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L’inchiostro e la filigrana

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La campagna di crowdfunding è terminata, ma puoi continuare a pre-ordinare il libro per riceverlo prima che arrivi in libreria

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Consegna prevista Luglio 2025

Anna Perin è una delle più importanti e meno conosciute imprenditrici vicentine. Vissuta nella seconda metà del 1500, alla morte del marito Perin Libraio rilevò la stamperia da lui avviata qualche anno prima e la sviluppò fino a farla diventare una delle più attive e apprezzate della città. Di Anna sappiamo pochissimo, ma i rari e preziosi documenti che ci parlano di lei fanno intuire una personalità forte e decisa. L’editrice non solo continuò l’attività del marito, ma aprì anche una fornita e ben frequentata biblioteca e rilevò una cartiera fuori città, investimento che comportò un esborso notevole di denaro, che probabilmente Anna ricavò dalle stampe prodotte per le nuove sette religiose sostenitrici delle ormai ben diffuse idee luterane e calviniste. Unica donna ad operare nell’editoria in quegli anni, Anna lottò contro i pregiudizi del tempo e gli incalzanti tentativi degli stampatori concorrenti, difendendo fino alla fine l’ambizioso spazio ottenuto dal marito.

Perché ho scritto questo libro?

Semplice. Anna Perin è venuta a cercarmi. Tutto è accaduto tempo fa mentre sfogliavo libri al mercatino invernale nella piazza della mia città. Molti erano i volumi accatastati sulle bancarelle… All’improvviso una copertina color turchese attirò la mia attenzione. La pubblicazione era di dimensioni ridotte, ma pareva emergere con forza tra un mucchio di libri ben più grossi. Parlava di stampa. Acquistai il libro, lo lessi d’un fiato e pensai che qualcuno avrebbe dovuto raccontare quella storia.

ANTEPRIMA NON EDITATA

DEBORAH MARRA

L’INCHIOSTRO E LA FILIGRANA

PROLOGO

Tra le più grandi scoperte dell’uomo si può senza alcun dubbio annoverare la nobile arte della stampa.

Fino al XV secolo scrivere era un privilegio di pochi dotti, monaci e studiosi, che nell’intimità delle proprie stanze passavano le ore, i giorni, i mesi e talvolta gli anni, a trascrivere su fogli di pergamena, di papiro, e qualche volta di carta, storie evangeliche, poemi epici, liturgie e salteri, leggi e norme di diritto, trattati filosofici, erbari e molto altro.

Quei codici rappresentavano dei veri e propri capolavori di cui ancora oggi ammiriamo la bella grafia e gli stupendi capolettera miniati, meravigliosi esempi di raffinatezza e di abilità. Ma quel tipo di prodotto non era alla portata di tutti.

Così quando Gutenberg creò la stampa a caratteri mobili, il testo scritto, che prima veniva prodotto in un unico esemplare, divenne un mezzo di comunicazione che mise in relazione popoli, culture, modi di pensare, tradizioni, usanze, religioni, che accorciò le distanze facendo arrivare più velocemente innovazioni, scoperte e teorie e che mise in moto la fantasia di prolifici autori e il collezionismo di curiosi e appassionati lettori.

Fu una vera rivoluzione. Partendo da Mainz e da Magonza, in ogni parte d’Europa si cominciò a produrre libri, a Roma, a Bologna, a Fabriano, a Venezia, a Lione, a Parigi, a Londra, a Francoforte, ad Anversa… La diffusione del sapere attraverso le università costrinse gli stampatori a raffinare sempre di più le pubblicazioni e l’accessibilità ai testi spinse la gente ad interessarsi alla lettura e ad apprenderla.

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Dalla seconda metà del XV secolo ogni città, anche la più remota, ebbe la sua stamperia e la produzione di libri e di volumi crebbe a tal punto da far aumentare la richiesta di fogli, ottenuti dalla meno dispendiosa “carta”, che sostituirono la costosa pergamena.

Dismessi setifici e vecchi mulini, dove si macinavano le farine, si trasformarono in cartiere e la concorrenza per accaparrarsi i mercati migliori diede origine a una circolazione di mezzi e di uomini che, attraverso le principali rotte commerciali, intensificarono ancora di più la diffusione di nuove dottrine e nuove religioni.

