Quella mattina il sole sembrava spento e, nella camera da letto di Stella, una flebile luce grigia a mala pena riusciva a penetrare i fori delle tapparelle abbassate e a proiettarsi sul muro. Erano quasi le otto, ma la luce fuori sembrava quella delle sei del mattino, tipica delle piovose e tristi giornate invernali, anche se Milano ha quasi tutto l’anno quel velo di malinconia che l’avvolge. Niente a che vedere con il suo paese natale in Puglia, dove la luce anche d’inverno è sempre tanto calda da dipingere albe e tramonti da togliere il fiato. Nonostante Stella si fosse trasferita da quasi cinque anni lì, ancora non riusciva a entrare in sintonia con i ritmi della grande metropoli lombarda. Quella mattina anche la sveglia non voleva fare il suo dovere e decise di non suonare. Stella era così immersa nel suo piumone con gli orsacchiotti che alla vista, quel letto, anzi un po’ tutta la stanza, sembrava una di quelle bancarelle di abiti usati che spesso si vedono al mercato. Nessuno avrebbe mai pensato che sotto quel groviglio di piume d’oca e lenzuola ci fosse una bella ragazza di trent’anni. Se qualcuno dei suoi spasimanti avesse avuto l’ardire di sollevare quel piumone, sarebbe rimasto deluso.
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Stella dormiva con un brutto pigiamone di flanella infeltrito con le apine che le coprivano ogni tipo di forma insieme a dei bei calzettoni messi sui pantaloni per non far sì che di notte si scoprissero le caviglie. E i pantaloni del pigiama, messi sulla maglietta e tirati su quasi fino al seno, dipingevano un quadro diversissimo dall’immagine che si era costruita nella Milano da bere. In giro per locali spesso spiccava con quelle minigonne mozzafiato e Louboutin che esaltavano le sue gambe slanciate; le camicie morbide e trasparenti che adorava indossare calamitavano gli sguardi degli uomini sulla sua terza di seno naturale, merito soprattutto dei suoi trent’anni. Le piaceva molto proiettare un’immagine sexy, perché in una città competitiva come Milano bisognava sfoderare le armi migliori per emergere. In quella camera da letto, però, era sola e lontana da occhi indiscreti e si sentiva libera di coprirsi perché soffriva tremendamente il freddo.
In fondo era una ragazza semplice, ma aveva una grande determinazione. Si era laureata in Lettere e Filosofia con lode a Bari e aveva conseguito un master in Editoria, Giornalismo e Management culturale presso la Sapienza di Roma. Era preparatissima e i suoi eccellenti voti le avevano aperto le porte della casa editrice Della Luna. Il suo primo giorno a Milano, non era stato molto diverso dalla scena del film Totò Peppino e la malafemmena. Le era bastato poco per capire che se voleva avere successo, doveva cambiare abbigliamento e attitudini. E funzionò.
Quella mattina, però, alle nove c’era una riunione importante con l’editore della casa editrice e lei, ancora a letto, rischiava di far crollare il castello di carte che si era con fatica creata. La signora Caterina Della Luna, editore acido e permaloso, doveva fare i conti col fatto che da quando suo padre, Ettore Della Luna, le aveva lasciato il comando della casa editrice, nessun libro pubblicato era entrato in classifica. Situazione che la metteva in ansia perché in quella classifica spesso i libri pubblicati da suo padre non solo ci entravano di diritto, ma spesso erano ai primi posti per mesi. La riunione di quella mattina era vista dall’intero staff come una sorta di resa dei conti e Stella era ancora a letto con la bocca aperta e immersa in un sonno profondo. Solo lo spalancare della porta di Tilde, la sua coinquilina, un’infermiera che in quel momento smontava dal turno di notte, riuscì a svegliarla.
«Sei ancora a letto? Ma oggi non avevi una riunione importante?»
Stella sobbalzò come avesse ricevuto un secchio di acqua gelata in pieno viso.
«Che ora è?» gridò prima di cadere dal letto. Le lenzuola erano diventate cordoni che le avevano bloccato le gambe.
L’orologio appeso al muro segnava le otto e sette minuti, e quando Stella realizzò che in meno di un’ora avrebbe dovuto lavarsi, truccarsi, vestirsi, ma soprattutto attraversare tutta la città e arrivare in ufficio alle nove precise, in tempo per la riunione più importante dell’anno, sentì il suo cuore accelerare e la temperatura del suo corpo aumentare.
«È tardissimo, ho la riunione, merda». Cercò di districarsi tra le lenzuola arrotolate nel tentativo di togliersi quell’orrendo pigiamone, ma la fretta non è mai amica e inciampò nel groviglio che aveva creato cadendo rovinosamente ai piedi di Tilde.
Una volta in piedi cercò qualcosa da mettere prendendo dall’armadio tutti i suoi vestiti, aggiungendo disordine al disordine e, nel muoversi come una pallina da tennis, con un gesto automatizzato e inconsapevole, prese il suo cellulare dal comodino: «Cazzo è spento».
«Ecco perché la sveglia non ha suonato» le rimproverò Tilde «lo sai che se il cellulare è spento la sveglia non funziona». A volte le sembrava di avere a che fare con un figlio sbadato.
«Si sarà scaricato durante la notte» disse Stella vedendo che, mettendo sotto carica il cellulare, dalla casa editrice l’avevano chiamata ben dieci volte.
Tilde spesso le rimproverava di comportarsi troppo da ragazzina, ritirandosi sempre tardi per partecipare alle feste più esclusive.
«Sì, ma questa volta non è stato per divertimento come pensi» rispose Stella mentre cercava di fare pipì il più velocemente possibile. «Dovevo leggere un manoscritto di un esordiente che mi ha sconvolto».
«Addirittura, e perché?»
«Sai, quei romanzi distopici con la solita lotta tra il bene e il male…»
«Ma se ti ha sconvolto forse è buono?»
