Il lungo viaggio l’aveva sfiancato, ma doveva trovare le risposte alle domande su cui stava costruendo il destino delle Terre Conosciute e forse anche di più.
Così era stato, la veggente aveva parlato. Un’antica profezia, quasi dimenticata. Quasi… già, perché quelli che ora lo inseguivano la conoscevano bene e ora, per quella, lo volevano morto.
Poveri stolti, in verità loro non sanno… e la mia morte non servirà a nulla, se non a illuderli di aver vinto anche il destino.
Un sorriso d’improvviso gli si aprì sul volto, rigato dal sangue e dal sudore, eppure ancora stupendo. Sentiva la fatica immensa delle settimane di cammino, delle ore di veglia notturna e ora anche della fuga. Gli stavano alle calcagna da diversi giorni ormai, ne era certo, era stato proprio lui a farsi scoprire. Era stato necessario perché non sapessero, perché non sospettassero…
Il chiasso dei soldati era stato l’eco dei propri passi dall’alba, e da allora non aveva avuto sosta.
«Eccolo! È lui, l’elfo!» Una voce vicina, più vicina di quanto pensasse, aveva rotto l’aria tesa di quel tramonto di fuoco.
Una freccia silenziosa e inesorabile stroncò ogni ulteriore grido d’allarme e il fuggitivo riprese la sua corsa contro il tempo.
Fossi solo un elfo… Sorrise mentre guardava con dolcezza la creatura che aveva legata al petto.
«Chissà quando lo scoprirai…»
Il piccolo scoppiò in lacrime, ma la magia fece sì che nessun suono uscisse.
«Non possiamo farci trovare…» sussurrò, come se il bimbo potesse capirlo.
Un momento di distrazione e sentì il calore del sangue scorrergli lungo il braccio. Una freccia, probabilmente avvelenata. Poco gli importava, lui poteva anche morire, ma prima doveva portare il piccolo in salvo.
Ormai i soldati erano a poche decine di metri, era giunto il momento. Parole arcane appena sussurrate e le vesti si strapparono di netto sulla schiena per far posto a due immense ali nere come la notte e con un balzo le sentì tendersi nell’aria prima di spiccare il volo.
Diverse imprecazioni e maledizioni si alzarono con lui.
Era tanto che non lo facevo, ma dà sempre la stessa emozione…
Poi, d’improvviso, qualcosa oscurò gli ultimi raggi del sole morente: una nube di frecce si era levata da terra e presto l’avrebbe investito, come una tempesta affonda senza pietà l’imbarcazione che s’è persa.
Non aveva abbastanza forze per difendersi con la magia, ma poteva ancora salvare il neonato. Così fu.
Lo schiocco secco delle punte metalliche che trafiggevano la cartilagine di quelle ali da pipistrello fu presto seguito dalle urla di dolore e dal rumore della carne strappata. Il bimbo però era salvo, nemmeno un graffio, l’incantesimo aveva funzionato, ma a quale costo?
Ora sì, ne era sicuro: quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio; ma non era triste, tra le mani aveva una nuova vita, quella del suo bambino; tra le mani aveva il destino di quel mondo…
La luna alta nel cielo, la notte fresca e le stelle tutte brillavano noncuranti della sofferenza dell’elfo che volava senza tregua, in una corsa contro il tempo: doveva portare il neonato in salvo prima che fosse troppo tardi; era vicino, poteva vedere la neve scintillare sulle cime sempre più prossime eppure così lontane. Ogni colpo di ali era uno strazio, sentiva il proprio fisico ribellarsi, ogni muscolo, ogni centimetro del suo corpo non desiderava altro che la fine, che lui invece cercava di rimandare.
Quasi nemmeno più respirava, mentre gli occhi che si chiudevano sembravano sussurrargli un invito a lasciarsi andare e a cadere nel vuoto per sempre…
No! Ci sono, eccomi… eccola!
