L’eccesso di sensibilità può risultare un incentivo per lo sviluppo di pensieri fuori dal comune, vedi predisposizioni artistiche, intuizioni relazionali, capacità d’ascolto, ricerca spirituale, al contempo può essere fonte di sofferenza, delusione e paura, dovuti dal fatto di avvertire sfumature che altri non notano, di essere immerso in un flusso di ricordi e confronti col presente, ipotizzando un futuro prossimo.
Nasce la mia ricerca (anche se inconsapevolmente) in adolescenza, con l’iscrizione in una palestra di Aikido. Avevo dodici anni credo, e ricordo che chiesi a mio padre di portarmi a praticare arti marziali, poiché da sempre affascinato dai Ninja con le loro spade e il loro misterioso potere esoterico. Crescendo sono passato al Karate, poiché in televisione spopolavano film come “Karate Kid”, “il ragazzo dal kimono d’oro” ecc.
In realtà a farmi innamorare del Karate è stato Chuck Norris, sette volte campione mondiale di Karate, allievo e amico di Bruce Lee oltre che attore e regista, che con le sue interpretazioni da action man, mi ha stimolato ad iscrivermi nella palestra in via Medaglie d’Oro, lo Shindokai.
La svolta nella mia vita: il Maestro Dicic Denis, uomo saldo, filosofico e forte. Con lui ho acquisito informazioni utili sulla vita reale, quella in cui la dedizione, la resistenza, la ricerca, il sacrificio e l’adattamento (preferisco il termine evoluzione), segnano il cammino di tutti.
Il Karate l’ho praticato dal 1990 al 1995, interrompendo lo studio con l’abbandono del maestro rivoltosi a percorsi differenti, attinenti alla filosofia induista con lo Yoga. Così a vent’anni ho cambiato sport completamente iscrivendomi in una palestra di body building. Dal 1995 al 2005 ho praticato body building in maniera non agonistica, con cui ho forgiato il fisico che risentiva di sostanza per via della mia magrezza e pronunciata altezza. Dal 2005, stanco ormai degli allenamenti di pesistica e smarrito spiritualmente, riapprodai all’Aikido frequentato da bambino, e per ben undici anni (2005-2016) l’ho praticato assiduamente conseguendo il grado di cintura nera secondo Dan, riconosciuto dall’Aikikai d’Italia e l’Hombu Dojo di Tokyo.
Il mio maestro Francesco Benso, che oltre ad essere un VI Dan di Aikido, è docente di neuroscienze cognitive e psicologia dell’attenzione presso l’università degli studi di Genova, durante le lezioni asseriva spesso che la pratica di questa disciplina, è un “Veicolo” con cui muovere il corpo per trovare la spiritualità, e per me è stato proprio così.
Ormai grande, dal 2016 ad oggi, ho studiato tantissimo rifacendomi degli anni scolastici che non hanno brillato di grosse soddisfazioni. Ora sono Istruttore Fitness e Body building certificato dagli enti di promozione sportiva Csen, Csain e Asi; sono Personal Trainer, ho approfondito temi come il Coaching attraverso master impegnativi per consolidare tematiche come il “Coaching Sociale per la Motivazione e i Processi di Cambio”, il “Coaching Nutrizionale”, “Educazione Emotiva”, e Disturbi del comportamento Infantile”; ho studiato ancora il mondo della psicologia con approfondimenti attraverso due master di “Psicologia Infantile e Adolescenziale” e “Coaching e Intelligenza Emotiva Infantile e Adolescenziale”, poi “Mindfulness Psicologia Positiva e Gestione Emotiva”, per poi in fine conseguire il titolo di “Istruttore Mindfulness protocollo MBSR” .