Quell’affermazione spontanea di Tilde fece scatenare in Stella il piccolo brivido che le veniva spesso quando intuiva una buona idea da far pubblicare, ma quel flebile fuoco si spense ricordando il genere del manoscritto. Sapeva che difficilmente la casa editrice in cui lavorava avrebbe pubblicato un romanzo di quel tipo. Migliaia di romanzi simili erano in commercio, nati soprattutto dopo il 2012, anno in cui i Maya avevano previsto la fine del mondo e, nel tentativo di sfruttare l’onda mediatica di quella profezia, tante case editrici avevano pubblicato libri sull’argomento provocando la saturazione del mercato.
«E di cosa parla questo romanzo?».
Il respiro di Stella per un attimo si fermò mentre guardava Tilde dal riflesso dello specchio in bagno. Uno strano e cupo presentimento annebbiò per un istante la sua mente. Quella ipotetica profezia non si riferiva a una catastrofe tipo l’improbabile collisione di un asteroide con la Terra, l’eruzione di un super vulcano, o l’inversione dei poli, ma accennava a una fine molto più plausibile e se si fosse realizzata avrebbe coinvolto proprio la sua amica in prima persona.
«Allora…di cosa parla?»
«Si parla come in tanti altri romanzi della fine del mondo».
Stella cercò così di spegnere l’argomento, perché aveva paura di spaventare anche Tilde. Prese il portatile dalla sua stanza. Era in standby e quando lo riavviò prima di spegnerlo e riporlo nel suo zainetto, lo sguardo di Tilde cadde giusto sul titolo sul file ancora aperto sul desktop.
«L’ultimo profeta».
«A quanto pare questo autore avrebbe predetto l’inizio della fine del mondo nel 2020».
«Addirittura. E come finirebbe in questa storia?»
Stella era riluttante nel rispondere ma Tilde era troppo curiosa e, forse anche per esorcizzare il turbamento che quel romanzo le aveva provocato, decise di sbottonarsi.
«Secondo questo autore tutto inizierà con un virus sconosciuto che si trasmetterà come un’influenza e sterminerà milioni di persone, scatenando una vera pandemia mondiale».
«Il Coronavirus cinese?»
«Che cos’è?»
«Quel virus che sta provocando migliaia di contagi e centinaia di vittime in Cina».
«Va beh, come tutti gli anni» sminuì ancora Stella «si fermerà lì, oppure ci saranno numeri bassi come fu per l’aviaria».
«E se avesse ragione? In ospedale stiamo avendo un aumento di polmoniti sospette».
«Dai, ora non ti fissare con questa cosa. È ovvio che l’autore di questa storia, valutando la psicosi che si creò dopo la SARS e il virus H1N1, ha ipotizzato che ce ne sarebbe stato un altro ma alla fine anche questo verrà presto ridimensionato».
Tilde, rovistando nella sua borsa tirò fuori una mascherina chirurgica e gliela porse.
«Dimmi che stai scherzando!»
«Non si sa mai».
«Io quella non me la metterò mai».
Lo squillo del cellulare di Stella interruppe la conversazione.
«Ci vediamo stasera» disse a Tilde prima di chiudere la porta dietro di sé e rispondere al cellulare.
La canzone Fenomeno di Fabri Fibra, suoneria del suo smartphone, quasi era arrivata alla fine visto che da l’altro capo chi la cercava insisteva fino all’ultimo squillo. Era già in ritardo e questa insistenza generava ancor più ansia in Stella che scendendo le scale rispose: «Lo so… tranquilla sto arrivando».
E senza dare il tempo all’interlocutore di rispondere, chiuse.
Capitolo 1
«Ha chiuso» disse sorpresa Eli.
«Almeno ha risposto».
Gloria, preoccupata del ritardo di Stella, aveva chiesto a Eli di attaccarsi al telefono finché non avesse risposto. Lei, che era lì solo per finire le sue duecento ore di stage, finalmente si sentiva utile alla causa e aveva preso quella richiesta come fosse un importante compito da cui dipendeva il futuro dell’intera casa editrice.
«E cosa ha detto?» chiese Gloria mentre continuava a sistemarsi il trucco seduta, con le gambe accavallate, all’enorme tavolo di vetro della sala riunioni.
«Ha detto: “Sto arrivando”».
«Sistema tutto prima che arrivi quella rompiscatole di Beatrice. Oggi sarà una giornata di quelle che non dimenticheremo per molto tempo. Dio mio, guarda che occhiaie! Le riunioni prima delle undici dovrebbero essere vietate dalla legge».
Eli ammirava Gloria, ne era assoggettata. Lavorare al suo fianco, nutrirsi della sua ormai ventennale esperienza nel mondo dell’editoria, era ciò che meglio le potesse accadere, ma non era facile stare al passo. Ne ammirava molto anche la sfrontatezza e il pragmatismo e non da meno apprezzava la sua simpatia.
«Oggi conoscerai il nostro editore, la signora Caterina Della Luna» continuò Gloria cercando di nascondere con il trucco la notte brava che di sicuro aveva trascorso.
«Davvero?» Eli deglutì. Da quando era lì non l’aveva mai vista partecipare a una riunione. Significava che c’era qualcosa di grosso in ballo.
«Oggi, cara, imparerai molte cose sul mondo dell’editoria».
«Una vera occasione!»
«Sì, per capire che sarebbe meglio cambiare mestiere».
Eli non cadde nella trappola di rispondere a quella frecciatina, perché sapeva che qualunque cosa avesse detto, le si poteva ritorcere contro. L’aveva capito purtroppo a sue spese.
Il rumore della porta di vetro, che si apriva con veemenza, anticipò l’entrata di Beatrice, il capo redattore, e il respiro di Eli si fermò per un attimo percependo l’agitazione che la ricopriva come un’aura malefica. La tensione, dopo l’ingresso impetuoso di Beatrice, si alzò come una nebbia e invase l’intero ambiente, appannando anche i vetri e nascondendo l’intero panorama di Milano che si godeva dalla stanza.
