Tutti gli altri fanno no con la testa meccanicamente. Non sono convinti al cento per cento che andare avanti sia la cosa più saggia da fare, ma non vogliono neanche passare per codardi. Il ragazzo spinge l’uscio semiaperto e con un cenno del capo intima agli altri di entrare: troppo tardi per tornare indietro. Si ritrovano così in un ambiente vuoto illuminato solo dalla poca luce che, sotto forma di perfette diagonali, si fa strada attraverso le fenditure che il tempo ha eroso negli scuri.
Gli occhi ci mettono un po’ per abituarsi alla luce. Quando finalmente l’adattamento è avvenuto, i ragazzi prendono coraggio e iniziano a perlustrare lo spazio circostante.
La penombra rende la situazione surreale, considerato che fuori il sole è accecante. Sono entrati all’improvviso nella scena di un vecchio film, proprio come avevano desiderato, anche se, ora che sono lì, il ripensamento è sempre più forte.
«Ma siete sicuri che sia questa la casa?» chiede timidamente un ragazzino con un buffo groviglio di capelli ricci sulla testa.
«Ancora con questi dubbi! Certo che è questa. La conoscono tutti la storia di Pasanella. Ci sono un sacco di persone che giurano di averla vista dietro la finestra. Mia zia, per esempio, lavorava a giornata da queste parti, e l’ha vista con i suoi occhi!», risponde sbuffando Luigi che, a quanto pare, è l’unico a conoscere la storia.
«Ed è vero che fa impressione?», chiede ancora il ragazzo riccio, passandosi una mano sulla fronte sudata per la paura.
«Certo! Non c’è niente di più terrificante di una malombra. Assomiglia a una donna vestita di stracci ma non è umana. Ѐ inconsistente, come fumo nero», ribatte Luigi, vantandosi di conoscere tanti particolari.
«Ma io ancora non ho capito cos’è una malombra» dice allora un altro ragazzo, il più alto del gruppo.
«La malombra è uno spirito in cerca di pace, che si diverte a spaventare le persone. Bisogna stare molto attenti a non essere presi. Se hai la sfortuna di entrare nel cerchio della malombra, sei costretto a ballare senza sosta. Non riesci più a fermarti, è più forte di te», spiega Luigi.
Il racconto del ragazzo è costruito ad arte non solo nel contenuto. Il tono della voce è usato in modo da creare mistero in chi ascolta. Gli occhi vengono sgranati per enfatizzare le parole e le braccia ondeggiano per mimare i presunti movimenti dello spirito.
Un rumore metallico di lattina che rotola fa trasalire tutti, fino a quando un gatto irrompe nella stanza, sbucato da chissà dove. La povera bestia, che sembra stia scappando da qualcosa, cerca disperatamente un’uscita. Si lancia prima verso una delle due finestre della facciata, sbattendo contro il vetro che si frantuma in mille pezzi. Ricade a terra e si lancia contro l’altra finestra. Sembra posseduto da uno spirito maligno.
Poi, capendo che l’unica apertura è quella da cui è entrato, una porta socchiusa di cui nessuno si era accorto prima, scompare.
I ragazzi, colpiti dalla scena, istintivamente vanno nella stessa direzione, presi dalla curiosità di conoscere le sorti dell’animale, quando dinanzi, a loro, si materializza all’improvviso ciò per cui sono entrati in quella casa.
Una figura alta poco più di loro vestita di nero, con abiti sfilacciati e un velo che ne cela il volto, si lancia verso il gruppo, con il chiaro intento di acchiappare qualche malcapitato. La stanza ora è intrisa di terrore. Chi urla, chi scappa, chi chiude gli occhi sperando che sia solo un brutto sogno …
Il più coraggioso riesce a dirigersi verso la porta d’ingresso, che i ragazzi avevano deciso precedentemente di chiudere per evitare che qualcuno vedesse che erano lì, in una proprietà privata.
Tutti, nonostante il panico, riescono a sfuggire alle grinfie dello spirito, uscendo da quella casa maledetta.
Tutti tranne due. Nel fuggi fuggi generale, infatti, un ragazzo bruno dai tratti mediterranei e un altro, quasi il suo opposto, biondo con intensi occhi verdi, restano immobili a guardare la strana figura che continua a muoversi da una parte all’altra con l’unico intento di spaventare i presenti.