Questo è un manuale d’istruzioni per cominciare a considerare un cambiamento, rivolto a chiunque non avesse chiaro cosa voglia cambiare e perché, ma con il bisogno di trovare una via di crescita personale. Non si parlerà di religione ma di filosofia spirituale; si spiegherà come arrivare ad un miglioramento personale, attraverso pratiche introspettive derivate dalle millenarie conoscenze buddhiste, che sono approdate poi alla scienza della psicologia, di cui oggi ne fa tesoro e oggetto di studi clinici. Cercheremo di capire i nostri pensieri, cercheremo di arrivare là dove non siamo mai arrivati: l’origine del nostro modo d’essere. Cercheremo di scoprire il perché si parta in quarta nell’affrontare gli imprevisti della vita, acquisiremo controllo dei nostri istinti che spesso sono determinati da abitudini instillate fin dall’infanzia dai nostri genitori e dall’ambiente extra familiare. Siamo il risultato di esperienze che si sono radicate agli esordi della coscienza, e che hanno lasciato impresso nel nostro centro comandi, il cervello, input latenti che si riattivano ogni qual volta si presentino situazioni analoghe a quelle vissute, facendoci reagire in maniera automatica e tal volta non congrua.
La prima parte del libro è più teorica ma molto interessante, che riguarderà l’evoluzione del nostro cervello con i suoi sistemi interni, da quelli primitivi fino a quelli odierni. Questa sarà alternata con racconti romanzati che riprendono il tema trattato scientificamente nel capitolo precedente, e spiegati ed analizzati successivamente.
La seconda parte è più pratica, dove si vede suggerire un metodo, la Mindful-Way, attraverso cui mettere in pratica il riconoscimento delle proprie emozioni, dei propri stati d’animo e del momento presente, il perno di tutto quanto.
CAP. I – IN CHE MOMENTO STIAMO VIVENDO?
Siamo in un momento storico molto particolare.
Stiamo assistendo ad una trasformazione dei valori sociali del buon coesistere, la confusione e lo smarrimento, fanno piombare in uno stato di inedia di spirito sia i grandi che di conseguenza i piccoli.
Ci accorgiamo di quanto la frenesia e la cecità morale facciano oggi da padrone nell’interazione sociale, di quanto il “rumore” nella testa di tutti, limiti la visuale e crei incomprensioni o paure infondate.
Pochi sono in grado di mantenere il focus su ciò che stanno vivendo, senza essere sopraffatti dai turbamenti del passato o le preoccupazioni di un futuro ipotetico, e pochi sanno attuare una autovalutazione dei propri stati interiori, cercando di capire cosa stiano provando nelle varie esperienze di vita, controllando l’impulsività e le emozioni.
Come dice il filosofo e psicanalista Umberto Galimberti, stiamo vivendo una realtà in cui il Tempo è costituito di minuti ed ore di non qualità. Siamo intrappolati nel vortice del “dover fare”, “dover arrivare” e del “dover essere”, senza avere uno scopo preciso se non quello di rispettare orari, tempistiche e partecipare al potenziamento di indotti automatizzati, in cui l’uomo è visto come un ipotetico “errore” da cui difendere la meccanicità tecnologica.
In questa maniera non c’è più la ricerca di un progresso personale, ma c’è uno stare al gioco del fare. Persino il tempo libero è diventato un incatenamento al ritmo della modernità, con il dramma delle autostrade, dei treni, degli aerei con cui cerchiamo di ritagliarci spazio personale e cercare ristoro prima di riprendere come automi la propria routine settimanale.
Ci si interroga sempre meno sul “senso della vita”.
È una domanda fondamentale invece, perché tutte queste superficiali ambizioni distraggono sull’importantissimo cercare il senso di ciò che si vive momento per momento, facendo perdere di vista che siamo esseri unici e con potenzialità da sviluppare.
Le potenzialità che più risentono di questa crisi di ricerca sono quelle proprie dell’uomo, ovvero la reciprocità, l’empatia, la condivisione, l’amore; e quelle di cui si fa sempre meno uso come la resilienza, sacrificio e perseveranza, sono sottovalutate e poco esercitate.
Dove non ci sono appigli ne stimoli, dove il senso viene a mancare, può aver origine l’angoscia o l’inquietudine. Sono due stati psichici devastanti caratterizzati da profondi turbamenti e dubbi spesso irrazionali, che generano stati d’ansia profondi e paure senza nome, cioè un malessere senza evidenti connotazioni.
Si stima che il 50% della popolazione occidentale, faccia uso di farmaci per alleviare questa realtà informe, o in alternativa cerchi ogni qual tipo di distrazione per colmare quell’oblio di sé, quel vuoto che prosciuga.