Un poco alla volta il libro stampato cominciò ad essere un oggetto sempre più maneggevole, facilmente fruibile ed economicamente più abbordabile del codice miniato.

Nascevano così gli enchiridia, i libri di piccole dimensioni.

Ogni stampatore, e ogni cartaio, fece della propria arte un emblema: nacquero filigrane che differenziavano un produttore di carta dall’altro, formati tascabili con le pagine numerate, indici per risalire velocemente ai contenuti dei testi, marche tipografiche accompagnate da motti che in breve tempo divennero veri e propri marchi di fabbrica e di qualità, carte marmorizzate, rilegature “parlanti”.

A Fabriano, i maestri cartai avviarono la pila a magli, modificarono la struttura della forma da immergere nel tino e abbandonarono l’uso di sostanze amidacee in favore della collatura dei fogli eseguita con gelatina animale.

A Venezia l’indiscusso re degli stampatori, Aldo Pio Manuzio, creò la professione dell’editore che stampa quello che vuole, il carattere corsivo a imitazione di quello usato dagli amanuensi nel codice miniato, il formato tipografico ridotto e la moderna punteggiatura.

Anche nella ridente cittadina di *, tra i Colli * e l’altopiano di *, ambiziosi ed esperti artigiani si confrontarono e si contesero, più o meno lealmente, il primato del nuovo, affascinante mestiere. Fu un mondo principalmente di protagonisti maschili: Tolomeo Gianicolo, Giorgio Angelieri, Tomaso Brunelli, Agostino della Noce, Giorgio Greco e Perin Zanini, lungo tutto il XVI secolo, risollevarono le incerte sorti della stampa locale e fecero di * un centro di produzione e smistamento tra i più vivaci ed apprezzati.

Ci fu solo una donna che seppe tenere testa a questi maestri stampatori e che, alla prematura morte del marito, divenne la prima imprenditrice del settore, segnando la storia dell’editoria vicentina.

Il suo nome era Anna Perin.

PARTE PRIMA

I

Novembre 1587

Aveva piovuto fino a qualche istante prima e ora si era alzato un vento gelido che spazzava via le ultime nuvole. I piedi in corsa annaspavano lungo la strada coperta di fango. L’aria fredda le sferzava il viso e si confondeva con il respiro affannato che accompagnava l’incedere rapido e alternato delle gambe. L’orlo della gonna era ormai completamente bagnato, ma Anna lo teneva sollevato non per paura di sporcarsi quanto piuttosto per timore di inciampare.

«Donna Anna! Aspettate! Non correte! Rischiamo di farci male!»

Martino da Nanto, il torcoliere, cercava di raggiungere la sua padrona, ma Anna procedeva senza sosta. E senza parlare.

Martino non era abituato a correre. Era di buon appetito e gli piaceva bere, così gli era cresciuta una pancia tonda e ingombrante che talvolta gli si interponeva tra le mani e il timone del torchio, impedendogli di muoverlo con la dovuta rapidità. I colleghi di lavoro lo canzonavano dicendogli: «Un giorno in quella macchina ti finisce dentro pure la pancia!», «Che ne dici di una bell’inchiostratura sulla pancia?» e ridevano di lui.

Si erano fermati a lavorare in due quella notte in stamperia con il libraio. E piuttosto che rimanere solo con quello che aveva tutto l’aspetto di essere ormai cadavere, Martino aveva preferito sfidare il suo peso e incamminarsi di buon passo verso la casa del padrone per avvisare la moglie.

Anna gli aveva aperto subito. Aveva l’aspetto di chi era rimasta sveglia tutta la notte, gli occhi gonfi per la fatica ma sempre sul volto lo sguardo fiero e determinato.

Martino aveva notato sul tavolo scuro nella piccola cucina una decina di pagine sparse e alcune xilografie, tutte in bianco e nero. La moglie di Perin il Libraio era di fibra forte, capace di passare notti intere a studiare e correggere bozze per la stampa, a mettere insieme fogli scritti e tavole illustrate, a creare indici ed elenchi per rendere più semplice la lettura. Dietro all’assiduo e scrupoloso lavoro del Perin c’era la silenziosa presenza della moglie. In città lo sapevano tutti.