«Buongiorno, signora Fontana» esordì Eli come presa da un riflesso incondizionato.
«Non sarà un buon giorno, non lo sarà di sicuro» rispose Beatrice lanciandole la vecchia borsa da lavoro in cuoio marrone, in modo da mettere bene in chiaro che lei era il capo.
Eli avrebbe voluto lanciarla dalla finestra, ma doveva fare buon viso a cattivo gioco e quindi si sforzò di essere gentile.
«Beatrice, sei più agitata del solito» le disse Gloria continuando a truccarsi come se nulla fosse.
Il suo atteggiamento nei confronti di Beatrice non era di scortesia, ma anzi quello di due amiche che si conoscevano benissimo e che non avevano bisogno di convenevoli. Avevano iniziato insieme a lavorare per quella prestigiosa casa editrice, e ognuna conosceva i pregi e i difetti dell’altra. Gloria sapeva quanto Beatrice fosse precisa, ma soprattutto ansiosa, e ormai sapeva come prenderla per farla calmare. Eli invece era impietrita perché mai si era trovata ad assistere a un momento teso come quello.
«È arrivata?» chiese Beatrice guardandosi attorno agitata sempre più.
«È arrivata chi?»
«Lei».
«La signora Della Luna?» chiese Eli.
«Certo, stiamo per caso aspettando qualcun altro? Sono agitata, stanotte non ho dormito affatto. Mi dite l’orario per favore?».
«Sono le nove». Eli si sentiva come un pretesto per scaricare l’ansia.
«Lo sento sta per arrivare. Stella dov’è?».
«È in ritardo come al solito» si intromise Gloria facendo trasparire le solite scaramucce tra colleghi mista a scontro generazionale e – perché no – in quella frase c’era una po’ della classica gelosia tra belle donne. D’altronde Stella era carina e soprattutto giovane, mentre Gloria aveva dovuto ricorrere alla chirurgia estetica per frenare l’effetto del tempo sul suo fisico.
«Questa è sempre con la testa tra le nuvole».
«Come tutti gli editor. Comunque penso sarà qui a momenti».
«A momenti? Deve essere qui ora». Beatrice gridò cominciando a camminare avanti e indietro nella stanza. «Siamo nei guai, lo sento. Ho cercato in tutti i modi di tenerla a bada, ma dopo l’articolo uscito su questa maledetta rivista…»
Il colpo sordo della suddetta rivista, sbattuta con tutte le sue forze sul tavolo di vetro, fece sobbalzare Eli che mai aveva assistito a una scena simile, né tantomeno si era trovata a vedere Beatrice così agitata. Gloria invece, abituata a gestire le ansie della collega, decise di posare i trucchi nella sua costosissima borsa per calmare la situazione.
«È andata su tutte le furie». Il labbro inferiore di Beatrice aveva ancora i segni dei denti che l’avevano morso nella rabbia sfogata nello sbattere quella odiosa rivista.
«Ma smettila, dai, non è la prima volta che ci attaccano».
«Lo so… Ma Stella quando arriva? Che ora è?»
«Sono le nove e cinque minuti» rispose Eli, sempre sul pezzo e sempre efficiente.
Beatrice chiedeva l’ora come fosse un tic nervoso, ma non ascoltava la risposta e questo atteggiamento creava una certa ansia in quella ragazzina timida che aveva anche paura di rispondere a una domanda così semplice.
«Arriva, sento il suo odore».
«Dai, calmati. Vuoi un caffè?» Più che per calmarla, Gloria cercava di aiutarla perché il suo atteggiamento la infastidiva.
«Sì, cara, grazie».
«Eli, prendi due caffè».
“Beh non fa una piega” pensò fra sé Eli. Chi avrebbe dovuto farlo se non lei, la sguattera dello studio?
«È quasi arrivata, la sento» continuò Beatrice con voce affannata.
«Tranquilla, ho chiesto ad Alfredo in portineria di avvisarmi appena la vedono arrivare».
«Che ora è? Ditemi l’orario per favore!»
«Sono le nove e sette minuti» le rispose Eli avendola sentita anche se era vicino al distributore.
L’aria diventava sempre più tesa.
Beatrice ormai aveva le palpitazioni e il terribile ritardo di Stella la rendeva ancor più nervosa. Era consapevole che quella non sarebbe stata la solita riunione dove confrontarsi sul risultato delle ultime pubblicazioni, o fare valutazioni su quelle future, in discussione c’era la stessa esistenza dell’intera casa editrice Della Luna che non stava attraversando un bel momento. Era consapevole delle enormi difficoltà in cui versava l’azienda e in parte se ne sentiva responsabile, doveva sfogare la sua frustrazione con qualcuno e il ritardo di Stella diventava nella sua mente una specie di ammutinamento e il fatto che Eli non riuscisse a contattarla, nonostante la stesse chiamando al cellulare di continuo, sì trasformava invece in un disinteresse alla catastrofe che stava per avvenire e cioè l’arrivo di Caterina.
«Ha detto che sta arrivando, non riuscivamo a rintracciarla perché aveva il telefono spento» disse Gloria sperando di riuscire a calmarla.
«Ecco, lo sapevo. Voi volete farmi venire un infarto, lo so. Mi volete vedere morta».
«Dai, calmati. Nessuno vuole vederti morta».
«Lo so, scusatemi, ma sono troppo nervosa».
Eli rientrò portando il caffè.
«Mi sa che più del caffè ti ci vorrebbe una camomilla»
«Stella ha detto che sta arrivando» disse Eli fiera e ad alta voce, come per ribadire che era stata lei a chiamarla.
«Chiamala di nuovo, vai tu a prenderla di persona, ma tra cinque minuti deve essere qui e ditemi, per favore, che ora è?» gridò ancora Beatrice.
«Le nove e nove minuti» rispose sempre Eli un po’ più fiera del suo ruolo adesso.
