«Tutto bene? Vediamoci, dobbiamo parlare della casa». L’altro della sua agente:
«Sono Françoise… Ti ho cercata, richiamami»
Si sedette sul divano, provò a guardare qualcosa in tv – che non accendeva quasi mai, se non per rivedersi in un’intervista o per qualche breve notiziario – ma si stufò subito. Si preparò qualcosa da bere, cosa che aveva imparato recitando nei film americani, ma anche quel rituale lo interruppe a metà.
Provò a prendere in mano un copione di un possibile prossimo film, e forse fu la noia del testo, la sensazione della carta tra le dita e il desiderio di leggere qualcosa di interessante, che la portarono all’immagine allettante della posta. Si avvicinò all’ingresso dove Fumé si era rintanato proprio sotto il tavolino. Dopo aver accarezzato il micio e rivoltogli alcune parole quasi incomprensibili, le sue mani presero le carte. Fece cadere per terra tutti gli avvisi pubblicitari, le bollette di casa, gli annunci immobiliari e la busta della parrocchia di quartiere, finendo per restare con in mano una lettera della sua agente, di cui ne immaginava il contenuto e un’altra, della quale l’attirò la bella calligrafia con cui veniva riportato il suo nome e indirizzo, mentre dietro non vi era scritto nulla.
Curiosa l’aprì e, lette le prime righe, non si poté impedire di raggiungere il divano e continuare a guardare scorrere sotto i suoi occhi le parole scritte con così tanta cura:
Martedì 5 novembre 2013
Mia carissima Marie,
trovo l’ardire di scriverLe, finalmente… Dopo anni trascorsi in silenzio, mesto e inutile silenzio. Non è inutile tacere la grandiosità umana di cui siamo portatori? … E pericoloso, forse: una malattia del cuore.
Le chiedo scusa per la sensazione di ridondanza che avvertirà nel notare l’uso – che io definisco premura – di aggiungere la lettera maiuscola ogni volta che mi riferisco a Lei, servigio che in genere si riserva ai soggetti sacri o per i quali si prova reverenza; adorazione, oserei dire.
Ma non si preoccupi, non La voglio trattare come un idolo. Al contrario: mai La innalzerei a tal punto da perderLa di vista e apparire ai Suoi occhi come un insignificante oggetto prono ai Suoi piedi.
Piuttosto, dopo molti anni sono giunto a comprendere una tale vicinanza e una medesima altitudine con Lei che ciò mi permette di porgerLe la mia riflessione trattandola umilmente da pari.
Provi a immaginare, Marie, che da qualche parte nel mondo esista un uomo che, per una misteriosa ragione, sia convinto di essere la Sua anima gemella.
Oh, non rida, La prego… L’espressione, sebbene abusata, è profonda, se all’anima diamo il senso della nostra più autentica verità interiore – e che ha come sigillo un destino a lei chiarissimo – e per gemella intendiamo il senso di appartenenza che potrebbe provare uno specchio davanti al corpo che riflette.
La prego di non equivocarmi: l’uomo di cui le parlo non ha seguito la Sua carriera, come potrebbe aver fatto un Suo cosiddetto fan, il quale abbia visto tutti i Suoi film e che di Lei sappia tutto, andando a scovare le informazioni nelle riviste di attualità o leggendo qualche biografia, semmai Lei ne avesse scritta una (vede? neanche lo so…).