Planò su una grande casa in pietra nascosta nel bosco, una sola flebile luce accesa, una piccola speranza nella notte. Toccò terra e si sentì schiacciare, ma rimase in piedi, pochi passi ancora. Barcollò. Quel portone in legno… doveva arrivarci. Alzò il pugno per colpire ma il corpo cedette e ne seguì un suono sordo, quello delle sue membra che s’accasciavano esanimi contro la porta. Con l’ultimo soffio di vita appoggiò faticosamente la schiena al ruvido legno del portone, le ali chiuse attorno all’infante.
Addio, Vanel.
Poi la magia si infranse, le urla del bimbo ruppero il silenzio della notte e un rumore di passi anticipò l’arrivo di qualcuno.
LA STELLA DI GHIACCIO
Il sole cominciava a sorgere quando ancora la valle dormiva, l’oro dell’alba si faceva spazio tra gli ultimi resti della notte passata: presto il rosa e il giallo dell’albeggiare avrebbero trafitto le ultime nuvole, residui di una pioggia notturna.
La luna piena, col suo pallido volto che faceva capolino tra le nubi, si rintanava in un ultimo brandello di oscurità che presto sarebbe svanito.
Sulla neve delle creste dei monti Ëiuth si rifletteva la luce del sole, che ancora si faceva attendere, celato dall’immensità di quei massicci millenari. Il loro versante nord, ripido e aspro, quasi privo di vegetazione, era ancora immerso nel buio fitto e impenetrabile, mentre una sottile nebbiolina copriva i piedi delle alture e nascondeva i boschi verdeggianti. Il brusio continuo dell’acqua che scorreva tumultuosa nei molti ruscelli e cascate era l’unico suono in quel momento di pace, mentre la natura aspettava di potersi destare.
Sotto i raggi del sole mattutino, i primi boccioli dell’anno si aprirono insieme alle pratoline e agli altri fiori nelle radure e sulle sponde degli stagni, liberando il profumo che tenevano racchiuso da giorni; la rugiada scintillava mentre le nebbie si diradavano, ma tutto ancora taceva.
In quel silenzio che aveva del magico, un leggero rumore di passi si disperdeva nell’immensità delle montagne: era un giovane che camminando lungo un sentiero tortuoso si allontanava dal villaggio verso il cuore della vallata. Il mantello chiuso accuratamente al collo lasciava solo intuire una struttura fisica giovane e atletica. Non si sarebbe potuto dire che fosse alto, ma le spalle ampie e il portamento fiero ne davano l’impressione. Il cappuccio calato fin quasi al naso faceva intravedere alcune ciocche di capelli tra il biondo e il rossiccio, mentre il respiro si condensava in piccole nubi candide davanti al volto imberbe. Incedeva tranquillo per un sentiero ben segnato portando sulle spalle una gerla in cui aveva messo alcune provviste per la giornata e che avrebbe dovuto riempire con germogli e radici di piante medicinali per la bottega dove lavorava sua madre.
Non aveva ricordi di suo padre, per questo era cresciuto sotto l’ala materna, che aveva insistito perché studiasse nella piccola scuola gestita dal monastero di Wellensdorf, imparasse a tirare di spada all’accademia e l’aiutasse nel lavoro di erborista e guaritrice.
La loro era stata un’esistenza semplice in quel lungo periodo di pace che interessava le Terre Conosciute: da quando ormai un ventennio addietro si era formata l’Unione, la guerra sembrava uno spettro lontano, un fantasma di un’epoca passata, di cui si leggeva solo nei libri di storia, gli stessi che quel giovane che ora si inoltrava nella foresta amava leggere, anche se non tanto quanto le carte geografiche.