«Sarà l’apocalisse, la fine, la distruzione mia e della mia carriera nel mondo dell’editoria. Sta arrivando…»
«Sono le nove e dieci minuti». Eli anticipò la richiesta di Beatrice prendendo un po’ più di sicurezza.
«Non voglio sapere l’ora. Va’ a chiamare Stella, ti ho detto». Beatrice riprese il suo andare e venire per la stanza. Gesto che indisponeva sempre più la placida Gloria. «Questa poi, è il massimo della serietà. Arriva in ritardo, spegne il telefono e va sempre con la testa fra le nuvole».
«Ora prendi il caffè e fermati, mi fai girare la testa. In fondo Tiberio Giusti non è mai stato morbido con nessuno, e poi è una rivista di settore che leggiamo solo noi addetti ai lavori».
«Fatta anche male. Fogli troppo grandi, colori smorti… Sapete vorrei fare la grafica un giorno» intervenne Eli come cercando di entrare nel discorso e sottolineare le sue competenze.
Si creò un piccolo momento di silenzio, non era interesse per l’affermazione di Eli, ma la pace che anticipa la tempesta.
«Ma ti sembra questo il momento di parlarci dei tuoi sogni?» le urlò contro Beatrice, quasi a volerla prendere a schiaffi con le parole.
Eli non si aspettava una risposta del genere, né tantomeno Beatrice avrebbe voluto dire così a una che avrebbe potuto essere sua figlia, ma doveva vomitare tutta la sua frustrazione. Eli si sentì davvero piccola e inutile in quel momento, ma Gloria le venne in aiuto riportando l’attenzione sull’argomento principale.
«Dai, ha scritto solo fesserie come al solito».
L’esperienza accumulata con il mondo dei giornalisti, le aveva fatto conoscere e capire le regole del gioco e quindi sapeva che alcune cose bisognava scriverle per vendere. Gli articoli più belli da leggere erano proprio le critiche. Ma Beatrice si sentiva parte in causa. Anche se era solo la redattrice sentiva come se la casa editrice fosse sua. Era devota al suo lavoro e alla famiglia Della Luna. Era l’operaio più fedele e quindi prendeva tutto molto seriamente e sul personale. Leggeva quella rivista con rabbia e sdegno per chi aveva avuto il coraggio di scriverla, mentre Eli, poverina, era in lacrime, attenta a non farsi vedere.
«Queste le chiami fesserie?» Beatrice riprese la rivista stropicciata per le mille volte in cui l’aveva letta e sbattuta contro qualcosa. «Il mondo dell’editoria è in crisi» iniziò a leggere «ma non è colpa della letteratura, è colpa di chi dovrebbe pubblicarla, promuoverla, diffonderla, difenderla. Spesso mi sono scagliato con durezza su chi rinuncia a fare il proprio mestiere pensando al puro e semplice guadagno. Su chi pubblica carta stampata facendo concorrenza solo alle tipografie, su chi chiama Libro una serie di parole e frasi messe insieme. Questi editori rinnegano il proprio passato, la loro missione, il loro dovere. Tra questi spicca la prestigiosa – tra virgolette – casa editrice Della Luna che ormai da anni colleziona solo brutte figure. Anche quest’anno, nessun libro da loro edito ha raggiunto la classifica. Ma meriterebbe il primo posto per il maggior numero di insuccessi consecutivi, tra cui L’albero della pace, un penoso libro sulla guerra in Iraq. Un posto poco onorevole per la saccente…».
«Caterina Della Luna». Una voce austera continuò l’articolo interrompendo la lettura di Beatrice.
L’ambiente divenne di ghiaccio. Eli restò senza fiato, Beatrice per poco non svenne e Gloria si ricompose perché della spietata Caterina Della Luna aveva soggezione anche lei. Quella donna così importante, distaccata e quasi mitica, era lì in vestiti di grande sartoria italiana, con il suo piglio incazzato e la sua aura che spostava anche le sedie mentre camminava. Il tempo sembrò fermarsi in quell’istante, e la nebbia di tensione già presente sembrò diventare così pesante da bloccare tutti nella posizione precisa in cui erano.
«Erede indegna di un passato glorioso» continuò a leggere Caterina senza mai alzare lo sguardo «ormai purtroppo giunto alle battute finali. Siamo tristi per quegli alberi abbattuti e riempiti di inchiostro a servizio di una triste tipografia di alto livello, la Della Luna».
Tutto sembrava ovattato. Era come se tutti fossero sprofondati sul fondale degli abissi marini. Il silenzio generato da quelle parole, però, venne subito interrotto dal rumore della rivista sbattuta con forza per terra e calpestata con violenza da Caterina.
«Signora Della Luna». Servile, le si avvicinò Beatrice non prima di redarguire Gloria. «Ma Alfredo non doveva avvisarci?»
Gloria fece spallucce non capendo da dove Caterina fosse apparsa.
«Sono qui da ore, ormai».
«Lo dicevo che sentivo il suo odore. Tu, prendi subito dei caffè» ordinò a Eli, incapace di dire o fare alcun gesto.
Il tono di voce di Beatrice la fece scattare e corse di nuovo alla macchinetta.
«Nessuno l’ha vista entrare» sussurrò Gloria all’orecchio di Beatrice.
«Ero nell’ufficio di mio padre» continuò Caterina calcando la voce, mantenendosi ancora calma. «Stavo cercando di capire come facevate prima del mio arrivo a pubblicare libri che vendevano centinaia di copie. Forse i tempi sono cambiati? Forse non ci sono più grandi autori? Mi sono fatta tutte queste domande, ma non ho trovato nessuna risposta soddisfacente. E sì, perché se fosse colpa del lettore che non legge, se non esistessero più bravi autori, non si dovrebbero vendere libri come Le otto montagne, La vita in due, Ora e per sempre…».
Eli, che nel frattempo era tornata con i caffè e stava cercando di aprire una bustina di zucchero con le mani tremanti, sobbalzò quando sentì lo sbattere violento delle mani di Caterina sul tavolo. La bustina le cadde dalle mani.