Al contrario, immagini un uomo che di Lei non sappia nulla, poiché refrattario alla morbosità dei collezionisti o dei feticisti dell’immagine pubblica, lontano dunque dall’inseguire un fantasma che compare sullo schermo cinematografico. Eppure, quest’uomo di Lei conosce la cosa fondamentale: la Sua intima essenza, la più profonda natura celata dietro i mille veli che il mondo le ha costruito addosso. Lei è sola, Marie, di una solitudine antica, forse lo è da prima di venire al mondo. Lei è un segreto ai suoi stessi occhi, ma non ai miei, che in Lei hanno l’ardire – o direi meglio, la grazia – di poter scorgere l’intima verità. Lei è mare, moto ondoso che urla sotto la chiglia di un transatlantico chiassoso; Lei è distrutta nell’anima, come lo sarebbe quella nave, se solo guardasse avanti, alla montagna maestosa a cui va incontro senza vederla, ma Lei è già quell’impatto, quel naufragio. Molti la vogliono vento, bufera e al contempo titanica nel suo incedere, o sole splendente sulla scia di una nave che vola verso lidi senza la morte. Ma non è né intemperie né umana costruzione: Lei è l’effetto dello scontro, il risultato dell’amplesso amoroso tra l’esistere e il frangersi. Lei è dissoluzione.
Io La vedo, dunque, non dalla superficie piatta di uno schermo, ma da un tempo diverso, un’eternità che soggiace al tempo frammentato di una pellicola.
No, mai ho seguito i Suoi passi come il medico segue gli spasmi del malato, che altro non sono che i segni di una malattia dell’anima. Sono un uomo che La vede nel punto oscuro, e così lucente da restare cieco, e disperatamente gioirne.
E tutto ciò è intimamente legato alla mia esistenza. Immagini allora un uomo che di Lei abbia la chiara percezione che la Sua sia l’immagine incarnata di ciò che più caro al mondo quell’uomo possieda, di più vicino al suo essere profondo, e che Lei esiste nel suo passato, nel suo presente e nel suo futuro, fino alla fine dei suoi giorni.
Provi a immaginare l’esistenza di un uomo così.
Vengo al dunque, Marie.
Nella situazione nella quale ci troviamo – Lei notissima e lui uno sconosciuto, a volte persino a se stesso – come crede che lui possa dimostrare la verità di queste parole?
Quale possibilità avrebbe un tale uomo, e quante gliene concederebbe Lei?
Risponderebbe a questa lettera?
Accoglierebbe l’invito a conoscere un estraneo, fuori dal Suo mondo, totalmente alieno alla Sua vita?
Quell’uomo ha avuto modo di guardarLa innumerevoli volte, da ogni angolatura, in ogni espressione, poiché il Suo mestiere pubblico ha scaraventato il Suo volto – che è il codice manifesto della Sua anima segreta – ovunque nel mondo, e poi l’ha guardata nell’intimità del suo cuore, dove la sua immagine è stata sbucciata come un frutto, fino a giungere al nucleo essenziale, che solo nel cuore dell’altro può manifestarsi, e quel cuore è il mio.
Quell’uomo che partirebbe dunque svantaggiato, poiché per essere ai Suoi occhi un Suo pari, Lei dovrebbe guardare lui per lo stesso numero di volte con cui lui ha guardato Lei, e masticarlo fino al midollo come lui ha masticato Lei.
Ora le chiedo: riuscirebbe a dedicargli il suo tempo, come un atto di divina giustizia, radicata in un’inossidabile fiducia che alla fine di quel periodo trascorso insieme, Lei possa accorgersi di lui come egli si è accorto guardando Lei?
Riuscirebbe a darsi l’unica possibilità di incontrare il solo uomo che altrimenti non conoscerebbe mai, e che le consentirebbe di conoscersi lei stessa?
Mentre svolge questa riflessione le auguro la meravigliosa pioggia di Parigi.
Suo M. Leibvoz
4
Dall’altra parte della Francia, in un piccolo paese delle Lande, un uomo corpulento, sulla cinquantina, s’era chiuso la porta alle spalle. Dietro di sé aveva lasciato un tramonto senza nubi, di là delle dolci colline dietro le quali vi era un mare prossimo al colore invernale. Nei pressi della sua casa aveva lasciato un giardino trattato a metà, abbandonando i pochi attrezzi da lavoro al silenzio serale.
