Oramai da una settimana era quella la mia nuova routine. Non la trovavo noiosa o altro come si poteva ipotizzare, anzi, volevo che la mia vita restasse ferma su quella montagna, ma la vacanza non era eterna e, come tutte le cose belle, era destinata a finire; il giorno dopo, con le valigie già pronte oramai, sarei tornato alla mia normale quotidianità, nel mio normale paese, con le persone normali e la mia schifosa vita.
Mentre mi alzavo per tornare all’appartamento che avevamo affittato, all’improvviso vidi qualcosa di spaventoso a pochi metri di distanza che correva verso di me, con la bava alla bocca.
Non avevo mai visto un orso e mai avrei voluto vederlo. Iniziai a correre senza neanche pensare alla direzione che stavo prendendo, in quel momento non riuscivo di certo a ragionare con lucidità, l’unico pensiero che avevo era quello di non farmi sbranare da quella bestia. Saltavo tronchi, schivavo alberi, evitavo cespugli correndo al massimo della mia velocità, ma niente, l’orso continuava a starmi dietro e man mano che sentivo crescere il mio affanno, percepivo il suo fiato sempre più vicino al mio collo.
Inaspettatamente, vidi la fine del bosco, e due bambine che giocavano davanti a una casa isolata con una palla oro dalle strisce bianche; dietro di loro un uomo e una donna le riprendevano con una videocamera. Senza pensarci due volte iniziai a urlare.
«AIUTO! AIUTATEMI!»
Tutti si girarono verso di me. Nei loro sguardi vidi un immenso terrore per la figura alle mie spalle. Le bimbe cominciarono a strillare e a correre verso la casa, ma una cadde e l’altra si fermò ad aiutarla. La madre si precipitò subito verso di loro mentre il padre si fiondò all’interno. Mi indirizzai anche io verso la porta, senza pensare né alle bambine né alla madre, ma prima di poter varcare l’entrata una spallata del padre mi spinse a terra. Sdraiato e con il sangue che mi colava dal naso, immobilizzato dal terrore per la scena della quale ero partecipe, non riuscivo a sbattere le palpebre: l’uomo correva verso la moglie urlando come un pazzo e tentando di impugnare il fucile senza tremare, lei invece aveva perso metà di un braccio nel tentativo di salvare una delle bambine, che oramai era stata ridotta a brandelli dall’orso, il quale senza pietà si dirigeva verso l’altra che si era nascosta dietro la donna.
Il padre sparò un colpo verso la bestia, ma evidentemente era una delle prime volte che usava l’arma in vita sua, dato che sfiorò solo la spalla dell’animale, che sentendo dolore si lanciò sul suo assalitore e gli lacerò il petto con una semplice zampata. Oramai nessuno aveva più scampo, l’orso si stava precipitando di nuovo sulla seconda bambina e sulla madre, che cercava stupidamente di proteggerla usando il suo corpo come scudo; il padre sputava sangue ed era prossimo alla morte. L’altra bimba era irriconoscibile tanto era stata dilaniata.
Nell’osservare tutto quello che stava succedendo non riuscivo neanche a muovermi per scappare. In quel momento pensavo soltanto che oltre a gettare la mia vita restando pietrificato, avevo appena distrutto l’esistenza di un’intera famiglia, con due giovani bambine splendide. Senza neanche rendermene conto scattai in piedi con un balzo e lanciai un urlo così forte da far girare l’orso: «BASTA, VA’ VIA!».
Le mie grida durarono per almeno sei secondi, attirando l’attenzione di tutti: della madre menomata, della bimba tra le sue braccia e del padre morente.
Anche l’orso mi fissava, ma per un qualche motivo ora con un’aria terrorizzata; di colpo tutto sembrò svanire sotto i miei occhi e, vedendo tutto nero, persi i sensi cadendo a terra.
Un secondo dopo sentii qualcuno scuotermi sempre più forte. Aprii gli occhi e vidi di fronte a me il padre di famiglia che mi fissava con aria preoccupata, come la madre e le bambine vicino lui. Tutti loro erano inginocchiati, c’erano anche i miei genitori benché loro fossero in piedi. Senza trattenermi lanciai un altro urlo, quasi al livello del precedente.
«Calmati ragazzo, lo abbiamo abbattuto.»
