sua postazione, continuò a monitorare, attento a ogni dettaglio. Simone, con la sua ben nota disinvoltura, si preparò ad avvicinare la donna per estorcere informazioni. Era il momento del gioco e della messinscena.
Simone osservò attentamente Rebecca. Con un sorriso fiducioso, si avvicinò, ordinò una bevanda e si piazzò in modo da poter partecipare alla conversazione senza destare sospetti.
“È un locale interessante, vero?” disse Simone, cercando di iniziare una conversazione apparentemente casuale.
Rebecca lo guardò con occhi penetranti e un sorriso enigmatico, valutando la sua presenza. “Sì, lo è. Luoghi come questi nascondono spesso segreti interessanti.”
Simone annuì, mantenendo il suo atteggiamento rilassato. “Mi chiamo Leonardo. Siete in una conversazione piuttosto intrigante, mi pare. Spero di non disturbare.”
Rebecca sorrise in modo enigmatico. “Siamo solo amici che discutono di affari. Nulla di cui tu debba preoccuparti.”
Simone, mantenendo il suo aplomb, continuò a sondare con abilità. “Affari, dici? Ho sempre avuto una certa curiosità per il mondo degli affari. Forse posso contribuire in qualche modo?”
Rebecca lo guardò con un misto di cautela e interesse. “Dipende da cosa hai da offrire.”
Gabriele, osservando con crescente irritazione l’interazione tra i due, intervenne con voce calma ma carica di autorità: “Mi dispiace interrompere, ma questo non è affar tuo.”
Simone si voltò verso Gabriele, mantenendo un sorriso malizioso. “Tranquillo, cercavo solo di aggiungere un po’ di vivacità a questa serata. Non volevo disturbare affari così seri.”
Gabriele lo guardò intensamente. “Affari che non ti riguardano. Ti consiglio di tornare al tuo tavolo e lasciarci in pace.”
Simone alzò un sopracciglio in segno di sfida, ma prima che potesse rispondere, Sebastiano si unì alla conversazione. Intervenne rapidamente, con la calma di chi vuole evitare un conflitto inutile, dicendo che erano lì solo per una bevuta e che non avevano intenzione di disturbare nessuno.
Rebecca, divertita dall’accaduto, continuò a mantenere una riservatezza intrigante. “Interessante, Leonardo, ma non credo che possa esserci alcuna collaborazione per stasera.”
Simone, senza perdere il sorriso, accettò il tono più serio. “Va bene, sono qui se cambiate idea. Nel frattempo, continuate pure la vostra discussione. Non voglio essere un intruso.”
Si ritirò con un sorriso disinvolto. Rebecca lo guardò con un’espressione che mescolava disinteresse apparente e un certo fascino nascosto, tradendo una curiosità per l’affascinante intruso della serata.
Mentre Simone tornava al tavolo, il pensiero di quell’interazione intrigante danzava nella sua mente. Dietro la freddezza apparente di Rebecca, c’era qualcosa di più, qualcosa che prometteva di rivelare segreti oscuri.
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