Gorga Nera, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna.
I due carabinieri forestali si guardavano interdetti. Già la notte passata erano stati letteralmente tirati giù dal letto da una scossa di terremoto di magnitudo 4.1 (come peraltro gli abitanti di vari comuni tra Romagna e Toscana), ma ora si trovavano davanti i cadaveri di due animali che non riuscivano a identificare chiaramente: parevano anguille, ma avevano due ampie pinne pettorali simili a quelle dei pesci gatto e pure la loro testa era decorata da creste che parevano quasi una corona. La cosa peggiore, però, era il loro fetore: uno dei due militari rischiò quasi di svenire quando si avvicinò a osservare meglio le due creature, che presumibilmente erano uscite dalle acque del piccolo stagno chiamato Gorga Nera.
Le due bestie furono perciò spedite all’Università di Bologna per essere identificate.
***
2. Il patto.
Il giudice si rivolse a Xob: “Imputato sei accusato di una serie di reati. Come ti dichiari?”
Xob avrebbe voluto obiettare che non voleva far nulla di male e che non aveva alcuna intenzione malvagia nonostante tutti i suoi crimini gli fossero stati enunciati chiaramente, ma, appunto, ormai il danno era fatto, per cui rispose più o meno come gli aveva detto il suo avvocato: “Purtroppo colpevole, vostro onore.” Naturalmente quel purtroppo non proveniva dalle indicazioni dell’avvocato, che in quel momento dovette limitarsi solo a lanciare un’occhiata feroce al suo assistito.
Il giudice sospirò o perlomeno fece qualcosa di simile a un sospiro: è difficile descrivere in termini umani le espressioni di creature multidimensionali provenienti da chissà dove. Non è neppure detto che la loro visione dell’universo possa essere in qualche modo assimilabile alla nostra. Se la biologia è diversa dalla nostra anche la psicologia e le culture che essa potrà sviluppare saranno altrettanto distanti, addirittura incomprensibili per noi, come la nostra psiche e le nostre culture risulteranno astruse per quelle creature.
In questo caso, però, c’era un punto di contatto tra noi e gli alieni: la voglia di esplorare e di conoscere. In particolare cercavano qualcosa di piuttosto raro nel nostro e in altri universi.
Quando pensiamo a qualcosa di raro (che pertanto deve essere in proporzione molto prezioso) ci vengono in mente gli elementi meno diffusi nell’universo (sempre che gli elementi chimici siano disponibili in maniera omogenea in tutto l’universo): se delle creature possiedono la tecnologia per affrontare lunghi viaggi interstellari si muoveranno di certo alla ricerca di elementi molto rari e quindi molto preziosi, per esempio il rutenio.
Invece no.
La cosa più preziosa dell’universo sono gli elementi chimici più comuni e diffusi: carbonio, idrogeno e ossigeno, insieme a una manciata di altri come azoto, fosforo, zolfo ecc. Ovunque ci sia vita possono essere combinati tra di loro in una miriade di sostanze organiche possibili.
[…]
A questo punto, però, era comparso Xob.
Torniamo al processo.
Il giudice sospirò (o fece qualcosa di equivalente a un profondo sospiro) e si mise a guardare i dati relativi a Xob.
Non aveva mai compiuto nessun reato, anzi era uno studente volenteroso, diligente e intelligente. Si trovava sulla Terra per raccogliere elementi per una tesina di etologia e psicologia nelle società terrestri. La zona che gli era stata assegnata non era molto estesa ed era caratterizzata da piccole comunità disperse, ma non del tutto isolate l’una dall’altra. Cosa mai poteva aver indotto Xob a produrre un simile disastro?
Il giudice gli fece cenno di avvicinarsi e gli disse: “Adesso mi racconti tutto da capo con parole tue.”
L’avvocato della difesa fece per protestare, ma il giudice lo zittì con un gesto e gli fece cenno di allontanarsi, perché voleva parlare a quattr’occhi con Xob: “Sarà una chiacchierata informale tra me e l’imputato, che resterà fuori dagli atti del processo e che non influirà sul mio verdetto finale. Voglio solo capire.”
Anche l’avvocato dell’accusa si lagnò: “Gli eventi sono stati ricostruiti con precisione nella documentazione, non c’è altro da aggiungere.”
“E invece sì che c’è!” Protestò il giudice. “Io proprio non riesco a comprendere come mai l’imputato, visto il suo profilo psicologico, sia arrivato a compiere un gesto che va contro ogni nostra direttiva e che rischia di compromettere due diversi pianeti con tutte le forme di vita e le civiltà che si stanno sviluppando su di essi!”
Dopo che anche l’avvocato dell’accusa si fu allontanato il giudice si rivolse con gentilezza a Xob: “Allora, com’è andata?”
“Ecco io…” rispose lui. Poi iniziò a trovare le parole per il suo racconto: “Quell’uomo era così solo…”
“Quale uomo?”
“Non so il suo nome. Tutti lo chiamavano per cognome. Mantellini. E gli stavano lontani. Lo detestavano e lo temevano.”