Era stato un amore a prima vista quello con la geografia: sin dalla prima lezione quand’era solo un ragazzino aveva chiesto a sua madre di comprargli una mappa e quando la aveva ricevuta per il suo tredicesimo compleanno si era sentito il ragazzo più fortunato della valle. Erano passati quasi cinque anni da allora eppure quella carta era ancora appesa nella sua stanza e non si stancava mai di fissarla, di esplorarne i dettagli: dalle strade alle foreste, dalle grandi capitali alle zone sconosciute e ancora da scoprire. Aveva studiato e visto dipinti di quelle zone così lontane dalla sua tranquilla vallata di montagna e sognava un giorno di viaggiare, di valicare quelle vette e scoprire quello che li circondava, fino a spingersi al di là di quei confini che gli uomini avevano messo al loro mondo, alle Terre Conosciute.
Se lo ricordava bene: era un inverno di pochi anni prima, aveva raggiunto sua madre davanti al caminetto sul retro della loro bottega e si era sforzato di sembrare calmo mentre le diceva che aveva intenzione di finire gli studi e poi intraprendere un viaggio oltre i confini di quella valle. Floër gli aveva sorriso e detto: «Vanel, figliolo, mi lasceresti qui sola con tutto il lavoro?».
Lui si era sentito in colpa, ma aveva proposto di trovare un sostituto, un assistente. Lei lo aveva abbracciato. «Chi lo sa, forse un giorno partiremo assieme e scopriremo quello che la tua amata cartina non dice.»
Non ne parlarono più, ma quel pensiero, quel sogno, non smise mai di bruciare in lui: amava quelle terre, non riusciva a immaginare la possibilità di alzarsi al mattino senza che le cime lo circondassero, senza il rumore della foresta e il fresco profumo della neve d’inverno e dei prati d’estate. Eppure, quando chiudeva gli occhi, immaginava la leggendaria Sirizam, la capitale sotterranea dei nani di Visok, o la remota Alimes, baciata da due mari, o Luxna, dove, secondo la leggenda, erano approdati i primi uomini dalle terre d’oltremare.
Vanel giunse al margine di una radura che conosceva bene: da lì il sentiero piegava verso sinistra, ma lui attraversò il prato e si addentrò nella foresta di faggi e betulle che la delimitava. Ancora una mezz’ora di cammino e sarebbe giunto al primo punto di raccolta. Negli anni lui e sua madre avevano individuato dei luoghi dove crescevano le piante di cui avevano bisogno per il loro lavoro e, dopo un inizio di primavera sottotono per le temperature decisamente fredde e le nevicate tardive, erano quasi finite le scorte e, nonostante un clima ancora inadatto, Vanel si era convinto di tentare la sorte quella mattinata e cercare quanto ormai scarseggiava.
La mattina andava scaldandosi e nel freddo dell’aria ancora pregna di umidità, i raggi del sole sembravano ancora più caldi e piacevoli. Fu allora che il ragazzo fu colpito dal luccichio di una macchia di brina notturna. Se ne stupì, perché, seppure quella giornata fosse fredda, non sembrava che la temperatura potesse esser scesa così tanto dopo la pioggia, ma non se ne preoccupò oltre: era arrivato lì dove voleva e, mentre un sorriso gli si apriva sul volto, trovò immediatamente ciò che cercava.
Continuò a raccogliere le radici e i germogli di diverse piante per l’intera mattina, curandosi di lasciarne abbastanza perché potessero crescerne di nuove al più presto, e che il suo intervento non danneggiasse l’equilibrio naturale di quella foresta. Ciononostante, presto si stupì della quantità di piante raccolte e si convinse che non avrebbe avuto bisogno di andare oltre con la sua ricerca: aveva trovato tutto quello di cui necessitava e in quantità sufficienti per mesi. Consumò il pane e il formaggio che si era portato con sé e decise di ritornare verso casa con largo anticipo.
