18 FEBBRAIO 1964. LUNGOTEVERE
«Svegliati, Edoardo, svegliati, ti ho trovato finalmente, devo raccontarti qualcosa e poi ho bisogno di te, non farti pregare. Ho scoperto delle cose che ti renderanno felice o almeno ti faranno sentire meno infelice. Mi senti? Dai, ti porto a fare colazione e ti spiego tutto.»
Edoardo con fatica cerca di aprire gli occhi. «Chi sei? cosa vuoi da me?» ripete scalciando nervosamente dentro la tenda.
«Sono Santi, non mi riconosci?»
Mi guarda, ma ancora non riesce a mettermi a fuoco, poi mi chiede di aiutarlo ad alzarsi. «Ti do solo cinque minuti, poi me ne torno a dormire» dice accarezzandosi la barba che gli arriva quasi al petto.
Sono appena le sei del mattino, la rugiada luccica sulle sponde del Tevere, come luccicano i miei occhi a rivedere Edoardo.
Dalla tenda esce fuori un uomo ingigantito dagli stracci indossati a cipolla, con il naso rosso, le mani fasciate da guanti corrosi e gli occhi che non guardano verso alcuna direzione.
Batto i denti per il freddo e l’emozione, vorrei abbracciarlo, dirgli quanto mi sia mancato, ma lui borbotta parole che non capisco e allora mi accontento di portarlo sopra il ponte Milvio e guidarlo a passo lento verso il primo bar.
Il cameriere lo guarda male, vorrebbe dirgli di uscire, poi capisce che Edoardo è con me e conserva la sua rabbia repressa per giorni migliori.
«A quest’ora non ho fame» dice a voce alta Edoardo, interrompendo il tintinnio dei cucchiaini dentro le tazzine e lo sbuffare della macchina del caffè. Gli faccio cenno di parlare più piano, lui prosegue senza curarsene affatto. «Però se questo barista, con la faccia da rigattiere sfigato, sapesse preparare un caffè e dolci come la donna cubana nell’orto dei profumi, forse la fame arriverebbe.»
Il barista sta per reagire. Lo fulmino con lo sguardo e ordino due caffè e due cornetti con marmellata di albicocche. Edoardo beve il caffè senza fiatare e divora in pochi secondi le due brioche.
«Una sarebbe stata per me» gli dico facendo finta di essere offeso.
Edoardo non alza nemmeno la testa. «Ce ne sono ancora dietro il bancone. Non è colpa mia se mi hai svegliato all’alba, costringendomi a mangiare per non sentirti in colpa.»
Sorrido, pago le colazioni e usciamo a respirare la foschia del mattino. Edoardo sembra differente, è come se avesse cambiato pelle e le sue parole seguissero pensieri che non provengono dalla sua mente, ma da una fonte esterna dalla quale attinge anche la voce.
I suoi occhi però sono gli stessi, quando ti guardano sembrano sempre sorridere, anche se ti dice parole che non vorresti sentire o ti racconta la vita balorda che deve affrontare ogni giorno.
«Che cosa hai da dirmi di così importante? Che cosa ci fai in giro a quest’ora del mattino e con questo freddo?»
In effetti, tremo come una foglia. Il vantaggio è che in questi momenti le mie mani sembrano normali, assomigliano al resto del corpo.
«Devo dirti solo tre cose, due ti riguardano, una invece riguarda solo me.»
Edoardo rimane impassibile come un blocco di marmo.
«Pi prima cosa, ti ricu a mia. A Sirausa ha successu ‘n fattu gravi, ‘n cucinu miu ha statu ammazzatu ni na manera brutali.»
Edoardo ribatte in modo serio, senza scomporsi: «Adesso ti metti anche a parlare in siciliano? Non ti sembra già abbastanza il fastidio che mi stai dando?».
«Ho detto che a Siracusa è successo un fatto grave, un mio cugino è stato assassinato in modo brutale, hai capito adesso, vecchio caprone ignorante?» Edoardo sorride sotto i baffi, anche se quello che ho appena detto non fa per niente ridere.
«Ora dimmi le cose che mi riguardano» dice senza fare ulteriori commenti.
Mi fa talmente rabbia che vorrei andarmene senza dirgli niente. «Te le devo raccontare in italiano o preferisci in siciliano?»
