Misero a ferro e fuoco la città, prima dell’alba spezzarono dei bastoncini di legno e li gettarono nel fiume, la corrente li avrebbe portati a valle.
Lassù Cupra dava alla luce Ferro -, Ferro per gli amici.
Chi mise a ferro e fuoco la città? Furono Argon e i suoi, ma non soffermiamoci su questo fatto, la cosa importante è parlare di Ferro.
Ferro viveva di sola aria, non mangiava, ma evacuava spesso; beveva solo liquidi.
Un giorno Ferro si mise in testa di voler arrivare dall’altra parte del mondo, non sapeva di preciso dove.
Fece le valigie e partì verso Oriente.
Aveva uno zaino leggero e una decina di borracce, tre piene d’acqua e il resto vuote, da riempire strada facendo.
Il primo individuo che Ferro incontrò lungo il suo cammino fu Cadmio+; per gli amici solo Cadmio.
Cadmio aveva i capelli ricci, le ossa sempre doloranti e un alito pestilenziale.
Inoltre Cadmio aveva un tic: sistemava compulsivamente i suoi riccioloni con la mano sinistra.
Ai piedi indossava scarpe bianche alte fino al polpaccio; succedeva sovente che si togliesse una scarpa, la destra, e la muovesse in avanti e indietro, per fare uscire, dalla scarpa, un sassolino.
Il sassolino, nove volte su dieci, era bianco.
Cadmio domandava continuamente a Ferro che fine avessero fatto Argon e i suoi tirapiedi.
“Morti tutti…” rispondeva Ferro, “Tutti morti” ribatteva Cadmio.
Gli enormi passi di Cadmio affondavano nella neve bianca, le sue scarpe, bianche, scomparivano.
Ferro appoggiò il suo bastone sul tronco di un albero e svenne dalla stanchezza .
Cadmio, con le mani tra i riccioloni, fu la prima cosa che rivide quando riprese conoscenza.
“La dura vita è dura, caro amico mio” sentenziò Cadmio, ripiegato su se stesso, con il viso a cinque centimetri da quello di Ferro.
Capita di svenire a chiunque, a Ferro capitava spesso, ma quando sveniva, Ferro, sognava.
Sognava aironi rosa morti affogati nel fango; di solito sognava aironi morti, ma quella volta sognò uccelli neri vivi.
Ferro vide in questo sogno un segnale positivo, “erano vivi quei fottuti uccelli, almeno… vivi!”
Cadmio, realista e un filo pessimista, disse: “ma erano neri, comunque…” e proseguì: “porteranno sfiga, me lo sento!”.
Bastarono pochi secondi a Ferro per tornare in marcia.
Direzione est, verso la Pentagonia.
La Pentagonia era un luogo bizzarro.
Tutto era costruito su uno schema pentagonale.
Case pentagonali con scrivanie pentagonali, letti pentagonali, armadi pentagonali dentro i quali erano custoditi abiti normali, ma di colore grigio.
Tutti i vestiti a Pentagonia erano di colore grigio.
“Perché vuoi arrivare fin laggiù?” chiese Cadmio a Ferro e quest’ultimo rispose: “non voglio arrivare lì, quella è la prima tappa, ancora non ho definito la meta del mio viaggio”.
“Sono tutti morti?” chiese Cadmio con la bocca piena di more che aveva raccolto poco prima.
“Morti tutti” rispose Ferro singhiozzando, mentre beveva un sorso d’acqua gelida.
Il lupo del mattino aveva appena emesso il suo verso straziante, Ferro e Cadmio parlavano della caccia: “se miri bene stasera avremo un pesce per cena” disse Cadmio. “Non mangio… io”, rispose Ferro.
Non era vegetariano o vegano, semplicemente il suo stomaco non era predisposto a digerire del cibo solido, aveva la capacità di tre virgola cinque litri di acqua al giorno, grazie ai minerali in essa contenuti, Ferro poteva vivere senza problemi.
La caccia, dunque, da Ferro era vista come uno sport, un divertimento.
All’inizio della sua vita cacciava perché tutti cacciavano, poi si rese conto che di cacciare, lui, non aveva bisogno, e quindi, semplicemente, smise.