Anna lo aveva guardato, le era bastato un attimo. E non c’era stato alcun bisogno di spiegazioni. Perché mai era capitato che uno dei garzoni del marito si fosse presentato al loro portone nel cuore della notte. Aveva cercato di non fare rumore, ma il cigolio della pesante porta di legno e l’aria gelida entrata di colpo nella piccola abitazione avevano destato dal sonno la figlia maggiore Vittoria che, in piedi sull’uscio della camera da letto, pallida in volto, osservava Anna che stava afferrando rapidamente il mantello scuro abbandonato su una sedia. 

«Madre, che succede?». Con le braccia incrociate intorno alla vita e tremando più per la preoccupazione che per il freddo, la ragazza aveva fatto un paio di passi in avanti ma, come se avvertisse l’ineluttabile gravità del momento, non aveva avuto né la forza né il coraggio di proseguire oltre.

Anna si era voltata verso di lei e con un’espressione dolce che avrebbe voluto essere rassicurante, le aveva detto: «Sta’ attenta ai tuoi fratelli. Devo andare in stamperia.»

Una volta varcato il cancello del piccolo brolo davanti casa, Anna aveva iniziato a correre, inseguita da Martino. Vittoria aveva chiuso la porta lasciata aperta nella foga della partenza e, assicuratasi che nella stanza sul retro le sorelle Candidora e Innocenza e il fratello Giampietro stessero ancora dormendo, si era messa seduta accanto al focolare, alimentato da una debole fiamma e, unite le mani al petto, aveva cominciato a pregare silenziosamente.

La casa dei Perin non era distante dalla stamperia posta nell’angolo della Piazza Maggiore sotto le logge del Palazzo del Governo. Eppure quel tratto, percorribile in circa quindici minuti di passeggiata, pareva ora interminabile.

Lasciata la via principale, Anna svoltò veloce nella Contrada degli Zudei e in pochi secondi salì il gradino del palazzo per entrare nella stamperia. Non si era fatta ancora l’alba e dai grandi finestroni aperti sulle logge si vedeva appena il riflesso della luna, pallida e malinconica.

Delle lampade ad olio tenute accese quando si lavorava anche a notte fonda, un paio erano già spente e solo quelle sopra il tavolo accanto alla cassa di composizione illuminavano appena la stanza. Anna si fermò ed esitò per qualche secondo. Attese che gli occhi si abituassero a quella strana sommessa atmosfera, poi con passo lento ma deciso si fece avanti nella sala, verso i torchi.

Giovanni Manardi detto Giovannino, il più giovane apprendista del gruppo, stava chino sul corpo immobile del marito. Si voltò a guardarla. Forse pensando di poterlo trovare ancora vivo, Anna si era imposta una corsa disperata e folle, ma ora piena di fango fino alle caviglie e con la fronte imperlata di sudore e il fiato grosso, stava in piedi sgomenta e impotente.

Ricambiò lo sguardo pietoso di Giovannino poi, accennando una smorfia di dolore, gli si fece vicino e piegandosi sulle ginocchia si prostrò sul corpo del marito. Gli vide una macchia di inchiostro sulla guancia sinistra, gli occhi erano già stati chiusi e, a parte quel gesto di compassione, nulla nel suo aspetto era stato alterato. Nel grembiule scuro di cuoio ancora allacciato sul retro, Pierino, come era chiamato in famiglia, aveva ancora il punzone con le sue iniziali, pronte all’uso, perché per lui la firma di chi produceva il libro valeva più di ogni altra cosa.

Anna gli accarezzò il viso con dolcezza e chinò la testa, sperando di poter cogliere un alito dalle labbra del marito. «Forse è solo svenuto», ma fu un pensiero fulmineo, che se ne andò subito così com’era venuto.

«È stato un attimo. Lo abbiamo visto cadere a terra. Non c’è stato nulla da fare», chiarì Martino, appena giunto nell’ampia stanza ansimando per lo sforzo. Aveva parlato in fretta, nel tentativo di scrollare di dosso da sé e dal compagno di lavoro ogni responsabilità, ma Anna non diede alcun peso a quelle parole. Sapeva che Pierino era ammalato, glielo aveva detto tante volte di non strafare e di pensare a lei e ai bambini a casa. Ma il marito non le aveva mai dato retta, ostinato a onorare ogni contratto che riusciva a farsi assegnare.