Osservò il sole prima di rientrare nella foresta e realizzò che era appena passata la seconda ora del pomeriggio, quindi si stupì ancora di più quando rivide lo scintillare freddo della brina nel bosco, dove l’aveva intravista alcune ore prima. Ben presto lo stupore lasciò spazio alla curiosità e si precipitò a vedere quello spettacolo da vicino: non c’erano dubbi, era brina quella che vedeva davanti ai propri occhi; ne prese un po’ in mano e la vide sciogliersi sul suo palmo e d’improvviso sparire. Alzò gli occhi e di fronte a sé ne vide ancora, un’altra chiazza, poco più avanti nel bosco, brillava come la prima, quasi fossero diamanti disseminati tra le radici delle latifoglie centenarie di quel bosco. Seguì con lo sguardo e vide altri bagliori venire da lontano, più tenui e nascosti, che sembravano proseguire inequivocabilmente in una direzione, come una traccia nella foresta. Si sentì combattuto, forse avrebbe fatto meglio a tornare a casa e dimenticare quel bizzarro fenomeno, ma in cuor suo sentiva di voler sapere: il mistero, il fascino dello sconosciuto, la bellezza dell’avventura, quanto più bramava da anni.
Seguì quella traccia con il cuore che batteva sempre più forte, non sapeva che cosa avrebbe trovato alla fine di quella scia di cristallina bellezza, non sapeva neppure se avesse una fine, ma ormai voleva scoprire e con sorpresa vide davanti a sé la foresta finire e, verticale di fronte ai propri occhi, salire la roccia bianca e liscia della montagna. Si sentì improvvisamente sconfortato e deluso: aveva pregustato qualcosa di magico, qualcosa di diverso dall’ordinarietà della sua vita. Forse era stata la sua immaginazione, fomentata dalle ore sotto il sole, o forse aveva smosso qualche pianta che non avrebbe dovuto toccare. Qualunque fosse la risposta, un forte senso di tristezza lo prese quasi inaspettatamente, di colpo il cuore sembrò smettere di battere e con fare malinconico toccò la pietra liscia e fredda che si mostrava di fronte ai suoi occhi.
«Sono ancora bloccato qui» si sorprese a sussurrare, come se fino a quel momento avesse sperato che quel mistero l’avrebbe condotto lontano, al di là di quella barriera tanto bella quanto crudele che quelle montagne erano diventate per lui.
Si era rassegnato ormai, quando rientrando nella foresta gettò un ultimo sguardo alla parete alle sue spalle. Come aveva fatto a non notarla prima? Era lì che brillava, leggermente nascosta ma visibile, una nuova traccia, una nuova speranza. Preso com’era dalla visione immensa di quella parete che si stagliava verso il cielo, non aveva notato una rientranza tra le rocce, una fessura nascosta ma grande abbastanza per infilarcisi: da lì usciva la stessa luce argentea che tremolando l’aveva portato fino a quel punto. Doveva entrare.
Gli ci volle un po’ perché la vista si abituasse all’oscurità. Aveva dovuto lasciare la gerla e il prezioso contenuto all’ingresso di quell’anfratto o non sarebbe riuscito a entrarvici e ora, anche se lo spazio si era allargato, riusciva a malapena ad avanzare. Temeva di rimanere bloccato là sotto, ma ormai sapeva di non poter tornare indietro. Quasi trattenendo il respiro in attesa di una risposta, avanzò per un tempo indecifrabile, pochi secondi o un’intera giornata: tutto perse un riferimento quando vide di fronte a sé un cristallo gigante sbucare dalla roccia ai suoi piedi. Era perfettamente liscio, come se un artigiano lo avesse lavorato per secoli, e brillava di un tenue azzurro che gli illuminava il volto e la grotta tutta. Non sapeva cosa pensare: nulla del genere compariva nei suoi libri di storia, quello non poteva essere vero. Allungò la mano sinistra e gli sembrò di vedere la luce pulsare, quindi di colpo si fermò.
