Prologo
Milano, 24 gennaio 2020
Quella mattina il sole sembrava spento e, nella camera da letto di Stella, una flebile luce grigia riusciva a malapena a penetrare i fori delle tapparelle abbassate e a proiettarsi sul muro. Erano quasi le otto, ma la luce fuori sembrava quella delle sei del mattino, tipica delle piovose e tristi giornate invernali, anche se Milano ha quasi tutto l’anno quel velo di malinconia che l’avvolge. Niente a che vedere con il suo paese natale in Puglia, dove la luce, anche d’inverno, è sempre tanto calda da dipingere albe e tramonti da togliere il fiato.
Nonostante Stella si fosse trasferita lì da quasi cinque anni, ancora non riusciva a entrare in sintonia con i ritmi della grande metropoli lombarda. Quella mattina anche la sveglia non voleva fare il suo dovere e decise di non suonare. Stella era così immersa nel suo piumone con gli orsacchiotti, che quel letto, anzi un po’ tutta la stanza, sembrava una di quelle bancarelle di abiti usati che spesso si vedono al mercato.
Nessuno avrebbe mai pensato che sotto a quel groviglio di piume d’oca e lenzuola ci fosse una bella ragazza di trent’anni. Se qualcuno dei suoi spasimanti avesse avuto l’ardire di sollevarlo, sarebbe rimasto deluso. Stella dormiva con un brutto pigiamone di flanella infeltrito, con le apine ricamate che le coprivano ogni curva, insieme a dei bei calzettoni infilati sui pantaloni per far sì che di notte non le si scoprissero le caviglie. E i pantaloni del pigiama, a loro volta, erano infilati sulla maglietta e tirati su quasi fino al seno.
Il tutto dipingeva un quadro diversissimo dall’immagine che si era costruita nella Milano da bere. In giro per locali, spesso spiccava con quelle minigonne mozzafiato e Louboutin che esaltavano le sue gambe slanciate; e le camicie morbide e trasparenti che adorava indossare calamitavano gli sguardi degli uomini sulla sua terza di seno naturale. Le piaceva molto proiettare un’immagine sexy, perché in una città competitiva come Milano bisognava sfoderare le armi migliori per emergere.
In quella camera da letto, però, era sola e lontana da occhi indiscreti, e si sentiva libera di coprirsi perché soffriva tremendamente il freddo. In fondo era una ragazza semplice, ma aveva una grande determinazione. Si era laureata con lode in Lettere e Filosofia all’Università di Bari, e aveva conseguito un master in Editoria, Giornalismo e Management culturale presso la Sapienza di Roma. Era preparatissima e i suoi eccellenti voti le avevano aperto le porte della casa editrice Della Luna.
Il suo primo giorno a Milano non era stato molto diverso dalla famosa scena del film Totò Peppino e la malafemmina. Le era bastato poco per capire che se voleva avere successo, doveva cambiare abbigliamento e attitudini.
E aveva funzionato.
Continua a leggereQuella mattina, però, alle nove ci sarebbe stata una riunione importante con l’editore, e lei, ancora a letto, rischiava di far crollare il castello di carte che si era creata con fatica. La signora Caterina Della Luna, acida e permalosa, doveva fare i conti col fatto che da quando suo padre, Ettore Della Luna, le aveva lasciato il comando della casa editrice, nessun libro pubblicato era entrato in classifica. Situazione che la metteva in ansia perché in quella classifica spesso i libri pubblicati da suo padre non solo ci entravano di diritto, ma restavano ai primi posti per mesi.
La riunione di quella mattina era vista dall’intero staff di redazione come una sorta di resa dei conti, ma Stella era ancora a letto con la bocca aperta e immersa in un sonno profondo.
Solo lo spalancare della porta di Tilde, la sua coinquilina, un’infermiera che in quel momento smontava dal turno di notte, riuscì a svegliarla. «Sei ancora a letto? Ma oggi non avevi una riunione importante?»