Per Matthieu, novembre era l’epoca della preparazione della terra: il rimescolamento degli abissi – come lo chiamava lui. Così come definiva l’ora del tramonto – che su tutte la preferiva – un momento di cosmica fragilità dove si manifestava la condizione di impotenza di ogni cosa.
Stanco come sempre, a quell’ora, anche quella sera Matthieu si era ritirato con il sole morente in quella casa che era appartenuta ai suoi genitori e prim’ancora al padre di suo padre, emigrato in Francia da quello che un tempo era chiamato l’impero austroungarico.
Chiusa la porta dietro di sé, aveva ritrovato con muta soddisfazione gli oggetti soliti e cari: il pesante tavolo rettangolare di legno massello ricoperto di libri e con qualche sedia ormai spaiata; la stufa con ancora il corpo tiepido della brace di mezzogiorno – ora in cui Matthieu era rientrato per pranzo e aveva sentito il bisogno del calore del fuoco, uno dei primi dell’anno. Su una credenza di un’epoca remota vi erano i volti di un mondo perduto, lunghe barbe e donne di un candore quasi irripetibile. La cucina a vista, sulla destra, metteva in mostra il bel colore del rame delle pentole appese accanto alla finestra. E su tutto regnava una sensazione soffice di lanuggine sparsa, attribuibile ai divani e alle poltrone che riempivano il salotto, e ai tappeti, che coprivano quasi tutto il pavimento che per lo più era di mattonelle di un rosso purpureo. Alle pareti alcuni quadri, i suoi soprattutto, dal gusto astratto, tranne qualche natura morta precedente al suo periodo più concettuale.
Fatti i primi passi in casa, s’era voltato di scatto. Aveva dimenticato di togliersi le scarpe infangate. Si era poggiato al muretto dell’ingresso e poi, a piedi quasi nudi, aveva cercato di rimediare, per finire col lasciare tutto lì. Troppo stanco, ora, per pulire il tappeto. Che imbranato, aveva pensato, scuotendo la testa.
Andò alla stereo accanto alla stufa e cercò di ricreare l’idillio che a volte percepiva dentro di sé, facendo girare un 33 giri che portava il titolo “Après midi d’un faune”, di Claude Debussy. Non era forse quello il suono del suo regno favorito?
Mentre ascoltava il flauto irrorare di bellezza la sua casa, Matthieu si tolse i vestiti, lasciandoli cadere per terra; raggiunse il bagno, dove aprì il rubinetto della vasca e si sedette sulla tazza ad attendere che l’acqua fosse pronta – «è pronta l’acqua», diceva sempre sua madre quando era bambino – mentre ora il vapore gli annebbiava la vista.
Composto, nudo, con il peso della sua carne in vista, senza pudore; decadente, forse, o eroico: così era Matthieu, che di mestiere svolgeva per lo più quello di contadino, seppur vi fosse in lui un anelito a cieli del pensiero filosofico, che poco si interessava della terra, delle patate e di semina. Un contadino anomalo, potremmo dire, amante e della poesia, suo amore giovanile, e soprattutto della pittura. Quest’ultima era sempre stata il tema della sua vita. Vi aveva improvvisamente rinunciato qualche anno prima, sebbene l’avesse da sempre vissuta in modo viscerale, sempre attraverso l’uso carnale delle mani che ora usava solo nella terra. Forse aveva smesso di dipingere quando dentro di lui doveva essere apparsa l’immagine folgorante di Marie Goddet.
Matthieu non pensava spesso a lei. Neanche adesso, che s’immergeva nell’acqua bollente della vasca da bagno. Anzi, in lui il volto dell’attrice era un’apparizione rara, un fiore esotico o un termine straniero che non apparteneva al suo parlare comune. “Goddet”, prima ancora di un nome, era una di quelle parole che egli sapeva bene esistere, ma che non usava mai. Eppure, quando la udiva, era come il ricordo di qualcosa che sapeva essere fondamentale per la sua esistenza. Ogni volta che vedeva l’immagine di Marie Goddet, rammentava perfettamente quale fosse la sua vera identità. Ma l’insieme fatale di lettere che componevano il nome dell’attrice, forse egli non lo pronunciò mai. Eppure, quando l’immagine di lei giungeva alla sua coscienza, egli restava inerme, portato in un altrove che però gli pareva essere la sua vera terra.