“Ma c’era un motivo per cui lo trattavano così?”
“Di certo lui non faceva nulla per farsi amare. Era scorbutico e maltrattava chiunque. Non aveva neppure un bell’aspetto, almeno per i canoni umani: alto, allampanato, pallido, con un viso scavato e gli occhi torvi e sempre seminascosti da un cappellaccio nero calato sul capo. Nero come tutto il suo vestiario, a partire dalla palandrana che indossava sempre.”
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3. Le storie di ieri
Piero stava rientrando a casa tutto contento, nonostante lo attendesse un lungo cammino, i sentieri fossero fangosi e il cielo autunnale non promettesse nulla di buono. Infatti era riuscito a far fuori quella vecchia lupa ormai sdentata e i contadini, per ripagarlo, gli avevano dato un paio di forme di formaggio stagionato. Come luparo aveva fatto un discreto guadagno: il mestiere del cacciatore di lupi non rendeva ricchi, ma certo permetteva di tirare avanti e di integrare un po’ i magri introiti della famiglia, anche se richiedeva giorni e notti all’addiaccio e lunghe scarpinate per la foresta. Infatti ora Piero stava scendendo giù dal Passo delle Crocicchie e per arrivare a Ridracoli c’era ancora parecchia strada, ma i lupi si erano fatti furbi ed era sempre più difficile trovarli. Non pensava di certo che la popolazione delle sue prede iniziasse a subire una riduzione e che, in futuro, i lupi avrebbero rasentato l’estinzione.
La Gorga Nera, a causa delle abbondanti piogge che erano cadute in quel periodo, era tracimata e il sentiero lì accanto era ridotto a un vero pantano. Piero cercava di mettere i piedi nei punti più elevati e asciutti per non infangarsi tutto, quando intravide qualcosa baluginare nell’acqua melmosa.
Era sferica, con un diametro di un paio di centimetri e la superficie liscia, lattiginosa e iridescente. Una perla? Dopotutto si diceva che la Gorga Nera finisse sul fondo del mare. Però a Piero quella cosa ricordava tanto un uovo, anche se non aveva mai visto uova di quel tipo.
Avvolse quella specie di biglia in un fazzoletto e poi la ripose nel tascapane.
A buio accese un mozzicone di candela e la guardò in controluce: dentro c’era qualcosa di vivo, ma non si capiva cosa, per cui decise di sistemarla ben bene sotto la chioccia che covava. Avrebbe scoperto che cosa era al momento della schiusa.
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4. Il Codice da Vinci
“…Ci sono gli angeli, che stanno in Paradiso e circondano Dio e cantano in coro la loro beatitudine e ci sono gli angeli caduti, quelli che si unirono a Lucifero nella sua ribellione e furono precipitati all’Inferno e ora sono i diavoli. Ma c’è un altro tipo di angeli.”
Bertuccio era un gran narratore, sull’altro versante dell’Appennino, in Romagna lo avrebbero definito un conta fóle, e con i suoi scherzi, le sue facezie e le sue novelle riportava l’allegria nelle serate più uggiose del Castello di Urbech.
Adesso poi aveva trovato una spalla straordinaria: un pittore fiorentino che, dopo essere stato per vari anni a Milano, era rientrato in Toscana e, in quel periodo, era spesso ospite di Mazzone d’Anghiari, signore di quel castello, aveva lavorato come ingegnere militare per Cesare Borgia e ora disegnava mappe e carte topografiche del Casentino e del corso dell’Arno per il gonfaloniere di Firenze.
Di giorno scarpinava su per le montagne, in modo da poter osservare la valle dell’Arno dall’alto e disegnarla, ma di sera faceva da contrappunto a Bertuccio, pronto anche lui a scherzi, facezie o indovinelli e sempre attentissimo quando quel cortigiano e giullare raccontava le sue storie e le sue leggende.
“Ci sono degli angeli che non si schierarono né con Lucifero né con San Michele.” Proseguì Bertuccio. “Gli angeli incarnati.”
Qui fece una pausa per aumentare il pàthos, ma un’altra voce prese la palla al balzo, facendo sobbalzare tutti i presenti: “Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve.”
“Mi avete tolto le parole di bocca, messer Leonardo.” Disse Bertuccio.
“Veramente le ho tolte a Dante.” Replicò Leonardo.
Molti presenti, che ben conoscevano quei versi dell’Inferno, risero, poi Bertuccio riprese a parlare: “Questi angeli incarnati vivono qui, tra di noi e tra i boschi e le foreste di queste montagne, ma per noi sono invisibili.
“Però, proprio perché sono incarnati, non sono indifferenti ai piaceri terreni. Ben lo sapevano in un castello poco distante da qui, di cui non posso fare il nome per non gettare un’onta su quel luogo e sui suoi attuali abitanti, perché vi parlo di qualcosa avvenuta molto tempo fa, quando i castellani che ci abitano adesso erano ancora molto di là da venire.