«Tutti questi libri vendono migliaia di copie in confronto alla nostra punta di diamante L’albero della pace» sottolineò, sarcastica «che ha guadagnato così poco da “dispiacerci degli alberi abbattuti per stamparlo”. Ecco cosa scrivono». La sua rabbia sembrò un attimo scemare. «Allora ho capito che l’unica risposta degna è che la colpa è la vostra. Sì, di tutti voi che avete perso quella grinta, quell’intuito che ha fatto grande questa casa editrice». Una frecciatina diretta a Beatrice, che accusò il colpo. «Chi pubblica un libro sulla guerra in Iraq, ormai trita e ritrita? noi! Questa rivista purtroppo ha ragione. Per colpa vostra, questa casa editrice è finita con il culo per terra».
«Aaaaah!». Stella entrò in quel momento e scivolò sulla rivista che Caterina Della Luna aveva gettato a terra.
«Ecco, appunto» confermò Caterina sbuffando e sedendosi alla poltrona, scuotendo la testa.
«Non mi sono fatta niente». Stella con un balzo si sollevò da terra e, anche se aveva battuto il sedere, fece finta che tutto andasse bene. Quella scena fece calare un silenzio imbarazzante.
Gloria cercava in tutti i modi di trattenersi dal ridere. Beatrice invece, un po’ preoccupata un po’ nervosa, si avvicinò a Stella incredula della pessima figura che aveva fatto con tutto lo staff.
«Ma che combini? Sei in un ritardo pazzesco».
«Mi dispiace moltissimo» rispose Stella col suo modo spontaneo di parlare, accarezzandosi il gluteo destro per la botta presa.
«Ti abbiamo chiamata al telefono per ore» le rimproverò anche Gloria.
«Lo so, scusate. Si è spento il cellulare e non ha suonato nemmeno la sveglia».
Tutti la guardarono male, e l’imbarazzo di Stella era pari alla tensione che si stava vivendo. Nel silenzio generale, uno di quelli in cui non si sa proprio cosa dire per sdrammatizzare, Stella, che aveva sempre il vizio di tenere lo zainetto aperto, fece cadere l’intero contenuto per terra. Questo non fece altro che aggiungere imbarazzo a imbarazzo. Mentre si chinò a raccogliere portafogli, agendina, rossetto e assorbenti, Caterina, con lo sguardo fisso e in estremo silenzio, contemplava la scena penosa per poi voltare lo sguardo colmo di sdegno e delusione verso Beatrice, che incassò ancora una volta.
«Per favore ricomponiti» disse Beatrice a Stella che ormai, presa in un vortice di panico, colpì con il piede una sedia facendo un rumore pazzesco.
Solo in quel momento Stella, abbassando lo sguardo per la vergogna, si rese conto di aver messo due scarpe decolleté di due colori e modelli diversi. Con la sua solita nonchalance, nascose un piede posizionandolo nella piega del ginocchio opposto e per stemperare la situazione sfoggiò un finto sorriso. Nessuno aveva il coraggio di intervenire. Solo Caterina la guardò e con apparente calma le chiese: «È comoda ora?»
«Sì» rispose Stella più tranquilla e con il sorriso di chi non sa cosa sta per accadere.
«Bene, ora posso avere l’onore di capire lei chi cavolo è?»
«È Stella, la nuova editor» rispose Beatrice.
«Non l’ho chiesto a te» la bloccò subito Caterina. «Quindi lei è…?» si rivolse a Stella.
«Io?».
«Sì, lei».
«Sono Stella Gigantelli, la nuova editor».
«Ah, bene. Lei sarebbe l’editor della nostra casa editrice?» Caterina lanciò un’occhiataccia sarcastica a Beatrice.
«Sì» rispose Stella, orgogliosa, e con quella spensieratezza che inalberava ancor di più Caterina, che le gridò in faccia: «No!»
«N… no?»
«Non più. Esca da questo ufficio: è licenziata» le gridò Caterina alzandosi dalla sedia e indicando la porta.
«Ma no, Caterina, lei è la migliore in circolazione». Beatrice cercò di farla ragionare sapendo però di buttarsi in una missione impossibile.
«Figuriamoci come stanno messi gli altri. E sentiamo, lei sa almeno cosa fa l’editor?» interrogò Stella.
«Aiuta l’autore a esprimersi al meglio».
«L’editor sa tutto» disse alzandosi Caterina. «Dall’anno in cui è stata scoperta l’America alla formula chimica della polvere da sparo. È onnisciente. O almeno così sembra. In realtà è un ficcanaso malfidente, dubita di qualsiasi cosa e va a controllare tutto, anche quello che crede di conoscere già. Con gli anni avrà curiosato in talmente tante faccende che è meglio non sfidarlo nei cruciverba. Inoltre, avrà affinato un sesto senso, una specie di istinto da cacciatore, grazie al quale il naso comincia a prudergli in presenza di inesattezze. Peggiore è lo svarione, più il naso pizzica».
«Sono io» rispose fiera e orgogliosa Stella alzandosi dalla sedia.
«Cosa è lei?» le gridò Caterina. «Cosa! Lei non è in grado nemmeno di mettersi un paio di scarpe uguali».
Tutti notarono solo in quel momento la distrazione di Stella dovuta alla fretta.
«Ma Caterina, Stella è solo un po’ distratta!» cercò di intermediare Beatrice, sapendo di spostare la rabbia di Caterina su di sé.
«Qui l’unica distratta, cara Beatrice, mi sembri tu. Se sono questi i collaboratori di cui ti avvali, non mi meraviglia che siamo in queste condizioni».
«Noi ce la mettiamo tutta».
«Tutto non è abbastanza» tuonò Caterina ormai quasi senza voce. «Lo capite che certi attacchi non sono sostenibili? La figura la faccio io».
Stella, come a scuola, alzò la mano per fare una domanda ma Caterina, ormai furiosa, non se ne curò e continuò a sbraitare come una pazza.