«Come vuoi, tanto so già che quello che mi dirai non mi piacerà.»
Faccio un sospirone per calmarmi. «Per prima cosa devo dirti che Eleonora mi ha chiamato.» Aspetto qualche attimo per vedere la sua reazione, ma il solo gesto che fa è stropicciarsi le mani. «Mi ha domandato di te, voleva sapere se eri ancora vivo.»
Edoardo m’interrompe: «Adesso dammi l’altra notizia e ti prego di fare veloce, fa freddo e voglio tornare in tenda dentro il mio sacco a pelo».
«Eleonora mi ha raccontato perché ti stai punendo e ho fatto alcune indagini. Sono andato a Trieste, dove ho rintracciato i genitori del tuo amico Umberto, e poi sono riuscito a trovare anche la sua ex fidanzata. Caterina vive ancora a Roma, lavora in un grande supermercato.» A quel punto, Edoardo comincia a traballare, il suo respiro diventa affannoso, i suoi occhi, semichiusi per il freddo, si spalancano in attesa di quello che sto per dire. «I genitori di Umberto, ai quali ho dovuto raccontare di essere un suo vecchio amico, mi avevano già accennato qualcosa e poi Caterina ha confermato.» Lo tengo ancora un po’ sulla graticola, poi quando vedo che comincia a tremare accelero il mio racconto. «Umberto non si è suicidato per il vostro tradimento. Lui non sapeva niente della scappatella con Caterina, si è ucciso per problemi di soldi. Era un accanito giocatore di poker e si era rovinato. Caterina è andata veramente a casa sua per dirgli tutto, ma l’ha trovato già morto. Poi è venuta da te, si voleva vendicare della freddezza con cui l’hai trattata la mattina dopo la vostra notte d’amore e ha cercato di farti credere che la colpa fosse vostra. Tutto qui, non devo dirti altro, se non che Caterina è pentita di quello che ha fatto, ti ha cercato per molto tempo, ma non è mai riuscita a trovarti.»
Edoardo mi guarda senza dire niente, qualche lacrima scende dai suoi occhi e diventa fredda prima di arrivare alle guance pelose, poi con slancio felino sale sulla balaustra del ponte. Temo voglia gettarsi di sotto, invece i suoi occhi tornano a sorridere e inizia a gridare alcuni versi.
«Amo instancabile l’ozio, il turbinio del vento che non muove le foglie, gli acini maturi che non sanno di vino ma di betulle piene di rosolio. L’altra notte ho sognato un filare di abeti parlanti; il tuo viso sembrava scavato nella corteccia di un ciliegio e nuvole cadevano sugli occhi come veli a filtrare la luce di questo giorno che non vuol morire.»
Lo guardo. Se non lo conoscessi, penserei che è impazzito.
Poi lo vedo volare dalla balaustra e planare sul marciapiede del ponte, come un gatto di velluto stropicciato. Sembra venirmi incontro con aria minacciosa, invece apre le braccia per accogliermi dentro la sua anima imbiancata, che copre l’odore e le macchie del suo pesante cappotto.
Rido, piango, non sento più freddo, non so dove sia.
«E con Eleonora?» domando, una volta che mi sono ripreso dall’abbraccio di quell’umano, di cui adesso riesco solo a vedere la bocca che fuma aria del cielo.
«Devi sapere che da ora in avanti alle domande importanti risponderò solo recitando dei versi. Ti ripeto quello che ho pensato quando speravo di amarla. Sarebbe evanescente questo continuo volo, se nel lento rifiorire non mi lasciasse in fronte il perdurar di un brivido malato d’amore e di nascosti sensi e rimanesse nell’infinito viaggio l’urgente ricominciar dal capo dell’incendio che ha fatto vaporare tutto il mio corpo, lasciandomi il sapore di un altro mondo. E ti son grato, fato dolce o mio destino disperato, che nel profondo si celi ancora questo incanto.»
***
Santi è rimasto ancora qualche ora con me e pertanto mi sono deciso a svelargli tutti i segreti che gli avevo nascosto, anche se alcuni li aveva già scoperti parlando con Eleonora.
