Circa l’organismo in carne e ossa, ovvero quello del sottoscritto, non è importante sapere chi io sia dove abiti e bla, bla, bla. Diciamo questo: sono un pincopallino, uno dei tanti. Certo, ho un nome, Albert, e anche un cognome. Tutti dati irrilevanti, in fondo. Tanto, parliamoci chiaro, presentarsi, di regola non aggiunge granché a una formale conoscenza, no? Come il farvi sapere, per quel che mi riguarda, come io viva, come sia fatto o che età abbia. A che servirebbe? La questione non cambierebbe di un millimetro.
Mi girano le scatole, questo è il punto.
D’altronde, non potrebbe andare in altro modo, viste certe questioni che non reggo più. Quali? Be’, prima di tutto la vita, la mia e quella in generale, che sono quello che sono. Poi, il mondo, che va come va. E, Dio, o chi per esso, che se ne sta lì a guardare delle vite che sono quelle che sono e un mondo che va come va. Infine, tutti questi fatti messi insieme che, ciliegina sulla torta, finiscono regolarmente con il rammentarmi un’ulteriore cosa altrettanto insopportabile: non esistono spiegazioni plausibili al riguardo. Insomma, quello che intendo è che uno, da quando viene al mondo, si chiede: nel nome di chi o di che cosa avviene tutto quanto? Secondo i disegni imponderabili di un Padreterno, infallibile, possente e imperturbabile? O tutto gira in virtù di indiscussi principi stabiliti da una Madre Natura che, fatto curioso, solo quando la vedi dipinta morta dici: «Cribbio, che bella!»? O in base a delle scelte dettate da quel diavolo di libero pensiero che, alla faccia di ritenersi libero, è sempre frutto di un qualche autoconvincimento? Nessuna risposta, mai. Cribbio.
Allora, adesso, mi sono proprio rotto. Di che? Di ricorrere al solito, consolatorio, artificio conclusivo: tirare in ballo il destino. Che senso ha prendersela per l’ennesima volta con questa vuota parola? Inventata ad arte per motivare cose immotivabili? Nessuno, dai ammettiamolo. Significa, come sempre, solo perdere tempo, sprecare fiato.
Il sole, stamani, si è levato alle sette e ventiquattro. Tramonterà alle diciassette e venticinque. Così, almeno, dice quel diavolo di calendario appeso al muro. Il cielo è bello nuvoloso, al contrario della mattina precedente. Conferma quanto quel diavolo di previsioni meteorologiche hanno annunciato. Porca miseria: anche ’sta volta ci hanno azzeccato. Nel preciso istante in cui mi sono svegliato, il mio cuore ha battuto, fino a questo momento, un miliardo quattrocentosessantuno milioni e ottocentottantottomila volte. Andando a ritroso, con un banale calcolo matematico, da tale cifra potrei arrivare, minuto più minuto meno, fino a quando nel ventre di mia madre Eloise alcune cellule si sono assemblate nel miracoloso abbozzo del mio curioso organismo. Ragionando ancora in questo modo, potrei risalire addirittura oltre: all’istante in cui, per la prima volta, il mio cuore ha preso a funzionare. Calcolando una media di cinquantotto/sessanta battiti al minuto, secondo quel che riportano i sacri testi medici, e tenendo presente un certo numero di extrasistole, la particolare conformazione del mio organo cardiaco, nonché la mia indole sportiva, il conteggio può ritenersi più che attendibile. Considerando, infine, che tra le ore sette e trenta e le ventiquattro di oggi intercorreranno sedici ore e mezzo, c’è da attendersi che anche in quest’arco di tempo il mio muscolo cardiaco pulserà sangue in tutto il corpo a un ritmo complessivo di cinquantanovemila e quattrocento battiti.
Secondo questo punto di vista, cosiddetto scientifico, c’è ben poco da discutere: la vita dell’individuo Albert è tutta qui. Secondo altri punti di vista, invece, ci sarebbe anche dell’altro da considerare. Ma il venirne a una certa comprensione non è affatto cosa da ridere, ammesso che a qualcuno possa interessare. Perché tutto dipenderebbe da una straordinaria coincidenza di molteplici fattori. Capire, capirsi, farsi capire, dal mio punto di vista, non è mica una cosa tanto ovvia, come tanta gente invece crede. Proprio per niente. È un po’ come il darsi da fare per azzeccare i numeri della lotteria: difficile, possibile, casuale, impossibile, superfluo, straordinario, tempo buttato.
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