«E ora, che ti è valso questo sacrificio?» Anna avrebbe voluto pronunciare quell’amara considerazione ad alta voce, ma si trattenne. Si girò verso Martino e fu solo capace di dire: «Chiamate comunque il medico.»

Martino abbassò la testa e uscì di nuovo, svogliatamente, nel buio che da lì a poco avrebbe lasciato il posto alla luce di un nuovo giorno. Non c’era anima viva per strada, non sapeva neppure che ore si fossero fatte, ma si incamminò in direzione opposta rispetto alla piazza, verso il fiume, questa volta senza precipitarsi come quando era andato a chiamare Anna. «A me sempre i compiti ingrati!», borbottava l’uomo a capo chino. «Quanto avrei voluto passare la notte alla taverna di Elisa… e invece…eccomi qua con il morto!» Poi, imitando con tono acido e alterato la voce di Anna, continuò: «Chiamate comunque il medico, ha pure avuto il coraggio di dirmi! Ma quale medico e medico! Tanto ormai non c’è niente da fare», mormorò a denti stretti. «Ben gli sta! Sempre su quei torchi a stampare! E noi sempre costretti a lavorare!» protestò con tono più sostenuto schiacciandosi il cappello di lana sulla testa. Quindi si guardò nuovamente intorno, timoroso che chissà qualcuno apparisse all’improvviso e catturasse nel silenzio immobile del passaggio tra la notte e il giorno quelle parole pronunciate senza alcun coinvolgimento emotivo.

Certo di essere solo, attraversò il ponte sul fiume *, che sotto i raggi della luna pareva uno specchio, e si trovò davanti alla porta della casa di Messer Giulio de’ Bonifaci, il medico della città.

Bussò. I colpi sul legno massiccio risuonarono facendo vibrare l’aria. Nessuno si affacciò. Attese qualche minuto e ribussò un po’ più forte. Questa volta una fioca luce illuminò la finestra verso la strada e piano il portone si aprì.

«Sono Martino di Pierino il Libraio.»

Un uomo dallo sguardo assonnato e segnato dalla fatica sollevò la lampada ad olio per illuminargli il viso. «Che vuoi a quest’ora?»

«Venite, venite in stamperia. Il mio padrone stava tirando dei fogli e all’improvviso è caduto a terra come un pero. Non respira più.»

Il medico esitò, rimanendo in silenzio per un po’. Tenendo ben salda la lampada con la destra, squadrò un’altra volta il giovane che pareva tremare di freddo nella giacca che gli tirava sulla pancia arrotondata, quindi con aria sbrigativa e un gesto rapido della mano sinistra lo liquidò: «È sotto le logge, no?»

«Sì, signore. Proprio sotto là.»

«Va’ intanto. Io mi vesto e arrivo.»

Quando Giulio de’ Bonifaci raggiunse la stamperia, la prima, tenue luce dell’alba stava cominciando a rischiarare il cielo. Era forse passata poco più di mezz’ora da quando Martino gli aveva bussato alla porta, si era rivestito e si era incamminato a passo sostenuto ma non di corsa, perché in qualche modo era consapevole che non ci fosse alcuna urgenza. Quella di Pierino era una morte annunciata. Glielo diceva spesso di avere cura del suo cuore, ma l’uomo rideva di gusto, quasi in segno di sfida, e ribatteva ricordandogli sempre la propria missione: «Ho fatto fuoco e fiamme per ottenere questo spazio per la mia officina! Non vorrete mica che lo perda proprio ora che sto facendo di questa città la capitale della stampa!»

Se non fosse stato per Anna, sempre pronta a sollevarlo dagli impegni più gravosi, forse avrebbe lasciato questa vita anche prima. Questi i pensieri che attraversavano la mente del medico quando varcò l’uscio della stamperia. La vide già da lontano. Anna stava china sul marito: le spalle morbide coperte dal mantello di lana verde scuro, i capelli biondi raccolti a treccia sulla testa, un ciuffo della folta chioma che le incorniciava la guancia passando sopra l’orecchio destro, la pelle candida e fresca che anche nella penombra della stanza riluceva perlacea… Era una donna magnifica, una delle donne più belle della città. Anna era di costituzione minuta ma ben proporzionata, elegante e solenne nella sua austera semplicità, riservata e silenziosa e, a differenza del marito, dava poca confidenza e difficilmente si faceva vedere per strada da sola se non quando era diretta al mercato o in stamperia.