Poi, senza pensarci, ruppe l’attesa e appoggiò il palmo sulla superficie della gemma e la sentì fredda sotto la pelle. Era un freddo innaturale, più profondo di quello di un metallo, come fosse ghiaccio. Ne ebbe paura e provò a ritrarre la mano, ma sentì la pelle incollata e fu preso dal panico. Provò a urlare e a tirare più forte, ma non c’era verso di staccare la pelle da quel cristallo. Estrasse il pugnale che aveva alla cintura con la mano destra, ma in quello si sentì gelare il sangue e l’arma gli cadde.
La luce della gemma si era concentrata attorno alla sua mano, rendendo difficile mantenere lo sguardo su di essa; presto con spavento vide le proprie unghie farsi azzurre e piano piano sentì il freddo scorrergli nelle vene: le vide illuminarsi di un azzurro evanescente, liquido e brillante, che sembrava lentamente fluire dalla gemma al proprio sangue e da lì diffondersi. Si tirò su la manica della casacca e con orrore vide il flusso farsi strada per l’avambraccio e poi raggiungere la spalla. Ben presto avrebbe raggiunto il cuore e iniziò a temere il peggio.
Sentiva il getto freddo scorrere e attraversare il corpo come un torrente in piena su un letto asciutto.
Trattenne il respiro capendo che sarebbe stata una questione di istanti. Poi accadde.
Il gelo si riversò nel suo cuore e di colpo ci fu un’esplosione di luce: durò poco più di un attimo, la gemma si spense e Vanel si staccò da essa confuso e disorientato. Non c’erano bruciature sulla sua mano, né segni del passaggio di quel flusso nel suo corpo, ma al collo pendeva un ciondolo dello stesso materiale della gemma. Al suo collo brillava una stella di ghiaccio.
Fani Pislor (proprietario verificato)
Racconto coinvolgente, non smettere sti mai di leggere… Aspetto il seguito.
Samantha Grandotti (proprietario verificato)
Una storia che, non ci sono dubbi, farà felici gli amanti dell’high fantasy classico, presenta tutti gli elementi che un racconto epico deve possedere: lotta tra bene e male, magia, personaggi appartenenti a varie razze fantastiche e un mondo geograficamente ben delineato. Il tutto strizzando l’occhio a un capostipite illustrissimo come il Signore degli Anelli ma con una dolcezza e un sapore che riporta alle antiche fiabe. Il punto di forza di questo libro é la scrittura, che ho apprezzato molto: la prosa é scorrevole, le descrizioni sono puntuali e precise sia delle ambientazioni sia delle scene di azione, senza risultare mai noiosa, anzi sostenendo una trama ben strutturata e avvincente. Vanel e Margery sono i protagonisti e si completano a vicenda: tenero e insicuro lui, determinata e risoluta lei. I personaggi secondari restano un po’ più sfocati ma trattandosi di un primo volume di una saga ci sarà sicuramente modo in futuro di apprezzarne una caratterizzazione più approfondita.
Giulia Borzumati (proprietario verificato)
Ero già stata attratta dall’anteprima, ma la lettura dell’intero libro mi ha conquistata! Un fantasy con tutti i dettagli che servono, un potere descrittivo che ricorda le ispirazioni di Tolkien. L’Ultimo Custode mi è davvero piaciuto: da Vanel che fa il suo ingresso come una persona comune, spaventata è anche un po’ “addormentata”, com’è realistico che sia, e poi evolve e diventa davvero adulto; all’avventura di Narg e Margery, due personaggi interessantissimi a cui si rimane attaccati, ai cattivi ben costruiti e alle creature che si incontrano nel percorso. Lo consiglio per immergervi in un mondo del tutto nuovo e vivere un’avventura favolosa. Complimenti per la splendida scrittura, non scontata in un autore emergente! Ora però restiamo in fervida attesa del secondo libro!!
Assolutamente consigliato
Monica.A
Un libro davvero suggestivo, che vi rapirà dalla prima pagina! Sono rimasta molto colpita da questa lettura, la trama e i personaggi sono pazzeschi e per nulla scontati… Impossibile non rimanerne incantati! Consiglio questo libro per gli amanti del genere fantasy e non, proprio perché Giulio con la sua scrittura riuscirà a farvi emozionare e a desiderare ardentemente un sequel!
