Lettere dal capanno sul mare

Prima, la perdita improvvisa dei suoi genitori che, poco più che ventenne, l’aveva costretta a cambiare bruscamente la rotta della sua carriera e, sicuramente, anche quella dei suoi sogni; poi, molti anni dopo, il divorzio da suo marito Carlo, il miglior amico di infanzia che forse aveva sposato più per affetto che per amore. E adesso, a cinquantacinque anni suonati, si ritrovava nuovamente davanti a un bivio. In realtà, si trattava di una strada a senso unico, di una direzione obbligatoria che non lasciava spazio ad alternative e che ben presto, precisamente di lì a due settimane, l’avrebbe resa ufficialmente una disoccupata come tante. 

La crisi economica aveva già da tempo cominciato a minare la solidità della sua azienda, un piccolo stabilimento di abbigliamento sportivo, ma lei aveva trovato sempre un modo per cavarsela. Tuttavia, quella dell’ultimo anno, ormai agli sgoccioli, le aveva inferto, così come a tanti altri piccoli imprenditori del Paese, il colpo di grazia: la vendita dell’azienda di famiglia restava ormai l’unica via d’uscita. 

Per quanto non si rassegnasse all’idea di disfarsene dopo tanti anni, era riuscita, suo malgrado e non senza lunghissime trattative e compromessi, a spuntare con gli acquirenti delle buone condizioni che le avrebbero concesso da un lato di cercare con relativa tranquillità una nuova occupazione (se mai, alla sua età, avesse trovato ancora qualcuno disposto a offrirgliene una), dall’altro di salvare molti posti di lavoro. La nuova proprietà, infatti, si era impegnata a riassumere nello stabilimento la maggior parte del personale addetto alla produzione e questo contribuiva a rendere più accettabile la situazione.

Diede un’occhiata veloce al cellulare per sapere che ora fosse e notò una fitta lista di notifiche di messaggi e telefonate perse. Non aveva la voglia né la forza di passarle in rassegna e spense il telefono immergendosi nuovamente nel buio della casa.

Il suo appartamento si trovava all’ultimo piano di un elegante palazzo situato in una zona residenziale della città. Non era grandissimo – stanza da letto, bagno e cucina – ma disponeva di un soggiorno luminoso e spazioso che si affacciava su un ampio terrazzo adibito a giardino pensile, al quale si accedeva attraverso una vetrata scorrevole. Il terrazzo era stata l’unica vera ragione di quell’acquisto e l’aveva convinta a scartare altri immobili sicuramente più ampi e centrali, ma affogati nel grigiore del cemento tipico dei grandi condomini di città. Se ne era innamorata sin dal primo momento in cui l’agente immobiliare glielo aveva mostrato ed era lì che di solito Laura si rifugiava quando trascorreva il tempo libero in casa. 

Da quel terrazzo poteva ammirare le catene montuose che circondavano la città e che spesso, al tramonto, le regalavano scenari fantastici dagli effetti cromatici che solo la natura è in grado di dipingere. Laura si soffermava per ore e ore ad ammirarli e ogni volta ne rimaneva ammaliata come se fosse la prima. Cercava di incastonarli nella fotocamera del suo cellulare, esattamente come si fa con le pietre preziose nei gioielli. Sebbene gli scenari fossero sempre gli stessi, a lei apparivano tutti diversi, ognuno con le proprie storie ed emozioni.

Quasi senza rendersene conto e noncurante del buio e del freddo, si alzò dal divano e si diresse sul terrazzo. Presa dai suoi mille problemi di lavoro constatò solo allora, e non senza rammaricarsene, di aver trascurato completamente le sue piante. La pioggia delle ultime settimane se da un lato era stata provvidenziale ravvivando i sempreverdi che fungevano da recinzione, dall’altro aveva cosparso il pavimento di terriccio, foglie e altri piccoli detriti. 