Gli altri abitanti del suo villaggio lo consideravano strambo, non tanto perché vivesse di sola acqua, ma più che altro perché non amava cacciare; era inconcepibile, per un’abitante del villaggio, che non si contribuisse alla caccia per il sostentamento della comunità.
Ferro, anche per questo motivo, decise di andarsene, non si era mai sentito parte di quella comunità.
Ad ogni modo rispettava i cacciatori, provvedere al sostentamento della società era importante.
“La caccia è come la guerra?” domandò Cadmio rivolto verso Ferro; “può darsi, devo pensarci su…” Ferro mentì, non ci pensò per niente.
“Il salto di quel pettirosso mi incuriosisce non poco” disse Ferro, osservando un minuto uccellino zompettare di qua e di là.
La cosa che lo affascinava era l’idea stessa del salto, dello staccarsi dal suolo, e di rompere un continuo spazio-temporale con la sola azione del salto.
Non sapeva spiegarsi il perché, ma tutti i tipi di salto erano per Ferro qualcosa di metafisico, che meritava sempre uno stupore.
Cadmio, più pragmaticamente, disse: “Questi benedetti salti sono sopravvalutati, gli atleti che percorrono la maratona… loro sì che sono affidabili… non staccano mai i piedi da terra, gente seria che non ha velleità zompatorie; quei marciatori non hanno l’autorizzazione a staccare il piede da terra e procedono fluidamente, come lo scorrere del fiume, che non si interrompe mai”.
Ferro incalzò Cadmio: “il fiume in realtà trova degli ostacoli lungo il suo percorso…” e Cadmio: “ma non crea mai un distacco, rimane fluido”, e Ferro: “aspetta… tranne quando l’acqua congela, quando l’acqua diventa ghiaccio si cristallizza tutto e nel successivo ciclo di scongelamento l’acqua torna al suo stato liquido, dunque anche l’acqua compie un bel salto, a pensarci bene ogni materiale o meglio tutta la materia produce dei salti, sai… c’è il salto degli elettroni da uno stadio al superiore. In modo invisibile, e molecolare, tutto zompa in qua e in là, in su e in giù”.
“Se non si vede, lo zompo dico, se non si vede… beh… per me non salta proprio un bel niente” disse Cadmio, accigliato, rivolto verso Ferro, e ripresero così il cammino verso Pentagonia.
Le mura pentagonali della città erano grigie, di un grigio topo, quasi ipnotico, perché guardandolo, quel grigio, non si riusciva a mantenere il senso dell’equilibrio da quanto era intenso.
Oltrepassarono, dopo averla cercata per un paio d’ore, una porta di legno di forma, manco a dirlo, pentagonale.
Le prime persone che incontrarono furono dei commercianti di tessuti che avevano allestito delle bancarelle pentagonali lungo la via di accesso della città.
Ferro mostrò una curiosità che non aveva mai manifestato prima di allora ed iniziò a fare domande a tutti quelli che incontrava.
Il mercante Adirato, Adirato era il nome, non certo il carattere, del mercante che sorrideva continuamente, iniziò una stranissima conversazione con Ferro circa il colore del cielo e delle stoffe in vendita sulla sua bancarella a cinque sponde.
“Certo che fantasia… tutti abiti di colore grigio, come questo cielo plumbeo” proprio dieci minuti prima infatti il cielo si era coperto ed erano iniziate a comparire nuvole dense e arricciate che promettevano, quasi sicuramente, copiose piogge.
“Ma quale colore grigio? Quali nuvole minacciose in cielo? Io non vedo proprio nulla” disse Adirato un po’, questa volta sì, adirato per davvero.
“Come quali nuvole… ma non le vedi?” subentrò nella discussione anche Cadmio che voleva defilarsi, ma che, oramai, era stato catturato dalla bislacca conversazione col mercante di stoffe.
“Sul serio ragazzi, io vedo sopra di noi un cielo terso, sereno, le mie stoffe sono damascati di fantasie orientali, gialli, verdi, blu intenso e rosso fuoco; ho un broccato finalmente lavorato di color cremisi che è stato richiesto dal Re di Pentagonia in persona”.
