Comincia tutto con un SMS. Una mattinata normale, come tante prima: doccia e barba, giacca e cravatta, cappuccino, cornetto e Gazzetta dello Sport al bar, corsa in macchina per evitare di fare tardi come al solito perché ci si è dilungati troppo nel leggere l’ultima perla di Mourinho (imprecando qua e là fra una vecchietta che a novant’anni non si sa chi si assuma ancora la responsabilità di metterla al volante, un vucumprà che ti rompe le palle coi suoi fazzoletti, semafori che diventano rossi proprio davanti a me – ne mancassi uno!)… insomma, quello che capita a tutte le persone normali.
E alla fine arrivo in clinica (ah, mi scuso, nella foga dell’introduzione avevo dimenticato di dire che sono un medico). È una bella struttura, non c’è che dire: confortevole, pulita, tranquilla, ordinata, privata (ovviamente). Uno dei principali azionisti è la casa farmaceutica di cui mio padre è Presidente, nonché proprietario (ebbene sì: sono un raccomandato, ma onesto, e almeno lo ammetto). E quello che più mi piace di questa clinica è che i pazienti, per mia fortuna, mi danno ben pochi grattacapi: tutti casi semplici, niente di particolarmente grave; ho il sospetto che questa mia fortuna in realtà sia pilotata dall’alto, nel senso che i miei colleghi fanno in modo di tenermi fuori dalle faccende più serie. Hanno poca stima di me, questo è certo. Tanto meglio: ho pochi pensieri e lo stipendio bello alto sempre assicurato (tanto, chi glielo andrebbe a dire a mio padre che il suo unigenito non lavora più qui?). E così ho anche più tempo libero: un po’ di scherma, un po’ di golf, belle macchine, bei vestiti, ristoranti di lusso, la mia fidanzata Valentina… bella ragazza (un culo che così alto e sodo non lo avevo mai visto prima… per essere una trentenne!), un po’ snob a dir la verità, la classica figlia del Conte di Nonsoche che non ha mai fatto un cavolo nella vita ma se la gode benissimo coi soldi di papino (e su questo andiamo molto d’accordo), viziata fino all’osso, arrogante e presuntuosa, con la modestia di un pavone e che soprattutto mi dà sui nervi con i preparativi per il nostro matrimonio (lo vuoi capire, cara Valentina, che non me ne frega una mazza se la Duchessa di Pincopallino si deve sedere al tavolo con la Marchesa di Diocenescampi, anche se le loro famiglie non si parlano dal ‘600?!). Il tipo che sicuramente mio padre crede faccia al caso mio: in effetti, se non ricordo male, l’ho conosciuta a una festa di capodanno organizzata da lui nella nostra casa in Sardegna, una di quelle a cui ci viene solo gente di un certo livello. Ripensandoci, potrebbe essere che mio padre avesse organizzato tutto quel vecchiardo ambaradan solo per presentarci: aveva un affaruccio in sospeso col Conte e una liaison fra i due pargoli (secondo i suoi piani) avrebbe sicuramente favorito la cosa. Lui la definiva una ragazza molto elegante, istruita… io, a posteriori, la definirei come una con la puzza sotto al naso e saccente ma, d’altronde, chi non lo è in quell’ambiente: come biasimarla? E quali migliori alternative per una promessa sposa, in fondo? E poi, lo ripeto, per quel culo le si perdona tutto: credetemi, del mio giudizio ci si può fidare (e poi, anche con il passare degli anni, con tutti quei soldi, hai voglia a liposuzioni e ritocchini!). E così, fidanzamento e affaruccio sono andati in porto con un bel “e vissero tutti felici e contenti”.
Ma torniamo all’SMS, che sto sviando dal mio inizio lanciato. Tra un vecchio con l’influenza e un bimbo con la varicella (li odio quelli, perché io la varicella non l’ho avuta e, ogni volta che ne visito uno, poi sto giorni e giorni a vedere se mi spuntano macchie), mi arriva uno strano messaggio. Preparati: il tuo tempo è giunto. Fra cinque giorni non sarai più, questo il testo. Lì per lì, resto sbigottito: penso subito a uno scherzo di quel deficiente del mio amico Gianni, grande testa di cavolo che dai tempi delle superiori non mi tolgo più di torno e che, nonostante sia un manager affermato nell’azienda di mio padre, perde ancora tempo con queste cazzate. Ma la cosa strana è che non compare alcun mittente per questo messaggio: la casella è vuota.
Mentre sto ancora lì con la faccia crucciata a cercare una risposta mordace per Gianni e a chiedermi come diavolo abbia fatto a non far risultare nessun mittente (non è poi così ferrato con la tecnologia!), sento la voce di Loredana, l’infermiera che mi aiuta (gran figa!), che mi guarda con aria preoccupata e mi chiede: «Tutto bene, dottore?».
«Sì sì, grazie Loredana, fai entrare il prossimo!»