Abbattuto, quella parola spezzò immediatamente il mio strillo. Mi voltai e vidi la carcassa dell’orso che mi aveva inseguito accasciata a terra immobile, senza vita. Non riuscivo a credere a quello che stavo vedendo: la stessa bestia che un minuto prima aveva massacrato quasi quattro persone si trovava lì morta, e le quattro persone che erano state trucidate, invece, erano vicine a me inginocchiate con un’aria preoccupata, completamente illesi. Prendendo fiato, dissi la prima cosa che pensavo in quel momento: «Com’è possibile che siate ancora vivi?».
La famiglia mi guardò stupita e non rispose per qualche secondo, ma poi a spezzare il silenzio fu la madre delle bambine.
«Tesoro, sei corso fino a qui gridando, mio marito ti ha sentito e ha preso subito il fucile. Appena ha visto che ti correva dietro quella bestia, ha sparato e l’ha uccisa. Ci hai salvato la vita, se non fosse stato per te quell’orso ci avrebbe presi di sorpresa e sbranati, affamato com’era. Sei un eroe» disse con gli occhi pieni di lacrime. Nonostante il suo commuoversi e i suoi complimenti, ero comunque sconvolto. Loro erano morti, tutti morti, proprio sotto i miei occhi. Non poteva essere reale quello che stavo vivendo.
«Voi siete stati sbranati dall’orso, il signore ha mancato il colpo e lo ha preso alla spalla. Ha squarciato il petto di suo marito e ha letteralmente mangiato vostra figlia. Voi non potete essere vivi!»
Tutti mi guardarono scioccati, le bambine iniziarono a piangere correndo verso la madre che subito le abbracciò. Mia madre, invece, si avvicinò colpendomi con uno schiaffo sul volto.
«È questo il modo di parlare alle persone che ti hanno salvato la vita?!»
Era furiosa per l’imbarazzo che stava provando, ma nonostante non volessi farla sentire in quel modo non riuscivo a far finta di niente.
«TU NON CAPISCI, LORO SONO MORTI TUTTI. SONO MORTI TUTTI SOTTO I MIEI OCCHI!»
Mia madre si ammutolì, provava troppa vergogna in quella situazione per potermi rispondere ancora. Mio padre invece avanzò con aria minacciosa, facendomi capire le sue intenzioni. Il signore si mise fra di noi fermando mio padre prima che mi scatenasse contro quell’ira irrefrenabile.
«Si calmi. È solo un ragazzo, non è facile reagire a uno shock del genere, è sconvolto.»
Mio padre, ignorando totalmente quello che gli era stato detto, si limitò a ringraziarlo e a prendere me e la mamma per le mani, portandoci verso la macchina. Una volta dentro tornammo a casa senza neanche accorgercene, in un silenzio tale da far concorrenza a quello di un cimitero. Appena entrati nell’appartamento, mio padre mi spinse per farmi sedere sul divano, mentre mia madre parlava con qualcuno nell’altra stanza al telefono. Provai a udire quello che stava dicendo: bastò sentire la parola “dottore” per capire tutto. Mi alzai immediatamente dal divano tentando di correre verso la porta per scappare, ma mio padre mi sbarrò la strada.
«Tu non vai da nessuna parte, adesso aspetti che venga il dottore, quello per le persone malate come te» dichiarò con un tono gelido.
«Tu non capisci, io non sto mentendo! Ho visto davvero quelle cose ed erano reali!»
Mio padre mi guardò con un misto di disprezzo e vergogna. Senza proferire neanche una parola si sfilò la cintura. Provai a correre ancora una volta verso la porta, ma mi afferrò per i capelli prima che io potessi raggiungerla.
«No papà, ti prego, no!» gridai terrorizzato, sapendo quello che aveva intenzione di fare, proprio come aveva già fatto altre volte in passato.
«Per le persone malate come te, a volte i dottori non bastano» sputò con tutta la malignità che aveva dentro.
Sotto le mie grida sentii il sibilo della cintura nell’aria, ma prima che potesse colpire la mia schiena anche quella scena svanì all’improvviso.
Con uno scatto mi alzai dal letto, totalmente fradicio di sudore e con gli occhi sbarrati. Ancora una volta quel ricordo continuava a tormentare i miei incubi.
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