I due si allontanarono pensando che il mercante Adirato fosse un pazzo sciroccato, e poi iniziarono a notare che tutti gli abitanti di Pentagonia avevano una bisaccia al collo dalla quale, a cadenza di circa cinque minuti, estraevano una boccetta di profumo che si spruzzavano in testa.
Puff, puff, due puff in testa ogni cinque/dieci minuti.
I due decisero allora di acquistare una boccetta di quello strano profumo; si accorsero che nella bottega ne esistevano di varie gradazioni: più persistente, durata fino a dieci ore, scarsamente persistente, durata pochi minuti.
Acquistarono la boccetta a media persistenza tre, quattro ore.
Due puff a testa e all’improvviso quel mondo, che prima era completamente grigio, diventò coloratissimo; cose, abiti, tutto, perfino il cielo cambiò colore.
Insomma oramai pareva che niente più, in quella strana città pentagonale, fosse rimasto grigio.
Ferro domandò a Cadmio se avesse intenzione di conoscere il re di Pentagonia.
Dato che erano a pochi passi dal castello del Re, avrebbero potuto cogliere l’occasione di incontrare sua maestà Saccenza.
Saccenza, nome della storica casata dei re sovrani di Patagonia da oltre dieci secoli, era una delle più rispettabili famiglie nobiliari di tutta la terra sconfinata della Messalzia. Cadmio, rivoluzionario e un filo giacobino, decise di volere fare visita al Re, ma solo se Ferro fosse stato d’accordo nel deridere Sua Maestà.
Ferro acconsentì, così i due studiarono uno scherzo da fare al Re di Pentagonia.
Saccenza di solito mangiava, per colazione, lumache stufate con dell’abbondante prezzemolo, così Cadmio pensò bene di sostituire le lumache con dei gusci vuoti, in modo da confondere il Re, sfidandolo a contare il numero di lumache che egli avrebbe mangiato.
Corruppero i regi cuochi con una boccetta di profumo magico, a quanto pare Saccenza era molto antipatico a gran parte della popolazione di Pentagonia, e, in special modo, ai suoi cortigiani.
Il lacchè annunciò i due viandanti al Re che li accolse nelle sua stanze.
“Sua maestà…” esordì Ferro “siamo qui per scommettere con voi”. Stranamente incuriosito Saccenza domandò: “Di cosa si tratta? Qual è la posta in palio?”.
Allora fu Cadmio a prendere la parola: “vede Sua Maestà, noi siamo perfettamente in grado di sapere quante lumache lei riuscirà a mangiare stamattina, scriveremo il numero esatto qui, su un biglietto, che consegniamo in una busta sigillata al suo lacchè, nel caso noi dovessimo sbagliare la previsione lei potrà tagliarci i pollici”.
(Era risaputo che Saccenza godeva nel tagliare i pollici alla gente).
“Ma in caso contrario… lei dovrà togliersi la corona e consegnarcela per un paio di minuti…”
Il Re, con un sorriso appena accennato, accettò la scommessa.
Ferro consegnò la busta al lacchè e il cuoco di corte avanzò con la pietanza.
Saccenza all’inizio non capì, ma poi afferrò il senso della presa in giro, e, non riuscendo a trovare una sola lumaca da mangiare all’interno dei gusci nella pentola, disse al lacchè di aprire la busta e di leggere il contenuto del biglietto.
Il lacchè obbedì agli ordini e, mentre leggeva: “zero”, girò il foglietto verso il re.
Saccenza andò su tutte le furie, ma alla fine, quando si calmò, dopo circa una mezz’ora, si avvicinò a Cadmio e a Ferro e consegnò nelle mani del primo la sua corona.
Cadmio la osservò con cura e poi la passò a Ferro che la tenne fra le mani per qualche secondo, facendo finta di osservare le gemme in essa incastonate.
Cadmio riprese in mano la corona, fece un cenno di intesa al compare e poi la scaraventò a terra con disprezzo.
Cadmio e Ferro scapparono a gambe levate dal palazzo gridando: “abbasso il Re… stupido mangia lumache”.
I due fuggirono da Pentagonia tra le risa e gli applausi dei cortigiani.
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