«Io sono l’uomo che questa donna ha accanto».
Così diceva tra sé, Matthieu Leibvoz, forse anche ora, avvolto dai vapori in cui era immerso, dove l’immagine di lei abitava, fumosa sì, eppure che lo avvolgeva tutto. E quella sua certezza non era poi tanto antica. Ad essere precisi, fu quando vide Marie interpretare una scultrice completamente rapita dal suo lavoro, folle, innamorata di un uomo che in qualche modo temeva, ma che non accettava. Circa quindici anni prima.
«Io ti scolpirò fino a renderti perfetto», così aveva detto la Goddet all’uomo che Matthieu avrebbe voluto essere, a circa metà film, e in quella frase Leibvoz aveva visto tutta l’inesorabilità dello sguardo della Goddet.
Ricordava bene i suoi piccoli seni quando – nelle scene notturne, preda del finto demone creativo – apparivano sotto una maglia leggera come le piume dei canarini, trasudando per la calura estiva. Anche il suo viso gli era apparso come quello di un volatile, e sebbene il suo fosse lo sguardo di un rapace che guarda dritto davanti a sé, Matthieu vi aveva colto anche la tenerezza del pulcino: i tratti minuti, la bocca di un uccellino affamato appena uscito dal guscio… E tutta questa volatile morbidezza lo sconvolgeva.
Sì, egli era l’uomo che Marie aveva accanto. Parlava al presente, come se il tempo fosse un unico momento e loro due fossero legati in un’eternità che negli sprazzi di lucidità egli vedeva con una chiarezza incontrovertibile.
Durante il buio della sua consapevolezza, Matthieu era un uomo normale. Potremmo dire addirittura un uomo qualsiasi; non bello, non particolarmente dotato. Privo di un segno che in qualche modo lo poteva far emergere in un gruppo di altri esseri umani. Un provinciale, ma non come lo era Marie, che della provincia ne aveva fatto ciò che i montanari fanno dei legni che trovano sulla strada: scorticando e levigando il pezzo fino a renderlo tenero, chiaro ed elegante. Leibvoz era rimasto un ramo grezzo al lato del sentiero; forse non così attraente da essere notato e preso.
Non si era mai sposato e nessuno lo ricordava con accanto una donna, e per questo in paese suscitava un certo interesse. Non che attraesse qualcuno; piuttosto era in grado di non far trapelare nulla di sé, e ciò spesso lo trasformava in oggetto di conversazione, un interesse che poteva essere frainteso scambiandolo per un vivo trasporto nei confronti della sua misteriosa personalità. Niente affatto. Vi è un’enorme differenza tra chi si interessa veramente di qualcosa e chi lo fa solo superficialmente. Il primo aumenta il suo interesse tanto più conosce l’oggetto che sta osservando. L’altro s’alimenta di quello tanto meno ne sa. La popolazione di Perriot-sur-Mer apparteneva alla seconda categoria, esperta in quell’arte senza capolavori che chiamano “pettegolezzo”.
Matthieu era diverso. Fino a una certa età aveva svolto più o meno le attività dei suoi coetanei poi, il richiamo della terra, alimentato dalla severità del padre, lo avevano lentamente isolato. Per alcuni doveva avere qualcosa che non andasse… per altri era solo un carattere difficile. Sta di fatto che, a detta di tutti, la sua vita non era certamente degna di nota.
Ma Matthieu Leibvoz non sarebbe stato d’accordo
Caterina Balzani (proprietario verificato)
Chi ha la fortuna di conoscere già Alessandro Sironi sa quanto qualsiasi espressione della sua arte sia in grado di generare profonde esperienze, di toccarci nella parte più intima di noi stessi.