I due ragazzi sono impassibili nel guardare la scena. La malombra prova a spaventarli ancora di più, ma niente: i due sono immuni alla paura.
La luce che entra dalla porta d’ingresso mostra l’inganno. La malombra, capendo di non poter più continuare, si ferma davanti ai due e si toglie il velo, scoprendo la faccia di un giovanotto, di qualche anno più grande, che conoscono.
«Siete gli unici che non ci sono cascati. Me l’aveva detto mio cugino che eravate strani voi due», dice la falsa malombra mentre si toglie di dosso gli stracci.
«Noi?! Mi sbaglio o sei tu alla tua età ad essere vestito in modo a dir poco strano?» sbotta sarcastico il ragazzo bruno.
«Dai Teo, lascia perdere. Avremmo dovuto prevedere che Luigi stava tramando una cosa del genere» lo blocca il ragazzo biondo.
La malombra sta per controbattere quando un tuono fa capire che fuori il tempo è cambiato. Di colpo la stanza è diventata più buia, segno che il cielo si è annuvolato.
«Forza, andiamo, sta per piovere» è il consiglio del ragazzo più grande: il gioco è finito.
Una volta all’esterno, si rendono conto della reale situazione meteorologica: nuvoloni neri minacciosi e lampi e fulmini all’orizzonte. L’aria profuma già di terra bagnata: è meglio affrettarsi a tornare a casa. Il giovanotto, come se niente fosse successo, saluta frettolosamente e sparisce a bordo di uno scooter che era stato parcheggiato sul retro. «Max, riusciremo ad arrivare in paese senza bagnarci?» chiede Teo preoccupato. «Anche se fosse?! Dov’è il problema? Vorrà dire che ci rinfrescheremo un po’. L’estate è arrivata davvero puntuale quest’anno» gli risponde il biondo con un’espressione imperturbabile negli occhi. Mentre si allontanano dall’edificio, Max ha la sensazione che qualcuno alle sue spalle lo stia osservando. Teo è molto più avanti, intento ad accelerare il passo per evitare la pioggia imminente. Di scatto Max si volta e, affacciata a una delle due finestre della casa, che prima erano chiuse dagli scuri, nota una figura femminile dai lunghi capelli neri che le scivolano sulle spalle. Non riesce a distinguerne i lineamenti ma coglie un’espressione di profonda tristezza sul volto della fanciulla. Il ragazzo ha l’impressione, anzi l’assoluta certezza, che si tratti di colei che il gruppo è andata a cercare. Tante volte sua nonna ha raccontato a lui e Teo, suo cugino, la storia di Pasanella, che lei stessa quasi cent’anni prima, aveva conosciuto, così come aveva conosciuto gli altri personaggi della storia, dal tragico epilogo, che ha portato la ragazza a diventare una malombra. Pasanella aveva avuto la sfortuna di innamorarsi dell’uomo sbagliato, un giovane bello come il sole, arrivato in paese un pomeriggio d’inverno. Costui preferì la sorella di lei, Agnese, che cominciò a contraccambiare le attenzioni del giovane, nonostante fosse sposata. Pasanella, accecata dall’invidia, fece in modo che il marito della sorella scoprisse il tradimento. Un giorno Agostino, così si chiamava il giovane di cui le due donne si erano invaghite, fu trovato morto in un tratturo nelle campagne di Malaterra. Tutti in paese sapevano cosa era successo, ma nessuno parlò mai. Pasanella, divorata dal dolore per aver perso l’unico uomo che avesse mai amato e dai sensi di colpa per aver rovinato la vita della sorella, si chiuse in casa senza avere più contatti con nessuno, fino alla morte. Da allora, in paese si pensa che il suo spirito non riesca a trovare pace e sia diventato una malombra. Max avverte un disagio improvviso. Non è paura, piuttosto irrequietezza. Istintivamente serra le palpebre. Non ha neanche il tempo di capire cosa gli stia succedendo, che la sensazione passa. Nel riaprire gli occhi si accorge che la figura alla finestra è scomparsa e gli scuri sono chiusi.
