spaesamento, dubbi sulla propria esistenza passata e futura.
e urlò al display: «Alzati e risplendi un cazzo!».
Spense la sveglia e si girò dall’altro lato. Era ormai chiaro che
avrebbe fatto tardi in libreria, ma tant’è. Alexis c’era abituata.
Pedro
Pedro aprì gli occhi come ogni mattina sette minuti prima
del trillo della radiosveglia. Non amava stare a letto dopo
essersi svegliato, gli causava l’emicrania.
Spalancò la finestra per far entrare l’aria mattutina nella
stanza. Aveva come sempre scostato le coperte prima di
Capitolo due
Livia
Una volta in piedi, Livia andò in cucina e iniziò a prepararsi
il caffè, annusando come sempre l’aroma forte della polvere
bruna nel sacchetto chiuso con lo scotch. Avvitò bene la sua
minuscola moka rossa, regalo di sua madre prima della partenza
per Londra.
Quando il caffè fu pronto lo versò nella sua tazza preferita,
il movimento rilassante del cucchiaino la riportò con la mente a
tre anni prima.
Non avrebbe dovuto fermarsi in città per più di due mesi.
La sua azienda stava aprendo una filiale inglese e lei si sarebbe
occupata del training ai nuovi colleghi. Dopo solo il primo
mese dalla partenza Matteo l’aveva lasciata. Era sempre stato
uno stronzo. Il tipico uomo che chiamava solo se ne aveva
voglia e quando ne aveva voglia. Uno con la leggera tendenza
a non farsi scappare dalla vista nessun bel fondoschiena gli
passasse di fianco, insomma. Purtroppo anche Livia era stata
colpita dall’ormai nota malattia “Io ti cambierò”, estremamente
diffusa tra gli esseri umani di sesso femminile.
Alexis, che allora lavorava con lei nel nuovo ufficio, quel
giorno l’aveva consolata di fronte a una tazza di tè al gelsomino
e a una fetta di torta alle carote. Aveva le mani magiche
quando si trattava di preparare dolci.
Dopo aver ascoltato un’ora di insulti coloriti all’ex fidanzato
dell’amica, Alexis era infine riuscita a dire una parola anche lei.
«Mi spiace aggiungere altre delusioni alla tua giornata già
infelice, ma sto per dare le dimissioni.»
«Cosa?! Sei impazzita?! Mi vuoi abbandonare anche tu?
Perché tutti mi lasciano? Cos’ho che non vaaa…»
«Hai finito di fare il tuo melodramma italiano? Così magari
posso spiegarmi?»
«Sì, scusa. Continua.»
«Voglio aprire una libreria caffè.»
«Aly, che bella notizia! Fai bene, così oltre a consigliare
ottimi libri potrai far assaggiare i dolci che prepari ai tuoi clienti.»
«Vorrei anche che lavorassimo insieme.»
Livia aveva guardato l’amica per un secondo con gli occhi
sbarrati prima di urlare: «Sì, lo voglio!».
Alexis era una donna molto razionale, mentre Livia era
l’esatto opposto: viveva in un continuo caos, il suo appartamento
era quasi impraticabile. Sua madre le urlava sempre che
prima o poi sarebbe stata la protagonista di un qualche show
sugli accumulatori compulsivi. Eppure, in ambito lavorativo,
Livia diventava un generale di ferro. Non le sfuggiva nulla, era
molto brava nei training e Alexis pensò che sarebbe stata allo
stesso modo chiara e intransigente con i fornitori, per questo
le aveva affidato tutta la parte degli approvvigionamenti del
locale.
Mentre assaporava il caffè, controllò lo status delle consegne.
Tutte in tempo, nessun ritardatario. Per forza, aveva
scelto quasi esclusivamente fornitori italiani, così non potevano
fregarla parlando tra di loro in qualche lingua a lei sconosciuta,
ma soprattutto, cosa che adorava, poteva arrabbiarsi e gridare
nella loro stessa lingua nell’eventualità di qualche
pasticcio.
Con uno di loro aveva avuto una mezza storia. Era un bel
ragazzo, alto, con gli occhi chiari e le spalle larghe. Il padre
faceva il grossista di farina, mentre lo zio aveva una pizzeria
food truck nel mercato di Old Spitalfields. Lui, Mirco, aiutava
sia il padre sia lo zio.
Era buono e gentile, ma a Livia non era scattato nulla. Nessuno
sfarfallio di lepidotteri dentro un posto in cui non dovrebbero
stare, cioè nel suo stomaco, nessun senso di stupidità o facili
sbadataggini in sua presenza.
Aveva sempre pensato di essere una di quelle donne che
non si accontentano. Che non scelgono l’uomo con cui stare
solo in base all’aspetto fisico. O, ancora peggio, al periodo
storico in cui l’hanno incontrato: dopo una lunga solitudine, una
storia finita male o alla soglia dei quarant’anni, quando l’orologio
biologico è piuttosto una sirena antincendio.
Quella mattina, però, si sentì incredibilmente sola. Non le
capitava mai. Stava bene nel suo caos, e ormai si era così
abituata a non dover badare a nessun altro oltre a se stessa che
il solo pensiero di rimettere in gioco la sua quotidianità la atterriva.
Sorseggiò il suo caffè, assaporandone il gusto amaro che
tanto sapeva di casa, appoggiata al marmo nero e grigio della
sua cucina; un piccolo spazio ad angolo, stipato di cesti di
frutta e scatole di tè variopinte, che correva sotto la finestra
custodita da ben otto piante, tra cui un’aloe vera trovata mezza
morta fuori casa e un’orchidea che come l’araba fenice aveva
deciso di risorgere donandole tre fiori bianchi.
Livia osservò il ragno che aveva fatto una casa bella grande
appena oltre l’uscio e sperò che almeno lui non si sentisse solo.