È così con i suoi Piano Mirroring, con i suoi seminari, con le sedute di psico-analogia, con le “Invocazioni”, con le sue colonne sonore, i concerti e i dischi.
Adesso anche con un romanzo, che attraverso una storia esemplare, una sorta di parabola, parla a tutti noi.
Qualcosa di simile a un sogno, una vicenda senza tempo che suscita molte emozioni e suggestioni e che si presta a vari livelli di lettura.
Un romanzo, proprio come la musica, fortemente evocativo, che parla d’amore, ma anche di un percorso di crescita interiore, di una certa visione filosofica e spirituale attraverso splendide immagini in grado di sollecitare i sensi e di suscitare profonde riflessioni, servendosi spesso di simboli e archetipi.
Un romanzo “necessario”, come lo ha già definito giustamente qualcuno.
Una lettura che lascia il segno.
Un’opera che merita di venire definitivamente alla luce e di essere pubblicata.
Grazie Alessandro per condividere tutto questo con noi.
ALIS Iuliana CARABANEANU (proprietario verificato)
Dopo molti giorni dalla lettura di questo “magico” romanzo, il polverio di sentimenti e il melmoso fondale dell’anima, smossi durante la lettura, pian piano si sono risedimentati. Come la neve dentro a quelle palle di vetro natalizie che rammenta Marie… È rimasta una voglia irrefrenabile di tornaci a leggerlo ( ma stavolta sulla carta stampata) quanto prima. Anche per me è stata la prima volta che ho ” divorato” 250 pagine sul piccolo display…Racconto molto curato, scorrevole, un vero e proprio detonatore dell’immaginazione.
Ho rifletutto con calma a cosa potrei aggiungere rispetto ai mirati e acuti commenti dei lettori che ho letto qui.
L’intuizione incandescente del scrittore mi ha acceso fin da subito. Il tema alquanto banale per poter ancora raccontare cose nuove- la relazione d’amore tra due anime forse gemelle o chi lo sa…la relazione con se stessi.
L’autore stravolge l’idea che in amore, la parola scritta limiti, rispetto alla pienezza del parlarsi a voce. La verità è che la scrittura non diminuisce ma concentra. E quando le restrizioni aumentano, i sensi si affinano, e possiamo percepire il mondo intero descritto con particolari raffinatissimi sulle punte delle falangi di Alessandro.
Una lettura che mi ha fatto capire quanto sarebbe utile , all’interno di un rapporto, una corrispondenza occasionale che possa essere libera da noi, dai nostri corpi, dai sottintesi, e da tutto il carico pregiudiziale che attribuiamo alle intenzioni di chi ci sta vicino.
Un libro che sono sicura che lascierà una traccia.
Un libro che consiglio a mia figlia, ai più giovani prima della grande avventura!
Norma Rossi (proprietario verificato)
“Che cosa dobbiamo conoscere, dell’altro, per dire di amarlo?”
Questo interrogativo ci conduce attraverso la storia d’amore fra Matthieu e Marie, ambientata fra Parigi e la campagna del sud della Francia. E’ il 2013, ma lo sappiamo solo perché i protagonisti si scrivono lettere, e nelle lettere c’è l’abitudine di mettere la data. Ma non c’è il tempo, in “Lettere a Marie Goddet”.
Una storia che sorprende, appassiona, stupisce e consola: un libro che si legge d’un fiato, con i paesaggi e le ambientazioni che diventano essi stessi emozioni e sentimenti, con le mazurke di Chopin e l’après midi d’un faune di Debussy, che aleggiano nell’aria.
Delicatezza ed eleganza, questa la sensazione che accompagna la lettura. Eppure, i sentimenti e le passioni sono forti, totali, così come gli spunti di riflessione ed i rimandi a chiavi di lettura che vanno ad aprire nostre porte segrete.
Se fosse possibile, sarebbe un libro da leggere ad occhi chiusi.