Alessia Agostinis (proprietario verificato)
Un fantasy che vi trasporterà in un mondo incredibile, popolato da personaggi carismatici e a tutto tondo. La trama, intrigante e ricca di colpi di scena, vi terrà sulle spine fino alla fine, e a lettura terminata l’unica cosa da dire sarà “Voglio vivere altre avventure nelle Terre Conosciute!”
michelegaloppini (proprietario verificato)
Un libro che consiglio vivamente, quantomeno a tutti gli amanti del genere Fantasy (ma non solo). Forse un racconto Fantasy che esula da ciò che generalmente si considera come tale, anche grazie al protagonista; uno di noi. Non è l’eroe impavido, il cavaliere senza macchia e senza paura, il superman implacabile o il “protagonista alfa”. È un protagonista che si descrive più nelle sue debolezze, nei suoi pensieri e nelle sue introspezioni, nelle sue paure e nella scoperta di se stesso più che del mondo. È un protagonista che permette ai lettori di appassionarsi ai tanti personaggi secondari, impropriamente secondari in quanto estremamente centrali perché imprescindibili. Ecco, è il gruppo – la rete che si crea nel trascorrere del tempo – il vero Eroe di questo racconto. Tutti sarebbero fini a loro stessi se non si completassero con gli altri protagonisti. E nonostante ciò, ci si appassiona al “disgraziato” Vanel, vittima degli eventi che lo hanno portato a fulcro e naturale beniamino del lettore (sebbene talvolta, l’unico pensiero naturale sia “oddio, cosa stai combinando?!”).
Martina Steffinlongo (proprietario verificato)
Non sono un’amante del genere fantasy, anzi, eppure “L’ultimo custode – La stella di ghiaccio” mi ha catturata: i personaggi coinvolgenti, la trama intricata, i colpi di scena…non vedo l’ora di scoprire come va a finire!
Francesca Agostinis (proprietario verificato)
Come fan dei libri fantasy non posso che consigliare a tutti gli amanti di questo genere di leggere “L’ultimo custode – la stella di ghiaccio”. Ho avuto l’onore di poterlo leggere in anteprima e subito averlo finito, ho pensato solo: “Voglio un sequel!”
Una storia coinvolgente, paesaggi suggestivi, uomini, elfi, nani, insomma sembra già il giusto mix per un buon libro. Ma dare il quid in più a questo libro è la grande creatività e capacità descrittiva di Giulio Gasparin: scrittore di talento e grande amico.
Magari sono di parte, ma dico solo questo: leggendolo ho avuto le stesse emozioni di quando per la prima volta sono entrata nella “Terra di Mezzo”.
Antonio Francabandiera (proprietario verificato)
Avete presente quando siete presi da un film e dal divano esclamate “no non farlo!” Oppure “ma che faiiiiii?! Non di lá” o cose simili? Bene, mi è successa la stessa cosa leggendo L’ultimo custode, quindi vuol dire che è un libro che merita, che si lascia leggere, che appassiona e che trasporta il lettore quasi fino alle spalle di Vanel o Margery per aiutarli.
Consigliato al 100%
Ps: #TeamMargery
daldon.ema (proprietario verificato)
Riuscire a entrare in empatia con i personaggi e affezionarsene (nel bene e nel male…) non è cosa semplice, ma in questo romanzo succede ed è quello che più adoro della letteratura!
La curiosità di sapere quale destino spetta a Vanel (ma anche e forse più ad altri personaggi, la coppia di elfi Tohrahn e Jahmlihm ad esempio è stata la mia preferita!) cresce sempre più pagina dopo pagina e quasi mai il destino che gli spetta è il più prevedibile, anzi…….
Consigliato!