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Malamore

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Mauro è un giovane che inizia a lavorare come docente di inglese in una scuola privata e qui conosce Pietro, il direttore dell’istituto. Bello, sicuro di sé, di famiglia benestante, con bell’appartamento e amici simpatici e alla mano… Pietro ha tutto, e Mauro vuole far parte di quel tutto. Lui, che viene dalla provincia di Taranto, da una famiglia in cui i genitori sono sempre stati troppo presi dal loro piccolo supermercato, ha dovuto sgomitare per qualsiasi cosa in una città come Roma, ma adesso inizia a vivere la sua favola. Si renderà conto, però, che le favole non esistono, esistono solo i mostri, quelli che portiamo dentro di noi e che vengono fuori per divorarci lentamente. Ma esiste anche l’amore buono, quello genuino, tenero, che ci sostiene e ci salva dal baratro, e Mauro dovrà scegliere a quale abbandonarsi.

PROLOGO

Fumo di nascosto, nascondendomi da chi, poi, non lo so.

Anche quella mattina di febbraio dello scorso anno, all’esterno del tribunale, protetto dalle imponenti colonne di travertino e spiato solo dai piccioni che tubavano monotonamente verso il Tevere, avevo sfilato una Philip Morris dal pacchetto e l’avevo accesa proteggendola con una mano; il vento che sapeva di acqua e gelo, il sole che non riscaldava nulla.

Si dice che nei gesti si nasconda l’essenza di una persona, ed ecco cosa ero io, in quel momento, o forse da sempre: furtivo, immobile e in pena, in cerca di un paio di minuti di pace, in cui il fumo potesse coprire i pensieri, le notti passate insonni, le parole che non avevo detto.

Ero lì in attesa di una sentenza, sospeso nell’eccezionalità di quei momenti che decretano un prima e un dopo, e non potevo fare altro che inspirare ed espirare, le mani leggermente tremanti, il cielo una chiazza celeste. Roma mi aveva cambiato, mi aveva reso più emotivo, più incline al pianto: non so se per la sua bellezza millenaria o per la caducità della sua periferia, ma non potevo spiegare altrimenti quella piccola, impercettibile lacrima che si era formata all’occhio destro e che non mi affrettavo a togliere.

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Ogni cosa stava al suo posto e lì doveva restare: cosa potevo io, davanti a una lacrima che non scendeva, a un fiume che seguiva lento il suo corso, a una nube di fumo che danzava nell’aria; cosa potevo io, davanti a un verdetto di condanna o di assoluzione che era già pronto sulla scrivania del giudice, a pochi metri da me; e cosa potevo io, davanti alla fine di un amore che forse non era mai stato amore, a un crimine che forse non era un crimine, a un futuro che forse non era un futuro.

Niente potevo, e così fumavo, e fumando pensavo, e pensando accettavo tutto quello che era e che sarebbe stato. In fondo, indossavo la camicia buona, le scarpe delle grandi occasioni, il cappotto elegante: nessuna notizia è così orribile quando la affronti ben vestito.

 

PARTE PRIMA

Stai con me anche
se male farà

Capitolo uno

Prima di tutto questo, ero un bambino che correva libero nelle campagne pugliesi, con le ginocchia sbucciate e il sole sempre in faccia. Sapevo riconoscere la cicoria da raccogliere e quella rovinata dal passaggio delle pecore, sapevo incidere con l’unghia gli steli degli asparagi per reciderli dalla parte più morbida, sapevo bucare un uovo appena covato per berlo tutto d’un sorso. La domenica, a pranzo, mangiavo le polpette fritte di mia madre, forse il cibo più buono del mondo, e dopo il riposino pomeridiano, io e mio fratello facevamo il bagno nella vasca piena di bolle e di giochi e di profumi, per poi asciugarci davanti al camino e fingere di spingerci dentro. Ero un bambino come tanti altri, senza pensieri e sempre in movimento, per cui ogni momento era insieme perenne e passeggero: un eterno presente in cui giorno e notte si confondevano come le stagioni, come i compiti a casa, come il taglio dei capelli.

Ho scoperto solo dopo, in tarda adolescenza, il sapore vagamente crepuscolare della vita, la netta differenza tra luce e ombra, quella capacità tutta umana di non dimenticare e portare sempre con sé le parole, i sentimenti, le ore. Avevo dei quaderni sui quali annotavo le cose che capita di vivere: ciò che mangiavo, gli sguardi obliqui dei professori, i segreti sussurrati ai compagni di classe, i testi delle canzoni che amavo, i litigi con i genitori, ma soprattutto i sogni che straripavano dalle pagine, diventando vento e burrasca.

Li ho ritrovati molti anni dopo, quando già vivevo con Pietro, racchiusi in una scatola da scarpe tutta ammaccata che era sopravvissuta a quattro traslochi: alcuni di quei sogni erano diventati vita vissuta, altri erano stati ricoperti da strati di polvere, delusione e infelicità.

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Daniele Messina
Classe ’83, è nato a Taranto e vive a Roma. È laureato in Editoria, Comunicazione multimediale e Giornalismo. Ha lavorato presso la Casa delle Letterature di Roma, come ufficio stampa in ambito editoriale e attualmente si occupa di formazione in lingua inglese. Cura la pagina Instagram “Bookabouts” in cui recensisce libri. “Malamore” è il suo secondo romanzo.
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