«Io non posso e non voglio essere l’unica Della Luna a non aver pubblicato un libro di successo. L’unica a essere attaccata così sulle riviste. La Della Luna che infanga la mia prestigiosa famiglia».
Si accorse solo in quel momento della mano alzata e si infastidì. «Che vuole adesso? Perché è ancora qui?».
«Cristoforo Colombo era un marinaio genovese, finanziato dalla regina Isabella di Castiglia, scoprì l’America il 12 ottobre del 1492 pur non essendone consapevole. Amerigo Vespucci capì nel 1502 che Colombo aveva scoperto un Nuovo Mondo che nel 1507, venne chiamato appunto America. Dal nuovo continente scoperto iniziarono ad arrivare alimenti sconosciuti in Europa, oggi completamente integrati nella nostra alimentazione e stile di vita come: il mais, il cacao, i pomodori, le patate, il tabacco».
Si creò un silenzio strano. Beatrice voleva morire in quel momento. Eli si mise in un angolo e Gloria cercava sempre più di trattenere quella voglia incontenibile di ridere per la scena.
«E questo cosa c’entra adesso?» le chiese Caterina, incredula per un tale affronto.
«La composizione chimica della polvere nera, meglio conosciuta come polvere da sparo, è costituita da nitrato di potassio, carbone di legno e zolfo».
«L’avevo detto che è brava?» affermò orgogliosa Beatrice.
«Sa tutto ma non sa arrivare puntuale a una riunione importante?».
«È che riesco a concentrarmi solo sul mio lavoro e meno sulle mie esigenze».
«Come tutti gli editor ha la testa tra le nuvole» sottolineò Beatrice, capendo di riuscire pian piano a prendere posizione. «E si vede».
Ancora una volta tutti guardarono i piedi di Stella, che alla fine decise di togliere le scarpe. Caterina spostò la discussione su un’altra questione.
«Comunque il problema non lo risolviamo lo stesso» ribadì allora un po’ più calma Caterina. «Qui abbiamo solo due possibilità, o pubblichiamo a breve un best seller, o chiudiamo. E la seconda opzione non è contemplabile».
«Va bene, ma ora calmiamoci un po’ tutti. Ti abbiamo convocata appunto per questo». Gloria conosceva benissimo Caterina e sapeva che non aveva la stoffa del padre.
Per un po’, essendo quasi coetanee, erano state anche amiche, ma le voci di una relazione clandestina tra Gloria ed Ettore Della Luna avevano incrinato la loro amicizia. Caterina si era allontanata da quel mondo e dalla redazione per godersi la ricchezza e quindi adesso non aveva il piglio del padre e non sapeva essere una leader. Questa situazione stava affossando la casa editrice e Gloria, sapendo che forse quella rivista non avesse tutti i torti, intervenne sostituendosi a Beatrice che non riusciva più nemmeno ad articolare un pensiero, essendo per sua natura più propensa a eseguire un ordine che a prendere una decisione in quel caso molto ardita. Si avvicinò quindi alla lavagna con la sua solita sicurezza. Beatrice fece un sospiro di sollievo incrociando le dita.
«Sono mesi che pensiamo e ci arrovelliamo sulle possibili soluzioni per pubblicare un successo, perché è questo che ci manca come l’aria. Abbiamo pensato a molte soluzioni. La prima: contattare altre agenzie letterarie e vedere cosa ci propongono».
«Non capisco perché gli agenti, che hanno fatto ricco e potente mio padre con le loro proposte, a noi rifilano solo pacchi come con l’ultimo autore!»
«Infatti abbiamo cercato un’altra soluzione» sottolineò Beatrice.
«Abbiamo pensato a una seconda opzione e cioè di contattare personalmente qualche autore capace».
«Un libro su commissione?» Caterina era incredula.
«Era un’opzione, ma anche questa sapevamo non fosse perseguibile» ribadì ancora Beatrice nel tentativo di far capire a Caterina di lasciar continuare Gloria, ma con la consapevolezza di chi sta per finire le carte in mano.
«Quindi ci siamo detti: pensiamo fuori dagli schemi, troviamo un nuovo autore alla prima esperienza».
Eccola, la bomba, lanciata così. La classica mossa della disperazione. Tutti ora guardarono Caterina, preoccupati per la sua reazione.
«Un tuffo nel vuoto? Diciamo che si addice al momento».
«E invece no» la rassicurò Gloria. «Riceviamo migliaia di testi, tra quelli spediti per posta e quelli inviati direttamente sulla nostra casella postale, abbiamo l’archivio ormai stracolmo di manoscritti. Solo nell’ultimo anno, abbiamo ricevuto più di mille testi. Li conserviamo per non più di tre anni. Altrimenti avremmo troppi testi da valutare».
«Non abbiamo tutto questo tempo».
«Ma qui la tecnologia ci è venuta incontro. Eli».
«Io?» disse la ragazza, spaventata.
«In fondo l’idea è stata tua».
«No, no…».
«È la tua occasione» le sussurrò Gloria all’orecchio andandosi a sedere e lasciandola sola vicino la lavagna.
Effettivamente Eli aveva proposto un’idea per scovare con un algoritmo un romanzo di successo tra quei tre mila manoscritti e pareva aver funzionato, ma non pensava che sarebbe stata proprio lei a esporre l’idea. In fondo non era il suo compito, lei era solo una stagista, ma sapeva che certe occasioni non capitano due volte nella vita e quindi decise di tuffarsi, la voce tremante e le mani sudate.
«Bene, grazie…».
«E lei chi è?» chiese Caterina avendola notata solo in quel momento e guardandola con sufficienza dal basso verso l’alto.
«Elisabetta Sforza, la nuova stagista» disse Beatrice presentandola e guardando malissimo Gloria, sapendo che Caterina si sarebbe indisposta a sentirsi esporre un’idea da una semplice stagista, ma Gloria sapeva il fatto suo.
«Di bene in meglio» rispose Caterina. «Sentiamo, di che si tratta?»