Rita Partini (proprietario verificato)
Descrizioni visuali, scene vivide scandite da tempi e ritmi da cinema, piccoli flashback, zoom su dettagli che si alternano a scene di insieme, tradiscono a mio avviso un talento latente dell’autore, già abile compositore di colonne sonore, anche come sceneggiatore, attore o regista.
Il linguaggio semplice che fa uso di un lessico comune per le situazioni concrete, lungo il corso di tutta l’appassionante vicenda dei due protagonisti, viene più volte interrotto da sprazzi di consapevolezza, pensieri filosofici ermetici e poetici allo stesso tempo di rara bellezza, difficili da afferrare come voli di farfalla sulla realtà, scintille di mistero che si affacciano sulla quotidianità per un breve e inatteso momento ma che la cambiano sempre più, inesorabilmente.
Le scene d’amore, descritte con una grazia disarmante, sono di una struggente sensualità, di una sublime poesia, calda e delicata allo stesso tempo. Le parole dipingono immagini che appaiono agli occhi interiori del lettore come il risultato armonico di una sequenza di pennellate essenziali e sapienti, come in un quadro impressionista.
“Lettere a Marie Goddet” è un delizioso romanzo d’amore ma non solo…
E’ una vera e propria cura per l’anima, un’esperienza forte, estremamente coinvolgente e sconvolgente che parla direttamente al cuore di ognuno, che penetra nel profondo piantandovi un seme destinato inevitabilmente a crescere e trasformare. Una storia universale di grande potenza narrativa nella quale, per una qualche strana magia, ciascuno di noi può riconoscere dei frammenti della propria, addirittura con dettagli che sembrano parlare proprio di noi con sorprendente coincidenza.
Davvero un piccolo prezioso capolavoro da non lasciarsi sfuggire!
Graziano Zambarda (proprietario verificato)
Con una scrittura raffinata che ha il pregio d’essere cucita a misura su questo tipo di narrazione collocata in un tempo senza tempo, Sironi si destreggia con efficacia tratteggiando due personaggi potenti – due opposti in cerca di un territorio comune .- che sembrano inviati nel romanzo da un qualche divinità benevole allo scopo di far emergere nell’altro/nell’altra ciò che l’altra/l’altro di sé non conosce: il non conosciuto che è in ciascuno di noi, il rifiutato.
“Lettere a Marie Goddet” è un romanzo “provocazione”. Ha l’evidente missione di scuotere pensieri e sentimenti, suscitare riflessioni, reazioni e confronti. Mette in campo interrogativi.
E’ un romanzo necessario.
Silvana Beccaria (proprietario verificato)
Eccomi, all’inizio un po reticente al fatto di dover leggere su uno schermo, ma poi la voglia di immergermi in un romanzo così particolare è prevalsa. Sono all’inizio e una frase già mi ha fatto sentire una piccola capriola del cuore: difficile dire chi fosse Marie…..per l’impossibilità di accostare il verbo essere al suo nome! 🙂poco dopo la ” lettera” ha rivelato un’intensita’ di stati d’animo descritti meravigliosamente; le parole so gustano come un frutto succulento. Mi piace molto, ciao Alessandro 🙂
Bruna (proprietario verificato)
«Questo è un testo poderoso», così ho detto ad Alessandro; «un testo potente, in grado di comunicare con l’inconscio».
Non nascondo che leggendolo mi sono ritrovata anch’io a piangere a dirotto, così, senza motivo, senza un apparente aggancio con la storia o per l’immedesimazione con i personaggi. Un pianto libero, “un pianto che cura” gli ho detto. Ci sono libri in grado di farlo, di parlare a parti di te, quasi a tua insaputa. Nella mia vita mi è capitato di incontrarne; è la prima volta che accade con un testo narrativo.
Non so se voluto consapevolmente da Alessandro, ma ritengo che non sia un caso che proprio lui sia stato in grado di dar vita ad un simile strumento.