Infine, uscì.
Pedro
Pedro si incamminò verso la fermata della metropolitana
con il suo caffè di Starbucks in mano. Si chiedeva sempre come
facessero a farli più roventi dell’inferno ma ancora non si era
dato una risposta. Ripassò mentalmente tutti i temi che voleva
proporre al suo capo per i nuovi calendari. Era stato promosso
a direttore creativo da un anno. Poco prima che tutto andasse
a rotoli. Amava ancora essere anche quello che sta dietro la
macchina fotografica. La sua Reflex, Olga, era la sua migliore
amica. Appena ebbe la possibilità di sedersi su uno dei posti
liberi nel vagone, iniziò a scrivere sul suo taccuino nero.
“Carnevale.”
I mesi che scorrevano con i carnevali e le parate più famose.
Il carnevale di Rio, per iniziare, rumoroso e irriverente, quello
mistico di New Orleans, con le sue collane di perline, infine
il carnevale di Venezia, con i suoi abiti ampi e sofisticati.
“Capitali europee.”
Parigi, Roma, Londra. Poi Madrid, Berlino, Copenaghen.
Non sarebbe stato molto difficile, ogni città aveva un suo tratto distintivo.
Rileggendo i due temi però, Pedro sentì che mancava qualcosa.
Quel quid che aveva contraddistinto il tema dell’anno
passato: “I rombanti anni Cinquanta”.
Entrò nell’edificio a specchio di diciotto piani che si rifletteva nella City.
Non fece nemmeno in tempo ad avvicinarsi alla sua scrivania
che si sentì chiamare.
«Pedro, eccoti! Puoi venire nel mio ufficio?»
Il direttore aveva fatto capolino dalla “stanza dello shampoo”,
come i suoi colleghi la definivano. Era un brav’uomo, in
fondo, ma non si sottraeva mai dal fare una ramanzina che
faceva uscire con i capelli bianchi.
Certo, lui era il capo ed era giusto che avesse il pugno di ferro.
Senza vendite sarebbero finiti tutti in mezzo a una strada.
«Buongiorno, Andrew.»
«Ah, sì. Buongiorno a te. Allora, questi calendari? Devono
andare in stampa tra un mese e non ho ancora visto nulla. Hai
i temi?»
«Sì, ne ho due. Mi spiace, solo una bozza. Avrei voluto presentarli meglio.»
«Non importa, fammi vedere.»
Con qualche riluttanza Pedro offrì il taccuino al suo capo.
«Tutto qui?»
«Le idee sono più elaborate, quello è solo il concetto principale.»
«Le capitali non mi piacciono. È dispersivo. Il carnevale
non è male, ma è troppo circoscritto a momenti particolari
dell’anno.»
«Il sentimento di gioia e festa è universale…»
«Lo so, lo so. Ma non mi convince comunque. Hai altro?»
«Al momento no.»
«Peccato. Mi aspettavo di più.»
Andrew si allungò sulla sua sedia in pelle color camoscio,
cosa che faceva imbufalire Pedro, che lo vedeva sempre come
un gesto poco professionale.
«Senti, so che non hai passato un bel periodo. Se vuoi posso
chiedere a Mark, dell’ufficio marketing, di darti una mano.»
«No, assolutamente. Tornerò in settimana con l’idea giusta.»
«Non abbiamo una settimana. Entro questa sera voglio l’idea,
Pedro. O l’incarico per questa volta passa a Mark. Adesso
vai pure, ti ringrazio.»
Pedro lasciò il suo capo con un sorriso tirato prima di pensare:
Ti ringrazio un cazzo.
Prese la sua Olga e uscì di nuovo nella fredda giornata inglese,
doveva trovare l’ispirazione, e alla svelta.
Michela Belotti (proprietario verificato)
Look left è una guida perfetta che invita a lasciare tutto e tutti e trasferirsi a Londra. Inoltre la storia d’amore si legge velocemente, fa venir voglia di esser letta e sembra di viverla con i personaggi molto umani e fragili. Un buon libro!
Chiara (proprietario verificato)
è stupendo! Si legge tutto d’un fiato, è scritto molto bene e la storia ti prende un sacco!
Leggetelo!
Feliscia (proprietario verificato)
La splendida città di Londra fa da sfondo alle vicende di Livia e Pedro, in una storia che si legge tutta d’un fiato. Il libro è ben scritto, scorrevole e non si riesce a smettere di leggerlo.
I personaggi riescono a catturare l’attenzione fin dalle prime pagine e mi sono subito sentita vicina a loro. Mi mancano già!
Anna (proprietario verificato)
Si legge tutto d’un fiato questo romanzo delicato e allegro. L’intreccio si sviluppa in una Londra familiare (che nostalgia!!!) e al tempo stesso inedita, illuminata dalla quotidianità delle piccole cose. Sospirando tra ricordi e aneddoti personali ci si identifica molto facilmente nei personaggi. Assolutamente da leggere!!!!
Maria (proprietario verificato)
E’ come un quadro dipinto con parole, riesco a immaginare ogni angolo di Londra attraverso le pagine di questa storia che ti fa venire voglia di prendere il primo aereo per la città inglese, magari incompagnia di Livia e Pedro.
Insomma: non perdetevelo!
roberta (proprietario verificato)
una storia ambientata a Londra, dove due ragazzi si incontrano per caso per condividere i loro sogni. Una scrittura che ti invoglia alla lettura, a scoprire, pagina dopo pagina, le decisioni che cambieranno la vita dei protagonisti, intrecciandola l’uno all’altra, non prima di aver vissuto ogni momento cercando di realizzare i propri sogni.
Londra palpita in queste pagine, scoprite ogni segreto di questa splendida città insieme a Pedro e Livia.