Giulio mise una mano sulla spalla di Anna che girò appena il viso, tenendo gli occhi azzurri bassi. Non vide segni di pianto sulle sue guance.

«Voglio solo avere conferma che il cuore…» e qui le tremò appena la voce.

Accovacciandosi accanto a lei, Giulio si dispose a verificare lo stato di Pierino.

L’apertura di quella stamperia aveva suscitato molte invidie e in città non erano pochi quelli che speravano in un fallimento o che sognavano di riscontrare nell’attività del Perin, come era stato ribattezzato abbreviandone il nome, qualcosa di poco lecito che lo portasse alla chiusura.

In sei anni di attività non c’era stato nessun sentore di fallimento, anzi il Perin era stato irreprensibile. Dedito alla buona e onesta stampa, si era fatto ben conoscere. Dalla sua *, da cui era partito carico di speranze, la fama e l’originalità delle sue pubblicazioni si erano diffuse fin oltre i confini della Serenissima e il marchio di fabbrica con cui punzonava il frontespizio di ogni suo libro era ormai considerato garanzia di qualità. Caparbio e sicuro di sé, sceglieva i testi da stampare con cura e lungimiranza, determinato a migliorare le nuove tecniche del Nord che in poco più di cento anni avevano soppiantato l’esclusiva e gelosa produzione libraia all’interno dei monasteri.

Il Perin era sì mal visto da qualcuno, ma aveva agganci potenti ed era protetto dalla curia vescovile con la quale, fin da subito, aveva intessuto un solido rapporto lavorativo e di amicizia.

Anna si alzò in piedi per fare posto al medico che, tastando il polso e auscultando il cuore, non ebbe alcun dubbio. Scosse la testa guardando verso il basso. Si era troppo affaticato, il buon Pierino. E non aveva dato ascolto ai consigli di nessuno, neppure della moglie che ora stava là, in dignitosa afflizione, davanti agli occhi dei tre uomini rimasti senza parole, incapaci persino di una parola di consolazione.

Fu Giulio il primo a rompere gli indugi: «Donna Anna, dobbiamo ora occuparci di Pierino. Manderò qualcuno a prenderlo. Volete dare disposizione per…»

La donna scosse la testa. Non avevano nemmeno una tomba di famiglia, quindi non c’era un luogo dove poter accogliere le spoglie del marito. In cuor suo se ne rammaricò, e un po’ se ne vergognò. Qualche volta avevano parlato, lei e Pierino, di dotarsi di un luogo di sepoltura, ma quella di stampar libri era una passione, non certo un’impresa redditizia. Con l’impegno e l’abnegazione che metteva nella sua arte, il marito poteva ormai essere annoverato tra i maestri della zona, ma soldi se n’erano sempre visti pochi. Forse anche perché Pierino non aveva mai voluto davvero osare. Cercava qualità nella stampa dei suoi caratteri e nell’originalità dei frontespizi, ma si atteneva rigorosamente alle commissioni che riceveva dai clienti, soprattutto dagli uomini di chiesa legati al vescovo Priuli che lo aveva sempre sostenuto.

«Non ci sono solo i religiosi!», lo punzecchiava spesso Anna. «Mercanti, studenti, notai… di loro dovresti occuparti, capire che cosa vogliono leggere e mettere sotto i torchi qualche libro moderno, libri scritti nella lingua che usa la gente, intendo, e non solo in lingua latina!»

Da lì a poche ore la notizia della morte di Pierino si sarebbe diffusa rapidamente e l’officina sarebbe diventata oggetto di interesse da parte di altri stampatori.

Anna fece un paio di passi girandosi ad osservare i macchinari, i banchi, i cavalletti, le panche… Poi l’occhio le cadde sulle carte sparse sui tavoli e su quelle ben disposte negli espositori.

I tre uomini nella stanza, osservandola indagare freneticamente gli oggetti nella stanza, si scambiarono un rapido sguardo, cercando di interrogarsi vicendevolmente.

No, non poteva permettere che il sogno del marito finisse in mani diverse. Troppo sacrificio, e pure estremo, avevano versato in quell’attività che li aveva visti fianco a fianco, complici e appassionati in ogni azione intrapresa per avviare quella bottega.