Stella sobbalzò come se avesse ricevuto un secchio di acqua gelata in pieno viso. «Che ora è???» gridò prima di cadere dal letto nel tentativo di alzarsi. Le lenzuola erano diventate dei cordoni che le avevano bloccato le gambe.
L’orologio appeso al muro segnava le otto e sette minuti, e quando Stella realizzò che in meno di un’ora avrebbe dovuto lavarsi, truccarsi, vestirsi, ma soprattutto attraversare tutta la città e arrivare in ufficio alle nove precise, in tempo per la riunione più importante dell’anno, sentì il suo cuore accelerare e la temperatura del corpo aumentare. «È tardissimo, ho la riunione, merda!» Cercò di districarsi tra le lenzuola arrotolate nel tentativo di togliersi quell’orrendo pigiamone, ma la fretta non è mai amica e così inciampò nel groviglio che aveva creato, cadendo rovinosamente ai piedi di Tilde.
Una volta rialzatasi, cercò qualcosa da indossare afferrando dall’armadio tutti i suoi vestiti in una volta sola, aggiungendo così disordine al disordine; e nel muoversi come una pallina da tennis, con un gesto automatizzato e inconsapevole, afferrò anche il suo cellulare dal comodino: «Cazzo, è spento!».
«Ecco perché la sveglia non ha suonato,» le spiegò ironicamente Tilde «lo sai che se il cellulare è scarico, la sveglia non funziona.» A volte le sembrava di avere a che fare con un figlio adolescente sbadato.
«Si sarà scaricato durante la notte» ipotizzò Stella mettendolo sotto carica e notando che dalla casa editrice l’avevano già chiamata ben dieci volte.
Tilde la rimproverò, come sempre, di comportarsi troppo da ragazzina, perché andava a letto sempre tardi, non volendo perdersi nessuna delle feste più esclusive.
«Sì, ma questa volta non è andata come pensi…» rispose Stella mentre cercava di fare pipì il più velocemente possibile. «Dovevo leggere il manoscritto di un esordiente che mi ha sconvolto.»
«Addirittura, e perché?»
«Sai, quei romanzi distopici con la solita lotta tra il Bene e il Male…»
«Ma ti ha sconvolto in positivo?»
Quella domanda scatenò in Stella un piccolo brivido, quello che provava quando intuiva che il romanzo che aveva tra le mani meritava la pubblicazione. Ma quel flebile fuoco si spense appena ricordò il genere del manoscritto. Sapeva che difficilmente la casa editrice in cui lavorava avrebbe pubblicato un romanzo di quel tipo. Migliaia di libri simili erano già in commercio, erano nati soprattutto dopo il 2012, anno in cui i Maya avevano previsto la fine del mondo. Nel tentativo di sfruttare l’onda mediatica di quella profezia, tante case editrici li avevano pubblicati provocando così la saturazione del mercato.
«Di cosa parla?» insistette l’amica, non avendo ricevuto risposta.
Il respiro di Stella per un attimo si fermò, mentre guardava Tilde dal riflesso dello specchio in bagno. Uno strano e cupo presentimento annebbiò per un istante la sua mente: la profezia di cui parlava il manoscritto non si riferiva a una catastrofe come l’improbabile collisione di un asteroide con la Terra, l’eruzione di un super vulcano, o l’inversione dei poli, ma accennava a una fine del mondo molto più plausibile; e se si fosse realizzata, avrebbe coinvolto proprio la sua amica in prima persona.
«Allora, di cosa parla?»
«Della fine del mondo.» Stella cercò così di spegnere l’argomento, perché aveva paura di spaventare Tilde. Poi prese il portatile dalla sua scrivania. Era in standby e quando lo attivò prima di spegnerlo e riporlo nel suo zainetto, lo sguardo di Tilde cadde sul titolo del file ancora aperto sul desktop.
«L’ultimo profeta.»
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