Dopo aver cercato ovunque i suoi fratelli e le sue sorelle, Mammon ha creato la sua colonia nella campagna toscana e si è rassegnato a un dato di fatto: è ormai l’ultimo Gatto Mammone ed è convinto che i responsabili della sua solitudine siano gli Streghi, creature malvagie che si confondono tra gli umani e che vogliono assorbire il suo potere. Nonostante si sia ripromesso di non avere niente a che fare con loro e di non immischiarsi con la magia oscura, Mammon dovrà ricredersi quando Latte, un suo suddito che sta per lasciare il Mondo Terreno, gli chiederà di proteggere la sua padroncina proprio da quegli esseri. E mentre Mammon cerca di far fronte alla richiesta, scoprirà una terribile verità.
Prologo
Secondo un’antica superstizione, i gatti neri sarebbero una presenza demoniaca. Portatori di cattiva sorte, sodali delle Streghe e complici del Diavolo.
Pare che alcuni papi, in tempi medievali, ne abbiano incoraggiato l’abbattimento al fine di scongiurare le tentazioni del maligno. Tutt’oggi, ci sono persone che, trovandosene uno davanti (un gatto nero, non un papa), preferiscono cambiare strada.
In verità, i gatti neri sono del tutto innocui, per quanto possa essere innocuo un qualsiasi gatto. Il loro manto non gli conferisce oscuri poteri né li rende particolarmente inclini a tormentare la brava gente.
A meno che non si tratti di un Gatto Mammone.
I Gatti Mammoni possono celarsi nel Mondo delle Ombre e muoversi al suo interno a piacimento. Li si può vedere, se si è abbastanza fortunati, soltanto nelle notti più tetre. E solo se sono loro a volersi mostrare. Si nutrono della cattiveria che alberga nelle giovani anime, perché la cattiveria corrompe l’animo e lo rabbuia, rendendolo nero come le tenebre con le quali i Gatti Mammoni condividono l’essenza.
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Capitolo 1. Il re dei gatti
La Casa Rossa era immersa nella campagna toscana. Si ergeva solitaria nella valle, ai piedi del piccolo paese di Peccioli, circondata da un fitto bosco di querce e olmi dove gli animali selvatici trovavano rifugio.
Erano passati quasi cento anni da quando la famiglia Bessi l’aveva costruita e ormai il rosso dell’intonaco stava sbiadendo in molti punti, attaccato dall’umidità e dall’edera che aveva preso a crescere sui lati più in ombra della casa.
Era un rustico casolare a due piani, come erano soliti costruire i contadini, con al piano terra dei grandi fondi, ormai inutilizzati, che un tempo avevano ospitato bestiame e macchinari per l’agricoltura e al piano di sopra un appartamento dove viveva la sua ultima occupante.
Quell’autunno era stato particolarmente piovoso e l’aria attorno alla Casa Rossa era resa pesante dai toni muschiati delle foglie ingiallite lasciate a marcire intorno al perimetro della casa. Le temperature non erano ancora scese e di giorno i raggi del sole abbracciavano delicati il vecchio rustico, filtrati dalle chiome degli alberi. Alcuni gatti erano soliti bazzicare per il cortile in cerca di topi, e altri se ne stavano sui gradini che conducevano all’abitazione al primo piano, intenti a lasciar assorbire quanto più calore possibile alle loro pellicce.
La signora Bessi era ormai troppo anziana per continuare ad avere cura del grande casolare come quello avrebbe meritato. C’era entrata da ragazza, subito dopo essersi sposata, ma si era sentita serva in casa sua per molti anni; come da tradizione dell’epoca, nella gerarchia femminile della cura della famiglia aveva dovuto sottostare agli ordini della madre del marito, soprattutto dopo che lui era venuto a mancare.
La suocera se n’era andata pochi anni prima, dopo una lunga malattia che l’aveva costretta a letto, incapace di prendersi cura di se stessa. Non era rimasto nessun altro in casa che avrebbe potuto occuparsi di lei e non era certo un compito per i suoi due figli maschi, si era detta la signora Bessi. Così si era assunta quel dovere, pensandosi una martire e lasciando trapelare qua e là tutto il rancore maturato negli anni verso la suocera, che fra sé chiamava “quella donna”.
Poco dopo la malattia della nonna, i due ragazzi si erano trasferiti in città, come avevano preso a fare i giovani in quegli anni. Lasciavano i loro nidi di campagna per non farvi più ritorno e il piccolo paese di Peccioli lentamente si svuotava, le sue botteghe chiudevano per la penuria di clienti e la vita si faceva più solitaria e lenta.
Da come le dicevano, il lavoro e la famiglia tenevano i due ragazzi troppo impegnati per andarla a trovare, ma la signora Bessi non si tratteneva dallo sfruttare ogni occasione per vantarsi di loro con i compaesani quando saliva con la sua vecchia Renault 4 a riscuotere la pensione o a fare compere. Il figlio maggiore era diventato un architetto e questo, ne era certa, le dava il diritto di ricordarlo a tutti in paese, dove i giovani che avevano conseguito una laurea erano ben pochi.
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