“Or dunque, in quel castello si riunivano giovani uomini e giovani donne per il cosiddetto Ballo Angelico: essi danzavano insieme completamente nudi finché, nel cuore della notte, non compariva questo essere bellissimo e androgino, cioè un angelo incarnato, che poi rapiva la fanciulla più avvenente e spariva con lei.”
“Così Poi ch’ella ebbe assaggiato quello occello, / Disse: ‘Amor mio, onde avesti tu quello?’ / Ed e’ rispose: ‘L’Agnol Gabriello / Come Iddio volle mel fe’ manifesto’. / ‘Non maraviglia che gli è buono e bello / (Diss’ella) se dal ciel venne sì presto!’” Concluse Leonardo con un’altra citazione di un poema trecentesco che fece esplodere altre sonore risate tra i presenti.
La serata proseguì ancora tra le battute di Bertuccio a cui facevano eco quelle di Leonardo suscitando risate crasse tra tutti coloro che si trovavano in quel palazzo fortificato.
Forse fu quella stessa sera, più tardi, o forse tempo dopo, ripensando alla storia di Bertuccio, che Leonardo abbozzò il disegno di un giovane androgino, con i lineamenti angelici, ma al tempo stesso beffardi e animaleschi, con una traccia di seno come una fanciulla, ma con un vistoso membro eretto sotto l’esile tunica. I tratti erano quelli del suo allievo prediletto, Salaì, dal viso di un angelo, ma che il nomignolo designava come un diavoletto. Tante volte era stato per lui un modello quando doveva raffigurare angeli e Leonardo ridacchiò pensando a cosa sarebbe successo con i committenti se, nel consegnare un’Annunciazione, si fosse notato, sotto le vesti dell’arcangelo Gabriele un abbozzo di seno o, peggio, l’ombra di una simile erezione. Ma in fondo che potevano saperne i preti, che invocavano l’importanza della castità, ma che spesso, da quanto aveva sentito dire, erano soggetti come tutti a certe umane passioni?
Secondo lui nel creato e nella natura non poteva esservi nulla di male. Invece le leggi umane talvolta vedevano il male in ciò che era buono e naturale.
Quei luoghi erano dominati dalla Natura e proprio per questo avevano un loro fascino.
Gli ritornò alla mente cosa era avvenuto circa un anno prima o poco più, proprio sulle pendici del vicino Falterona. Tutta quella vicenda era legata a concetti che gli sfuggivano. Gli sarebbe piaciuto apprendere quelle nozioni e divulgarle ad altri, ma forse non avrebbe mai potuto farlo. Di certo lo avrebbero fatto altri uomini in un lontano futuro.
27 Marzo 2017. Finalmente l’Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci tornava agli Uffizi dopo un lungo restauro durato circa cinque anni e mezzo presso l’Opificio delle Pietre Dure.
Ovviamente era stato un momento di massimo orgoglio per coloro che avevano lavorato a quel mastodontico restauro.
“Finalmente tutti i fan di Dan Brown potranno tornare ad ammirare l’opera citata dal loro beniamino.” Commentò Enzo mentre prendeva un caffè accanto al giovane ricercatore Alessio.
Enzo era un membro dell’equipe che aveva messo le mani su quel capolavoro.
Alessio, invece, era biologo. La passione per l’arte oltre che per le “cose che strisciano e si muovono” (come le chiamava suo fratello) lo aveva indirizzato a studi relativi alla conservazione delle opere d’arte (che possono tramutarsi in vere e proprie colture di muffe, microorganismi oppure insetti o che si trovano su materiali di origine biologica come il legno, la pergamena o le stoffe) e alla fine era diventato ricercatore presso l’Opificio.
Per caso aveva conosciuto Enzo, che continuava a lavorare grazie alla famigerata Legge Fornero (e che intercalava il nome della suddetta ministra, abbinato a vari epiteti, tra una bestemmia e l’altra, ogni volta che pensava alla sua pensione più sfuggente di Bip-Bip tra le zampe di Wile E. Coyote) e tra i due era nata una certa amicizia, nonostante la differenza di età e di stili di vita, così spesso li si vedeva chiacchierare, a volte amabilmente a volte appassionatamente, durante qualche pausa caffè. I colleghi dei laboratori scientifici li avevano soprannominati “Il Maestro Jedi e il suo allievo padawan”. O più semplicemente “Obi-Wan e Luke” oppure anche “Qi-Gon e Obi-Wan”.
roberto.camisana
Questa non e’ una recensione, il libro non e’ ancora uscito ma posso recensire l’autrice, che ho conosciuto in occasione di diverse edizioni del Cicap Fest.
Maria Rosa e’ sicuramente molto appassionata in tutto cio’ che fa ed e’ una persona eclettica: difficile coglierla in fallo in tantissimi argomenti diversi!
Da quel che mi ha anticipato c’e’ parecchio di lei in questo libro, non nel senso che abbia incontrato degli alieni…
…oppure lo ha fatto? 🙂