Penso che questo testo abbia piani di interazione molteplici con chi lo legge; non solo comunica ad un livello mentale ed emotivo, ma appunto, riesce a farlo, anche con l’inconscio (che altro non è se non lo strumento con cui l’Anima si manifesta).
In passato mi è capitato di leggere altre bozze di libri e le modalità con cui scrive Alessandro sono sorprendenti. Un fraseggio, una costruzione del periodo raffinata e al contempo semplice, con l’uso di parole che ho definito “detonatori” per l’inconscio.
Il testo è strutturato tenendo conto, in maniera sottile, del coinvolgimento dei due emisferi cerebrali, dosando sapientemente i vari elementi. Una parte narrativa che ci racconta fatti e vicende (emisfero sinistro, logico), una parte evocativa che, attraverso immagini molto vivide, fa da ponte all’emisfero destro (analogico).
E poi l’uso di alcune parole, ripetute anche più volte in immagini differenti, che vanno diritto alla parte inconscia… “detonatori dell’ Anima”.
E li non puoi porre resistenza: qualcosa di cui non sai ti invade come un’onda; ti parla senza proferire parola, e parla in qualche modo di te; non sai né come lo faccia, né il perché.
Poderoso davvero questo libro, di una potenza inconsueta per un testo narrativo, e il pianto liberatorio ne è rivelatore.
Per tutto questo grazie Alessandro; grazie per questa gemma preziosa, strumento formidabile di trasformazione e crescita. Grazie di cuore.
Sabrina De mitri (proprietario verificato)
Una storia intensa,struggente che mette a nudo le fragilità di Marie e Matthieu ,due figure opposte ma complementari.
È un libro straordinario,unico nel suo genere oserei dire indimenticabile nella costruzione dei personaggi.
Quando arriverà fisicamente il libro cercherò di “sorseggiarlo” per assimilare appieno le sue innumerevoli sfumature.
È una lettura che accarezza l’anima, ti attraversa la pelle lasciandoti una miriade di sensazioni .
Mi sono lasciata attraversare dalle parole e “svuotando “ il cervello ho lasciato fluire le emozioni.
Grazie Alessandro!
Sabrina
Barbara Teresa Suarez (proprietario verificato)
INVOCAZIONE
Caro Alessandro,
Nei due giorni in cui ho letto il tuo romanzo non ho voluto fare altro, già dalla presentazione, mi aveva molto incuriosito, per cui avevo necessità di concentrazione. La lettura ha dato un fermo alle mie giornate per inseguire quelle di Matthieu e madame Goddet chi mi hanno trasportato in un mondo antico, pieno di simbolismi, miti e significati dove la follia e la ragione sono inscindibilmente sullo stesso piano, ma che è anche il mondo nostro, perché arcani così non passano mai di moda. Sono archetipi i tuoi personaggi, gli stessi che dai tempi di Platone ci accompagnano fino ad oggi.
Ho passeggiato con loro per una Parigi appena accennata ma piena di fascino e poesia. A tratti mi facevo accompagnare dal pittore, a tratti mi lasciavo andare dalla musica, a tratti il psicologo irrompeva mettendomi davanti allo specchio del IO, della duplicità che abbiamo dentro.
Sei riuscito a raccontare attraverso una storia apparentemente semplice un vissuto universale. Con sapiente mano hai accorpato gli strumenti e fatto l’orchestra o la opera teatrale. C’è tanto teatro nel romanzo, tanta metatestualità, per menzionare soltanto una: Lady Macbeth protagonista “double face” con Marie Goddet. Ma non voglio approfondire nei personaggi, ci sarebbero tanti argomenti da sviluppare. Sono rimasta gratamente sorpresa dal tuo romanzo, sopraffatta d’emozioni intense e piacevolmente colpita.
Oggi vorrei che il tuo libro possa essere pubblicato, che in tanti possano leggerlo, che partecipino a queste nuove formule di pubblicazione e supporto collettivo in modo che tu possa continuare a scrivere.