Dopo che se n’è andato, sono sceso nella mia alcova dorata e ora sono qui che confondo realtà e sogno. Non riesco a raccogliere nella mente il primo ricordo di questa nuova vita, il tempo scompiglia i miei pensieri e solo il tempo può ricomporli. Fuori il cielo si muove senza fretta, le nuvole tremanti portano acqua che non bagna e tutto intorno incendia.
Mi piacerebbe che il sole spuntasse all’improvviso, di notte, quando nessuno si ciba dei suoi raggi, invece il freddo bussa alla mia tenda e il vento corre tra le pieghe dei miei guanti. Aspetto un’estate matta che mi scalderà le ciglia e una carezza piena di calore e di ricordi che non fuggono, aspetto il nuovo giorno che mi dirà chi sono.
Santi pensa che la notizia che mi discolpa dal gesto estremo del mio migliore amico riesca per miracolo a cambiare le sorti della mia vita, a darle un corso nuovo, ma il senso di colpa del mio tradimento mi perseguita come un’ombra e, solo in alcuni momenti, riesco a riemergere dall’apnea dei miei pensieri, respirando piccoli sorsi d’aria pulita.
Ho promesso a Santi di tornare a casa domani, ma non manterrò la promessa, prima devo svolgere un compito che mi prefiggo da tempo, senza averne mai avuto il coraggio. Voglio andare a Trieste a far visita alla famiglia di Umberto, parlare con loro, abbracciarli, guardarli negli occhi.
21 FEBBARIO 1964
Addio. Un’altra volta addio, sponda del Tevere, fiume che mi hai bagnato la vita. Le tue acque le porterò per sempre dentro di me, scorreranno insieme al mio sangue e laveranno le sue macchie, lasciando traccia del passato perché io non dimentichi, perché nessuno dimentichi.
Ho accumulato un po’ di soldi elemosinando per strada, ne ho a sufficienza per pagarmi una stanza di albergo, darmi una bella pulita, indossare abiti nuovi e partire per Trieste. Santi saprà aspettarmi, lui ha una pazienza impaziente, riesce sempre a portare avanti i suoi obiettivi, anche nella sconfitta e nella cattiva sorte, e qualunque cosa mi succederà saprà trovare una via per infilarsi nei miei pensieri e comprendere quello che è meglio per me.
La fortuna mi ha dato in sorte persone come Teresa e Santi, persone alle quali potrei affidare la mia vita, riavendone indietro una migliore.
Teresa, mia cara Teresa. Non ho avuto nemmeno il coraggio di domandare a Santi come stessi, avevo paura che mi dicesse cose che non volevo sentire. Al ritorno da Trieste dovrò andare a vedere con i miei occhi come te la cavi con i tuoi acciacchi e la vecchiaia che incombe dentro i tuoi occhi e dirti che la mia fuga è stata l’ultima e che niente e nessuno potrà mai più dividerci.
22 FEBBRAIO 1964
Quel maledetto bugiardo non si è fatto vivo. Chissà dove sarà andato? Un po’ lo conosco e dovevo aspettarmelo. Glielo si leggeva negli occhi che il suo periodo ascetico non era ancora terminato, che aveva ancora dei conti in sospeso con se stesso, anche se speravo che la mia notizia lo avrebbe risvegliato dal letargo.
Ho bisogno di lui, ho estremamente bisogno di lui. A Siracusa sta succedendo qualcosa di terribile, che ha sconvolto la vita dei miei zii, dei miei genitori e cancellato quella di mio cugino Pietro.
Pensare che Pietro è stato ucciso mi fa vivere come dentro la bolla di un incubo, ancora non mi capacito come possa essere successo proprio a lui. Un ragazzo così buono, ingenuo e senza macchie. Nessuno sa darsene una ragione. Fosse capitato a me sarebbe stata per tutti una logica conseguenza del mio vivere, ma a Pietro no, non era lontanamente immaginabile associare una morte violenta. Domani tornerò sotto il ponte Milvio per capire se la casa di Edoardo è ancora lì, se l’eremita ha deciso di prolungare ancora le sue ferie dai dolori del mondo, ma ho poche speranze di trovarlo rannicchiato dentro la sua tenda, la mia mente mi dice che è partito. Non mi rimane che aspettarlo e, se tra qualche giorno non si sarà fatto vivo, mi vedrò costretto a partire per la Sicilia da solo.
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