Autosuggestione, pensa il ragazzo accelerando il passo per raggiungere il cugino. Qualche saltello veloce ed è subito al fianco di Teo. «Sempre il solito, Luigi! Gli è andata male un’altra volta. Come ha potuto pensare che ci saremmo cascati. L’arrivo di una malombra è preceduto da un alito di vento gelido» commenta Teo, con il tono di chi la sa lunga. «E già! Perché tu ne hai vissute tante di esperienze simili nei tuoi dodici anni di vita, vero?», gli dice Max con una punta di benevola ironia nella voce. «Che c’entra, scusa. Sicuramente ne sappiamo più noi di queste cose, no?». Max non replica all’affermazione del cugino, ritenendo del tutto ovvia la risposta. Inoltre, non c’è più tempo per parlare: è arrivato il momento di scattare. Il temporale è arrivato violento. Non pioggia ma grandine. I chicchi sulla testa e sulle braccia fanno male, ma fortunatamente ancora cento metri e saranno al sicuro. La loro casa, una delle costruzioni più antiche del paese, è la prima che si incontra arrivando a Malaterra da ponente.
L’uscio d’ingresso è aperto. Entrano dentro in corsa andando quasi a sbattere contro una vecchietta dalla schiena curva che è lì pronta per uscire. «E voi due, fuori eravate? Pensavamo foste in camera. Aspettatevi una lavata di testa dalle vostre madri» li avverte la donna con un sorriso indulgente che le illumina gli occhi.
«Già che siete qua, datemi una mano».
«Sì, nonna» rispondono in coro i ragazzi, seguendo le indicazioni della vecchina, la quale fa segno a Teo di afferrare l’ombrello lì vicino e a Max di prendere dalla consolle dell’ingresso il fazzoletto di lino ricamato che avvolge qualcosa di tondo.
I ragazzi sanno già l’atto che la nonna sta per compiere. Glielo vedono fare tutte le volte in cui il maltempo desta qualche preoccupazione in più.
«La grandine d’estate è una sciagura per i contadini. Il raccolto rischia di essere compromesso. Dobbiamo intervenire» dice con voce ferma la donna, certa di poter cambiare il corso degli eventi.
«Dobbiamo metterci all’angolo della strada» continua la donna, ordinando a Teo di uscire per primo e aprire l’ombrello.
Stretti stretti per non bagnarsi, raggiungono il crocevia, fortunatamente poco distante.
La donna toglie con fermezza il fagottino dalle mani di Max, apre i lembi del fazzoletto e da una pagnotta del diametro di poco meno di dieci centimetri, strappa qualche briciola, lanciandola in direzione dei quattro punti cardinali.
“Alzati San Giovanni, non dormire,
che sto vedendo tre nuvole arrivare:
una di acqua, una di tuono e una di vento.
Dove lo portiamo questo brutto tempo?
Dentro una grotta oscura,
dove non canta gallo e non brilla la luna,
perché non faccia male
a me e a nessun’altra creatura”.
Per quattro volte la nonna recita l’invocazione, una per ogni punto cardinale. Ogni volta si girano tutti e tre compatti sotto l’ombrello in direzione di ciascuno di essi.
Alla fine, con il tono di chi sa di aver fatto il possibile e che tutto si è compiuto, dice: «Meno male che di Sant’Antonio sono riuscita ad andare in chiesa per prendere il pane, altrimenti non avremmo potuto fare niente. Torniamo dentro. Dobbiamo accendere un cero benedetto alla festa della Candelora».
Rientrati a casa, la vecchina, così come detto ai nipoti, va a compiere l’ultimo atto di questo rito antico, tramandato di madre in figlia per generazioni. Questo come tanti che a poco a poco emergeranno in questa storia in tutta la loro potenza.
Daniela Rossetti (proprietario verificato)
Daniela, bellissimo ! Leggendo questa anteprima mi sono sentita subito “dentro ” la storia.
… ed è solo l’inizio … 😀
Claudia Palummieri (proprietario verificato)
Brava Daniela! Anteprima scorrevole e molto piacevole. Sono riuscita a disegnare i luoghi con la mente. Curiosa di leggere il resto!