L’amore per le piante si era manifestato tardivamente, esattamente da quando aveva acquistato quell’appartamento, ma una volta arrivato non aveva conosciuto cedimenti. Quel terrazzo era un guizzo di natura che lei sentiva di aver preso solo in prestito, in affidamento, e proprio per questo prendersene cura era divenuta una necessità più che un impegno. Inizialmente aveva commesso tanti errori dovuti alle sue scarse conoscenze botaniche, sbagliando i terricci, l’esposizione, il travaso e la potatura. Con il passare del tempo, l’esperienza e l’osservazione diretta delle piante avevano reso più efficaci gli accorgimenti, e se talvolta qualche pianta continuava a seccare o non si esprimeva al massimo delle sue potenzialità, Laura finiva per farsene una ragione. Esattamente come per gli uomini, anche per le piante la vita, nonostante tutte le cure e gli accorgimenti possibili, talvolta si interrompe bruscamente, senza preavviso, o più semplicemente prende traiettorie diverse non prevedibili.

Scostò un ramo della siepe e volse lo sguardo al viale sottostante che brulicava di auto e passanti, resi ancora più frenetici dall’imminente week-end prenatalizio. Dalle finestre e dai balconi delle abitazioni circostanti arrivava il bagliore delle lampadine intermittenti degli alberi di Natale. Le era sempre piaciuto quel clima di festa, lo adorava fin da piccola, quando con sua mamma non vedeva l’ora di tirar fuori dagli scatoloni le decorazioni che, dopo un anno di letargo, finalmente riprendevano vita. Gli addobbi, bellissimi e tradizionali, si tramandavano di anno in anno, ma ogni Natale sua madre ne aggiungeva uno nuovo, quasi fosse di buon auspicio per i mesi a seguire.

Un brivido di freddo la distolse dai pensieri e un po’ a malincuore rientrò nel soggiorno, che le sembrò ancora più buio di prima. Accese il lume accanto alla poltrona e con la coda dell’occhio notò gli scatoloni dell’albero che Adele, la signora che le dava un aiuto in casa, aveva preso dal garage. Da quanti giorni erano lì? Non se lo ricordava. Mancava pochissimo al Natale e il suo albero era ancora sigillato in un’ingombrante scatola di cartone. 

Laura scosse leggermente la testa in segno di disapprovazione e si ripromise di pensarci il giorno successivo. Sprofondò nuovamente sul divano, si coprì con la coperta di pile che teneva sempre a portata di mano sul bracciolo e chiuse gli occhi. 

Quando si svegliò stava per albeggiare. Le faceva male il collo per via della posizione scomoda assunta sul divano durante la notte e aveva i piedi freddi come due ghiaccioli. Se c’era una cosa che davvero non sopportava erano proprio i piedi freddi. Le provocavano un senso di fastidio in tutto il corpo, rendendola insofferente. Seduta sul divano incrociò le gambe e cominciò a massaggiarli energicamente con le mani. La stimolazione riattivò rapidamente la circolazione sanguigna, e la sensazione di benessere che ne derivò sembrò dare un senso alla giornata che stava per iniziare. 

Si levò gli abiti che indossava dal giorno prima, fece una doccia caldissima che le ridiede energia e si precipitò in cucina per preparare un’abbondante colazione. Dopo il tramezzino consumato velocemente durante la pausa pranzo del giorno precedente, non aveva più toccato cibo. Mentre sorseggiava il caffè amaro e denso, come piaceva a lei, scostò la tenda dalla finestra della cucina e con stupore notò che il paesaggio circostante era completamente innevato. Per questo aveva avvertito così tanto freddo durante la notte! La neve fresca si era accumulata ovunque, persino sul davanzale, e fuori c’era un silenzio ovattato che solo quando nevica si può percepire. 

Aprì leggermente la finestra e avvertì sul viso il tocco dell’aria fresca e graffiante. Prese con le mani un po’ di neve dal davanzale e la sciolse in bocca, come faceva da bambina. Non sapeva descrivere la sensazione che le procurava quella sabbia cristallina, ma era un gesto a cui proprio non sapeva resistere. Chiuse la finestra e si avviò verso gli scatoloni che Adele aveva lasciato in un angolo del soggiorno.