Scrutando i presenti con i suoi occhi fermi e fieri, Anna si strinse i lembi del mantello sul petto e senza indugio con tono deciso disse: «Bene, Messer Giulio, procediamo. Occupiamoci di Pierino.» Poi, con un cenno del capo, sollecitò i due garzoni del marito: «Sospenderemo l’attività per un po’. Vi manderò a chiamare appena mi sarò riorganizzata e riprenderemo il lavoro da quello che stavate facendo.»

Tornò a piegarsi sul corpo inerme del marito e, preso tra le mani il punzone, se lo infilò nella tasca dell’ampia gonna. E baciò la guancia di Pierino.

2024-10-14

Aggiornamento

Grazie a Voi tutti, Amici Sostenitori, perché in soli 20 giorni siamo arrivati a 73 copie già prenotate. Questo è il mio primo romanzo storico. Per chi ha già letto altri miei libri, è una novità, perché sia in "Vegana? No, chemio" sia in "Cupido è guercio" la narrazione del quotidiano è scandita dalla mia ben nota vena ironica. Questa volta ho voluto unire la passione per la scrittura alla mia conoscenza del territorio. La ricerca per risalire ad Anna Perin e alle vicende che l'hanno vista coinvolta è stata appassionante e vi confesso che mi sono anche divertita a seguirla e ad immaginarla in azione nella Vicenza del 1500. Ho trascorso qualche mese in biblioteca consultando i libri stampati da Anna (emozionante pensare che siano del XVI secolo!), ma tutto è iniziato con il testo (piccolo) che vedete in foto... Certo, leggendo la sinossi si pensa si tratti di un romanzo circoscritto a un determinato periodo e a una determinata (e assai poco nota) figura, ma la storia di Anna è una storia contemporanea, fatta di sentimenti e vicende che potrebbero tranquillamente riferirsi ai nostri giorni. Quindi cari Amici e Sostenitori, continuate a sostenermi. C'è ancora molto tempo e sono fiduciosa. A presto!

Commenti

  1. (proprietario verificato)

    Ho avuto modo di leggere una bozza di questo libro alcuni mesi fa . Il “buon gusto” mi è rimasto ancora a distanza di tempo, al punto tale di far nascere in me anche una passione per la “carta” e per la stampa.
    E così via a visitare il museo di Fabriano e poi Foligno (dove è stata stampata la Divina commedia nel 1472) , per poi approfondire i richiami del libro su Manuzio e la nascita del corsivo e scoprire tanto altro .
    Amo la lettura , ma perché avevo aspettato tanto a cercare un libro così , di fatto e’ stata questa storia ricca di stimoli a cercarmi !
    Quando a Narni “sotterranea” ho visitato la cella dell’Inquisizione (altra storia intensissima), ho vissuto i timori di Anna Perin e anche il suo coraggio nello sfidare le convenzioni del tempo.
    Nel film “Madame Cliquot”, (la donna imprenditrice dello champagne) ho trovato i medesimi caratteri di caparbieta’ ed anche sfrontatezza della protagonista “dell’inchiostro e la filigrana“.
    Trovo che anche la storia di Anna Perin per intensità meriti una sceneggiatura. Avversità, caparbietà, desiderio, paura, gioia, riscatto, vittoria, giustizia, passione, trasgressione, non manca nulla per ricavarne un film.
    Un libro che si legge d’un fiato.
    E merita di essere stampato.
    Non lo si deve solo all’autrice che ha fatto emergere questa storia .
    Ma ad una donna, Anna Perin, che con la sua tipografia ha contribuito a trasmetterci ciò che amo e amiamo tutti noi che consultiamo questo sito. I libri !!

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Deborah Marra
Veneta di nascita e cosmopolita per scelta, ho studiato a Venezia e mi sono laureata in Lingue e Letterature Orientali. Svolgo da anni l'attività di guida turistica e traduco romanzi di scrittori contemporanei giapponesi. Amo viaggiare e colleziono oggetti rari e insoliti. Coltivo la scrittura fin da piccola e sono un'accanita lettrice, passione che ho ereditato da mio padre insieme ai suoi innumerevoli libri che ho impilato in ogni stanza della mia casa sperando di riuscire a leggerli tutti.
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