Ma quel giorno qualcosa di straordinario stava per succedere.
Qualcosa che le avrebbe cambiato la vita.
Un incontro che ti fa capire che anche nelle tragedie si può trovare uno spiraglio di luce.
Era pomeriggio, la brezza autunnale iniziava a farsi sentire e Giulia strinse le mani intorno alle braccia per scaldarsi dentro al suo giubbino di jeans. Vide un ragazzino avvicinarsi, e quando fu più vicino lo riconobbe. Era Fil.
Abitava nel suo stesso palazzo, al piano sopra al suo. Gli appartamenti in cui abitavano erano identici, quindi le loro camere si trovavano una sopra l’altra. Si conoscevano da sempre. Aveva dodici anni e suo papà lavorava con il papà di Giulia.
In quel momento il loro dolore era lo stesso, nonostante la differenza d’età.
Giulia aveva quindici anni come Ale, il fratello di Fil. Andavano a scuola insieme, erano amici e a volte giocavano tutti insieme ai videogiochi a casa loro.
Lo salutò alzando appena la mano e lui, senza dire niente, si sedette dalla parte opposta della panchina.
Guardava nella stessa direzione di Giulia.
I suoi occhi neri puntati sulle macerie di fronte a loro.
Lo sguardo perso nel vuoto.
Le lacrime a rigargli il volto.
Poco dopo Giulia lo sentì singhiozzare, si voltò a guardarlo e si avvicinò a lui, allungò un braccio sulle sue spalle e lo strinse a sé.
Fil si lasciò abbracciare e affondò il viso sotto la spalla di Giulia, mentre lei l’aveva avvolto anche con l’altro braccio.
Rimasero così finché i singhiozzi di Fil non divennero più lievi, fino a scomparire.
La prima cosa che lui disse fu: “Scusa, ti ho bagnato tutto il giubbino.”
Giulia abbozzò un sorriso: “Non importa.” E lo strinse ancora più forte.
Il pallido sole che c’era andava svanendo, si stava facendo tardi, ma Giulia non voleva tornare a casa, non voleva staccarsi da Fil e abbandonarlo, aveva bisogno di lei, così si strinsero per quelle che sembrarono ore, finché Fil non sembrò più tranquillo.
Non si accorsero nemmeno che le loro mamme erano andate a cercarli e li avevano trovati così.
Era buio quando Giulia disse: “Torniamo a casa, ti va?”
Fil annuì. I suoi occhi sembravano più tranquilli.
Si alzarono e percorsero le poche vie che li separavano dalle loro case.
Dopo pochi passi Fil prese la mano di Giulia e non la lasciò neanche quando furono davanti all’appartamento dove abitava il ragazzo.
“Vuoi che entri con te?”
Lui annuì.
La mamma di Fil e Ale, Claudia, non fu sorpresa di vederla, le chiese: “Giulia, ti fermi a cena?” Giulia guardò Fil che la implorava con lo sguardo e disse: “Sì, devo avvisare mia mamma. Vado e torno.”
Uscì dalla porta e scese le scale che la separavano da casa sua.
Appena entrò in cucina sua mamma la stritolò in un abbraccio alzando una nuvola di farina che aveva sulle mani e le chiese: “Stai bene?”
Giulia si sentì annuire: “Meglio. Ci vorrà un po’ di tempo.”
Sua mamma la guardò per un secondo negli occhi e le diede un bacio sulla guancia.
“Mamy, Claudia mi ha invitata per cena. Posso andare?”
“Certo, vai pure. Io starò coi tuoi fratelli.”
Giulia si tolse il giubbino di jeans, si pettinò i suoi lunghi capelli castani e indossò la sua felpa preferita, con la scritta “Free hugs” e un cactus che rideva.
La cena trascorse serenamente. Fil prese posto vicino a lei e le lanciava occhiate interrogative, come in attesa che Giulia dicesse a sua mamma che l’aveva trovato mentre piangeva per la strada. Ma lei lo rassicurò dandogli dei colpetti sul dorso della mano, sotto al tavolo.
Dopo cena Giulia propose: “Giochiamo a Mario kart?” Fil annuì.
Si sedettero a terra davanti al divano e iniziarono a giocare.
Fil era teso, ma pian piano si accoccolò ancora contro la spalla di Giulia fino a quando non fu ora di andare a casa.
Giulia allora gli chiese: “Ci vediamo domani?”
“Va bene. Facciamo i compiti insieme?”
Giulia salutò Claudia e, una volta a casa sua, si buttò sul suo letto ancora vestita.
E fu così che divennero inseparabili.
Giulia e Fil si vedevano tutti i giorni, anche solo per dieci minuti. Passavano i pomeriggi insieme a studiare o a fare i compiti, spesso cenavano a casa di Fil o a casa di Giulia, oppure giocavano dopo cena ai videogiochi, o passavano a salutarsi tra un impegno e l’altro, dopo l’allenamento di calcio di Fil o prima che Giulia andasse a lezione di danza.
Sempre. Tutti i giorni.
—
Giulia si riteneva una ragazza fortunata, nonostante tutto.
Aveva una mamma fantastica, Viola, che aveva un negozio di fiori in centro al paese dove abitavano. Era un piccolo paese nella periferia milanese dove tutti si conoscevano, o almeno questa era la sensazione che si provava vivendoci. Le strade acciottolate del centro erano levigate da anni e anni di passeggiate tra innamorati, bambini che correvano, persone che portavano le borse della spesa, biciclette che sferragliavano allegre. Insomma, un bel posto in cui vivere.
Era stato il papà di Giulia a mostrarle gli angoli più caratteristici del loro quartiere e a trasmetterle la sua passione per il disegno, nonché un carattere introverso e riflessivo che faceva impazzire entrambi. Infatti Giulia provava costantemente a non essere così chiusa e a imparare a esprimere a parole o coi gesti quello che provava. Non era facile, ma ci stava provando. Lui era un soccorritore dei vigili del fuoco. E Giulia sapeva che non avrebbe dovuto odiare quel lavoro, ma il fatto che suo padre fosse morto facendolo, non lo metteva in cima alla lista dei suoi lavori preferiti.
Invece i suoi fratelli avevano ereditato il carattere solare e sorridente della loro mamma. Francesco, 19 anni, e Elisa 11 anni.
Francesco si era iscritto all’università alla facoltà di chimica, ma dopo neanche un mese aveva abbandonato per cercare un lavoro che aiutasse la loro famiglia a stare in piedi. Viola si era opposta a questa sua decisione, ma una volta capito che lui non aveva intenzione di fare diversamente, accettò l’aiuto del figlio.
Elisa era una bambina tutta fossette e occhioni che illuminava la giornata di chiunque incontrasse. Divideva la stanza con Giulia e non potevano essere più diverse. Ma andava bene così. Si adoravano. Giulia adorava tutti i componenti della sua famiglia. Anche nei momenti più difficili. Soprattutto nei momenti più difficili. Aveva quella consapevolezza che loro c’erano l’uno per l’altro, che niente avrebbe potuto separarli. Ed era vero. Erano fortunati.
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