Sempre per Galimberti, il tempo interiore, quello dell’anima che pensa, che sente, che riflette, che soffre, che ama senza limiti di tempo, è stato soppiantato dal tempo esteriore, cioè quello del fare che è costituito dall’assenza di qualità a cui si faceva riferimento prima.
Vedo cinquantenni/quarantenni comportarsi come adolescenti, vedo adolescenti comportarsi come adulti, vedo ragazzini di dieci-dodici anni auto-amministrarsi a casa, vedo bambini fin dai primi anni di vita, annegati nelle vorticose vicende di separazione tra i genitori, (sempre più frequenti), vedo trentenni ancora in casa coi genitori ottenebrati dall’apatia, vedo ventenni alla disperata ricerca di un’identità e occupazione, e vedo una preoccupante inaffidabilità degli enti d’istruzione e tutela.
Non male vero?
Poi ci chiediamo come mai spopolino gli influencer, ci chiediamo come mai un video su YouTube di cretini che fanno cretinate abbia milioni di visualizzazioni, ci chiediamo come mai bambine si copino l’una con l’altra, nel mostrarsi sempre più maliziosamente provocanti in “balletti” imbarazzanti su Instagram o Tik Tok; è avvilente notare queste cose.
La connessione internet ora è fruibile ovunque e senza grosse limitazioni a bassi costi, chiunque può pubblicare contenuti e chiunque può accedervi. Non si dà più valore alla pazienza, l’attesa è un qualcosa di controproducente e che crea stress. Guardiamo le code in posta ad esempio, cerchiamo di vedere le reazioni delle persone, sempre meno disposte a rallentare e sempre più guardinghe su cosa possa in qualche maniera volgere contro di loro.
Letteralmente, la pazienza è:
“la facoltà umana di rimandare la propria reazione alle avversità, mantenendo nei confronti dello stimolo un atteggiamento neutro. È la necessaria calma, costanza, assiduità, applicazione senza sosta nel fare un’opera o una qualsiasi impresa”.
Si capisce, che con la velocità che ci circonda, quello che avete appena letto risulti fantascienza.
La Pazienza fa parte di quelle qualità allenabili, che costituiscono una personalità forte, risoluta e saggia. Perché questa possa essere esercitata nel quotidiano, si deve tener presente la regola del “rallentare, pensare e agire” propria della psicologia positiva.
A tal proposito faccio questo esempio:
immaginiamo una qualsiasi scena del vissuto quotidiano, magari una che ci stimoli qualche emozione un po’ più rilevante, e immaginiamoci come spettatori nel vedere questa scena, in questa modalità sarà possibile ragionare su ciò che visto con un’altra prospettiva, e con un certo distacco ipotizzare un’azione ponderata conseguente lo stimolo.
Vi giuro che è possibile; ci sono tecniche che possono aiutare ad “allenare” questa qualità. Non è semplice, tutt’altro, soprattutto se si parla di qualcosa che ci ha urtato e ci ha toccato nell’orgoglio. Però è possibile.
Ci sarà sicuramente stata qualche occasione in cui avete titubato, in cui avete detto: “mollo, tanto non ci riesco”, eppure occasione superata poi con capacità inaspettate. Ecco, lì avete sperimentato l’importanza della pazienza, del saper attendere e della concentrazione.
Molto spesso utilizziamo distorsioni cognitive nel rispondere agli eventi della vita, ovvero con una visione della realtà secondo i nostri schemi mentali, spesso distorta e fuorviante con cui approcciamo alle esperienze a modo nostro. Se non si è in grado di mettere in discussione ciò che ci salta in mente, soprattutto nei momenti in cui percepiamo d’essere soggetti a qualche torto, probabilmente si ragionerà a senso unico senza lasciar spazio a “rallenta, ragiona, agisci”.
Il più delle volte si potrebbe trovare una soluzione meno ostica e più edificante, però veniamo sopraffatti da un’area antica del nostro cervello chiamata amigdala appartenente al sistema limbico, che s’insinua a gamba tesa nell’elaborare emozionalmente l’esperienza dando fuoco alle polveri.
Il momento in cui si sta vivendo è complesso è vero, ma è necessario imparare a richiedere un time-out a sé stessi qualche volta.
Avendo tolto qualità sulle domande che ci si pone nel profondo, abbiamo di nuovo lasciato che l’impulsività delle emozioni abbiano preso il sopravvento.
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