Addobbò l’albero con la rapidità di chi sa esattamente dove posizionare ogni singola decorazione. Era una sorta di rito che si ripeteva sempre allo stesso modo, ogni anno. La poltrona di vimini era costretta a lasciare temporaneamente il suo angolo per cedere il posto all’albero che, ramo dopo ramo, incastro dopo incastro, prendeva forma e spazio. Poi, era il turno delle luci, che Laura disponeva già accese, sia per testarne preventivamente il funzionamento sia per posizionarle uniformemente tra i rami dell’albero, evitando così che alcune parti risultassero più in ombra di altre. Infine, era la volta degli addobbi. 

Aveva appena finito di appendere l’ultimo pezzo, quando sentì squillare il telefono.

«Laura, ma che fine hai fatto?» Il tono di voce di Cinzia era incerto e oscillava tra il preoccupato e il sollevato. «È da ieri pomeriggio che ti sto chiamando sul cellulare e non mi rispondi. Poco fa ho riprovato e sei addirittura irraggiungibile… per fortuna che ti ostini a mantenere anche il numero fisso!»

Cinzia era una delle sue amiche più intime. Non si conoscevano da tantissimo, ma abbastanza per essersi notate e scelte tra una moltitudine di amici per caso. Abitava al primo piano dello stesso stabile ed era stata la prima persona che Laura aveva incontrato quando si era trasferita nel nuovo appartamento. Attratta dall’inconfondibile chioma di capelli rossi e da due grandi occhi verdi che avrebbero ipnotizzato chiunque, le era parsa subito allegra e ospitale, tanto che aveva accettato volentieri di prendere un caffè a casa sua mentre gli operai ultimavano le operazioni di trasloco. In quella circostanza aveva conosciuto anche suo marito Riccardo e le due figlie, Lucilla e Beatrice, di sette e dieci anni. Da allora avevano iniziato a frequentarsi con regolarità, al punto che le due bimbe, ora adolescenti, consideravano Laura la loro zia preferita. 

«Ciao, Cinzia. Tranquilla! Non mi hanno rapito, non ho fatto nessun incidente, sono ancora viva. Ma quando la smetterai di andare in ansia per tutti e per tutto?»

«Bel ringraziamento per chi si preoccupa per te» ribatté l’amica fingendosi risentita. 

«Hai ragione, scusami, ma ieri sono stata impegnata tutto il giorno in azienda e quando sono rientrata a casa ho spento il cellulare e sono letteralmente crollata sul divano. Stamattina, tra una cosa e l’altra, ho dimenticato di riattivarlo. Tutto qui, fine della storia.»

«Come è andata ieri a lavoro? Avete raggiunto un accordo?»

«Sì, ci siamo accordati sulla vendita. Il tempo necessario per perfezionarla e poi sarò a tutti gli effetti una disoccupata.»

«Bene! Allora dobbiamo festeggiare!»

«Cosa? La mia disoccupazione?!»

«No, l’inizio della tua nuova vita. All’una scendi, oggi sei a pranzo da noi.»

«Ma no, ho mille cose da…»

Non aveva fatto in tempo neanche a finire la frase che Cinzia aveva già riattaccato. Faceva sempre così quando non ammetteva rifiuti. Del resto, era difficile dirle di no. Cucinava divinamente ed era un’ottima padrona di casa. Attenta ai particolari, sapeva creare sempre l’atmosfera giusta, in ogni occasione. E poi la sua allegria contagiosa si rivelava sempre un efficace antidoto contro qualunque tristezza. 

Laura, pur non accettando di buon grado il fatto che qualcuno decidesse di disporre del suo tempo senza consultarla preventivamente, si convinse che passare il resto della giornata con Cinzia e la sua famiglia sarebbe stata la cosa migliore da fare dopo una settimana lavorativa estenuante. Anzi, l’idea di non doversi più preoccupare del pranzo e delle relative incombenze domestiche la mise addirittura di buon umore. 