Eli prese fiato e iniziò la sua spiegazione.
«Un nuovo software di catalocalizzazione».
«Catalocachè?».
«Un software che ci ha aiutato a stringere il cerchio» ribadì Beatrice in supporto a Eli. «Una novità che ci ha proposto Eli e che noi abbiamo accolto».
«Beh, certo, la mossa della disperazione» disse Caterina sminuendola. «Spiegatemi di cosa state parlando, che non ho molto tempo».
«In pratica si tratta di uno strumento studiato dalle agenzie pubblicitarie per scovare e carpire ciò che l’utente desidera in questo momento» disse Eli generando smarrimento in Caterina.
«Scusa, ma cosa c’entra con la pubblicazione di un libro? E poi tu come lo hai avuto questo catalizzatore?».
«È in commercio» rispose Eli prendendo sempre più sicurezza. «In pratica è quell’algoritmo che quando digitiamo per esempio macchina su un motore di ricerca, poi ti fa apparire tutte le pubblicità di autovetture sui social».
«Davvero possono fare questo?».
«Certo! Abbiamo preso questo software e lo abbiamo sfruttato per scovare il manoscritto che ha le più alte probabilità di diventare un best seller».
«Cioè?» Caterina era sempre più interessata.
«Abbiamo inserito tutti i file digitali dei testi nel nostro database e il software li ha classificati in base agli autori che lo hanno inviato, alle sinossi e a tante caratteristiche che contraddistinguono ognuno di essi».
«Sì, va bene, ma niente di particolare» disse Caterina snobbando quel duro lavoro costato fatica a tutto lo staff per mesi.
Eli comunque non si lasciò intimidire convinta del risultato che avrebbe ottenuto.
«Questo software ci dà la possibilità di inserire delle parole chiave che vogliamo escludere da ogni testo, o trovare nello stesso, così da restringere il cerchio».
«Quindi? Arrivate al sodo».
«Abbiamo iniziato inserendo quelle che non vogliamo e cioè argomenti che non tirano più…». Eli forse si era fatta prendere la mano e senza volerlo lanciò una frecciatina alla linea editoriale presa da Beatrice con l’ultimo libro pubblicato. Caterina non si fece sfuggire l’assist e lanciò uno sguardo sdegnato alla sua redattrice che, a sua volta, fulminò Eli, che si bloccò. Non riusciva più a parlare per lo scivolone che aveva preso, anzi forse aveva smesso anche di respirare. A quel punto intervenne in suo aiuto Gloria, che aveva vissuto parecchie volte situazioni del genere e quindi accumulato la giusta esperienza per superarle.
«Quindi inserendo la parola chiave che non volevamo trovare, il fantomatico software ha catalogato i testi che la contenevano e il numero di manoscritti da valutare è sceso a mille».
Caterina non disse nulla ma si percepiva che la cosa iniziava a interessarla. Gloria dette una gomitata a Eli che subito si riprese continuando il discorso.
«Il software ha poi generato la parola chiave che ci serviva, selezionandola tra le migliaia che vengono ritenute di interesse in questo periodo».
«Ritenute di interesse da chi?» chiese Caterina.
«Dalla rete».
Caterina a quel punto decise che era troppo e si alzò per andar via, delusa.
«Sentite, io non ho tempo da perdere».
«Una parola che non scriviamo e non leggiamo ma che è sempre presente nel sottotesto di tutte le ricerche che facciamo su internet quotidianamente» sottolineò Stella, prendendo il tempo giusto. «Una parola talmente potente da evocare in noi ricordi belli e nostalgici. Inconsciamente riceviamo l’istinto di leggerla e, se la dovessimo ritrovare nella quarta di copertina di un libro, ci spingerebbe a comprarlo, a discapito di un altro che magari non la contiene. Una specie di messaggio subliminale, un codice inserito all’interno della nostra mente».
«E quale sarebbe questa parola?» chiese Caterina ferma sull’uscio della porta.
«Momenti».
Inspiegabilmente quella parola provocò una sensazione strana in tutti i presenti, anche nell’animo della gelida Caterina che chiese: «Momenti?».
«È una parola potente» disse Stella, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla lavagna. «Ascoltandola la nostra mente l’associa a un momento felice, un momento triste, un momento magico. Un momento del passato: quello in cui ci siamo innamorati, in cui è nato nostro figlio, in cui dici “ce l’ho fatta”. I momenti sono istanti bloccati nel tempo e fissati indelebilmente nei nostri ricordi. I momenti vissuti hanno determinato il nostro presente e quelli che viviamo indicano il nostro futuro. Il nostro istinto di sopravvivenza ci spinge a immaginare che prima o poi vivremo un momento migliore di quello che stiamo vivendo oggi».
Ci sarebbe voluto un grande applauso ma nessuno osò. Gli occhi ora erano tutti su Caterina che tornò a sedersi ormai colpita da quelle parole. Il volto di Beatrice prese di nuovo colore.
«Okay, andate avanti» ordinò incuriosita Caterina.
«Quindi abbiamo inserito la parola che volevamo trovare» continuò Eli «e il software ha selezionato duecentocinquanta manoscritti».
Gloria sulla lavagna riportava tutte le cifre mentre Eli le sciorinava. Caterina iniziò a capire dove volevano arrivare.
«Abbiamo escluso quelli scritti molto male, è segno di completa incompetenza» disse Beatrice.
«Si può fare anche questa cosa anche senza leggere il manoscritto?» si chiese Caterina mostrandosi sempre più interessata.
«Certo che si può fare!» esclamò Eli, che adesso sentiva di avere almeno un’arma da sfoggiare: la conoscenza delle nuove tecnologie. «Il software questo lo può fare».
«E siamo a ottanta manoscritti» incalzò Gloria. «E non è tutto».
«Certo, abbiamo eliminato i testi troppo lunghi. E siamo scesi a quindici» ribadì Eli in un botta e risposta ottimista.
«Perché quelli troppo lunghi?» chiese Caterina.