Ripensando alla conversazione telefonica avuta con l’amica, si ricordò improvvisamente del cellulare e dei numerosi messaggi non letti che attendevano probabilmente una sua risposta. Lo cercò nervosamente in borsa, senza trovarlo; poi si ricordò di averlo spento e lasciato sul divano dove si era addormentata la sera prima. Rovistò tra i cuscini e la coperta di pile e finalmente lo recuperò tra le pieghe del divano. Lo riattivò e iniziò a visualizzare i vari messaggi e la lista delle chiamate perse. Notò che Adele aveva provato a chiamarla due volte il pomeriggio precedente e che in serata le aveva mandato anche un SMS.

Ciao Laura, ho provato a chiamarti ma non rispondi. Oggi, mentre ero a casa tua, il postino mi ha consegnato una lettera raccomandata. L’ho ritirata io per te. La troverai sul tavolo, in soggiorno. Ci vediamo lunedì, buon we.

Laura si girò di scatto e con gli occhi ancora puntati sul display dello smartphone si diresse come un automa verso il tavolo in cerca della lettera. Non l’aveva notata prima perché Adele aveva fissato la busta sotto il vaso di cristallo posto al centro del tavolo, probabilmente per evitare che cadesse accidentalmente e andasse persa. Era sempre stata una persona attenta e scrupolosa, anche troppo, ed evidentemente conosceva bene la sbadataggine della padrona di casa.

Nel prenderla in mano, Laura avvertì una strana sensazione.

La raccomandata proveniva dallo studio notarile Moretti, nome che le risultava molto familiare, ma non certo per via dell’attività professionale dello stesso, quanto per la nota marca di birra italiana. Esitò qualche istante prima di aprirla, chiedendosi cosa mai volesse da lei un notaio; ipotizzò persino che il postino avesse sbagliato destinatario, dal momento che allo stesso indirizzo, ma a un numero civico differente, risiedeva una famiglia di cui spesso si era vista recapitare la corrispondenza, per via del cognome che differiva dal suo solo per l’ultima vocale. Ma il nome, il cognome e l’indirizzo riportati sulla busta corrispondevano esattamente ai suoi: Laura Durante. Non le restava che aprirla.

Il breve contenuto della raccomandata era stato curiosamente scritto a mano con una biro blu. I caratteri grandi e lineari le ricordavano una grafia di altri tempi e per questo immaginò che a scriverlo fosse stata una persona piuttosto in là con gli anni. Nel messaggio la si invitava a contattare lo studio notarile per discutere una questione personale e riservata. Seguiva una data con firma: Andrea Moretti.

Laura rimase per un po’ frastornata da quella missiva strana quanto inaspettata. D’impulso afferrò il telefono e digitò il numero dello studio notarile riportato a margine della carta intestata, ma già dopo il primo squillo sentì la voce metallica di un risponditore automatico che avvisava gli utenti sui giorni e sugli orari di apertura dello studio. Il sabato non era tra quelli. Suo malgrado, avrebbe dovuto attendere il lunedì successivo.

Passò il resto della mattinata a fare mille congetture, senza però arrivare a nessuna conclusione plausibile. I suoi genitori erano morti ormai da molti anni e poteva escludere con assoluta certezza che la cosa fosse in qualche modo riconducibile a loro. Né poteva avere a che fare con l’azienda di famiglia, la cui vendita era stata formalizzata il giorno prima con gli acquirenti. Passò in rassegna i pochi parenti diretti che aveva e la possibilità che potesse trattarsi di un lascito testamentario da parte di qualcuno di loro, ma non le venne in mente nessuna ipotesi ragionevole. 

Suo padre, che aveva ereditato l’azienda da suo nonno, era figlio unico e la sua unica zia, sorella della madre, era ancora viva e vegeta e si trovava ormai da molti anni all’estero con il marito e i tre figli. D’estate, o quando il lavoro glielo consentiva, Laura andava spesso a trovarli e, considerati gli ottimi rapporti con quelli che erano i suoi unici parenti diretti, non riteneva possibile che le informazioni riservate cui si faceva cenno nella lettera riguardassero qualcuno di loro. Niente da fare, per sapere qualcosa di più avrebbe dovuto attendere l’inizio della nuova settimana. La curiosità non le diede un attimo di tregua durante tutto il week-end.