«I libri un po’ più corti sono più vendibili» disse Gloria «se voglio comprare un bel mattone difficilmente lo comprerei se appartenesse a un autore esordiente. Non conosco il suo stile e non mi fido al primo impatto».
«Giusto» confermò Beatrice.
«E poi?» chiese Caterina.
«E poi ho letto scrupolosamente questi quindici testi» intervenne Stella «cercando una storia vera, scritta da un autore che durante il giorno lavora e la sera ancora stanco si mette al computer e scrive quello che pensa sarà il suo capolavoro. Una storia che potesse contenere la speranza e l’anima di chi l’ha scritta. Cercavamo un autore che possiede un talento che non sa come spendere. Un libro scritto con le mani sporche, con le lacrime delle illusioni, con il sudore amaro».
«Dopo una lunghissima ricerca» concluse Eli «abbiamo selezionato l’autore e il libro che dovremmo pubblicare».
«E come si intitola il libro?» chiese Caterina, ormai curiosa.
«L’ultimo profeta» annunciò Beatrice orgogliosa del suo team, che le aveva preparato il terreno faticosamente. Disse quel titolo come fosse stato un calciatore che riceveva un assist perfetto e fece goal.
«E di cosa parla?».
«Della battaglia interna che tutti viviamo e condiziona gli eventi che si stanno realizzando» disse Stella filosofeggiando.
«Un libro catastrofista?» chiese Caterina.
«Un libro sull’eterna lotta tra bene e male, ma in una chiave di lettura più moderna e audace».
«A lei è piaciuto?» chiese Caterina a Stella.
«Sì».
«Solo che non è la nostra linea editoriale?» chiese Caterina a Beatrice.
«Lo so, ma questo manoscritto ci ha fatto cambiare idea».
«Perché? Cosa ha di così straordinario?».
«Niente di particolare se lo avessimo letto solo lo scorso anno» sottolineò Stella.
«Si spieghi meglio».
Solo Stella aveva letto il manoscritto e tutto il resto dello staff si era affidato solo all’algoritmo che stranamente ci aveva azzeccato.
«Parla come tutti i romanzi distopici e catastrofisti della fine del mondo ma, con mio estremo stupore, l’algoritmo non ha calcolato solo la parola evocativa, ha anche trovato una serie di altre parole che oggi, in virtù delle nuove e brutte notizie, sembrano una vera e propria profezia».
«Una profezia?».
«Non so come abbia fatto, ma l’autore ha descritto con estrema minuziosità gli eventi che proprio adesso stanno avvenendo, e cioè l’apparizione di un virus sconosciuto che a detta sua potrebbe dimezzare la popolazione mondiale perché il male ha superato il bene compromettendo un equilibrio cosmico».
A tutti vennero i brividi dopo quelle parole, ma soprattutto capirono che grande potenzialità aveva quel manoscritto e che con una produzione adatta sarebbe diventato un successo. Nessuno pensò al vero messaggio del romanzo ma alle numerose copie che si sarebbero vendute.
«Mi piace» disse Caterina interrompendo quel silenzio riflessivo. «Pubblichiamolo».
Tutto lo staff era al settimo cielo.
«C’è un piccolo problema però» disse Beatrice, smorzando gli entusiasmi. «Non riusciamo a trovare l’autore».
«Cosa?». Caterina era incredula.
«L’autore ha inviato tre anni fa questo manoscritto, ma non è più contattabile attraverso l’indirizzo mail e il numero di telefono».
«Quindi avremmo un best seller, ma non lo possiamo pubblicare?».
«Crediamo di sapere dove trovarlo e cioè in un paese della provincia di Bari in Puglia, stando all’indirizzo che ci ha fornito» disse Gloria.
«Ma non siamo sicuri che l’autore viva ancora lì» disse Beatrice.
«Io sono pugliese e conosco bene quelle zone, abbiamo pensato di andare lì e sperare di trovarlo».
«Ma potremmo comunque pubblicarlo se non lo trovate?» chiese Caterina a Gloria conoscendo il suo primo incarico negli uffici contratti.
«Assolutamente no» rispose infatti Gloria. «Non sappiamo se l’autore ha depositato il suo manoscritto, rischieremmo un’accusa di plagio e un risarcimento milionario».
«Per non parlare del danno di immagine» disse Beatrice «ma se non rischi come potrai creare qualcosa di autenticamente bello che non è mai stato visto prima?» concluse citando il motto del regista Francis Ford Coppola, scritto a caratteri cubitali proprio sul muro di quella stanza.
Caterina non poté far altro che deporre le armi di fronte a quel colpo di fioretto di Beatrice.
«Andate a cercarlo» ordinò Caterina «dobbiamo almeno provarci. Alla fine cosa abbiamo da perdere? Peggio di come siamo messi non può andare. Speriamo solo che all’epoca non abbia inviato a pioggia il suo manoscritto a tutte le case editrici. Non vi dico cosa vi farei se questo romanzo venisse pubblicato da un altro, e non potete nemmeno immaginare cosa accadrebbe se addirittura diventasse un libro di successo. Quindi datevi una mossa».
Tutti erano pervasi da un misto di eccitazione per la possibile riuscita del progetto e paura per il più probabile epilogo disastroso ma istintivamente si avvicinarono a Beatrice mostrandole rispetto e ammirazione per come alla fine aveva gestito quella situazione. Finalmente l’aria era diventata più respirabile e tutta l’ansia magicamente svanì lasciando il posto alla spensieratezza.
«Quindi che si fa?» chiese Eli.
«Si parte per la Puglia» rispose Stella.
Gloria scoppiò in una risata rimbombante e non riusciva a fermarsi.
«Che succede?» chiese Beatrice.
«Le scarpe spaiate rimarranno per sempre nella mia mente come la scena più divertente a cui ho assistito in vita mia».
Tutto lo staff, anche la gelida Beatrice e la stessa Stella, stemperò la tensione accumulata scaricandola con una grossa e sana risata.
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