«Bene, allora faccio accomodare il signor Parini!» dice lei con quella solita voce suadente e calda quasi fosse una hotline, che credo faccia apposta solo con me (ho il vago sentore che voglia portarmi a letto per far carriera… e chissà che un giorno non la accontenti… prima del matrimonio, per carità, ho pur sempre una morale!).
«Venga, signor Parini, si segga pure.»
«Grazie, dottore. Vede, anche oggi mi sento un po’ giù. Lo so, mia moglie è morta da tanti anni ormai, ma da quando non c’è più lei in quella casa…»
Cavolo, in genere ricordo qualcosina in più dei colloqui col signor Parini: è un povero vecchio che ha perso la moglie per una grave malattia – non ricordo quale – più di vent’anni fa e ormai sono un paio d’anni che viene da me almeno una volta a settimana. Io ci provo ad ascoltarlo ma è una noia mortale: l’inizio è sempre uguale, anche se cambiano un po’ le parole, e i piagnistei cominciano sempre allo stesso punto (una volta l’ho cronometrato: circa un minuto e mezzo dopo che si è seduto). Io annuisco – che quello mi costa poco farlo – ma il mio record di attenzione nei suoi riguardi in una seduta è stato di dieci minuti; in genere, si trattiene almeno una mezzoretta: dopodiché prende un attimo fiato nel suo sproloquio e allora io ne approfitto e compilo la ricetta con gli antidepressivi, che chiude tutti i discorsi e rimanda lo strazio alla settimana successiva. Ma, in fondo, siamo tutti contenti così: il signor Parini, che ha una buona ragione per uscire di casa e se ne ritorna con una bella manciata di serotonina in più; io, che sfrutto la sua visita per pensare un po’ ai fatti miei; e mio padre, perché ovviamente gli antidepressivi che prescrivo sono quelli che produce lui (come la maggior parte dei farmaci che do ai miei pazienti, d’altronde); ma, sia chiaro: a me non entra un euro… lo faccio solo per amore e reverenza filiale.
Stavolta, però, la mia resistenza al signor Parini è molto più bassa del solito, quasi nulla. Ma ho una valida giustificazione: non capita tutti giorni di ricevere SMS un po’ criptici sulla propria morte, anche se uno ha la sfiga di avere un amico come Gianni.
Per fortuna, dopo il signor Parini, c’è la pausa pranzo. Ne approfitto per indagare un po’ sulla faccenda dell’SMS. In genere Gianni fa scherzi molto più stupidi, non così elaborati e neanche così di cattivo gusto. È più il tipo da gavettoni d’acqua mentre siete tutti in ghingheri, da schiuma da barba nelle tasche del cappotto – mamma mia, che gente frequento! Diciamolo tranquillamente (tanto gliel’ho già detto io un milione di volte): è un cretino da prima elementare, ma non cattivo.
Però non si può mai sapere che si sia bevuto il cervello o abbia deciso di cambiare stile. Decido di chiamarlo, tanto sarà in pausa anche lui probabilmente, così metto fine a questa storia e posso pensare a cose più serie (ho un importante torneo di golf a breve, non l’avevo detto?!).
«Ciao, cretino!»
«Dottor Leonardo, è sempre un gran piacere sentire la tua voce così gentile e amichevole! Non mi dire che mi chiami di nuovo perché Miss Valentina, anche conosciuta come “l’eroina della nobiltà”, vuole appioppare al mio tavolo una qualche super contessa? Te l’ho detto: io voglio stare a un tavolo di sole donne in un range di età che va dai 19 ai 28! Mi offendo se mi accolli la vecchia!!»
«Sì, tranquillo, avrai le tue oche! Ti ho chiamato perché volevo farti i complimenti per lo scherzone. Un pochino esagerato, però, non trovi?»
«Quale scherzone? Ma ti pare che con tutti i casini che abbiamo in azienda ho il tempo di fare gli scherzi?! Magari! C’è la crisi, lo vuoi capire? Bisogna crescere, crescere: tuo padre mi fa una testa così ogni giorno, ormai! Ma cosa ne vuoi sapere tu della crisi nella tua bella clinica! Toh, parli del diavolo… ecco tuo padre, lo vedo, sta venendo nel mio ufficio! Dio, è incazzatissimo come al solito! Devo lasciarti, sta per entrare! Senti, diglielo tu che mi faccio un culo così tutti i giorni, eh? Per favore! Ciao, sposo!»
La faccenda si complica. Se c’è una cosa che Gianni non sa fare è mentire sui suoi scherzi: non resiste all’impulso di vantarsi del suo “genio comico”, è più forte di lui. Ed è l’unico che li trova divertenti, si fa sempre delle gran risate quando se ne parla. Gianni è da escludere.
Ma, a questo punto, chi è che può avermi mandato questo messaggio un po’ inquietante? E poi proprio non mi spiego la faccenda del mittente: se scopro come si fa a mandare un messaggio a qualcuno facendo in modo che sul cellulare di quello non compaia alcun mittente, neanche la scritta “Numero Privato”, comincio a divertirmi anch’io… magari, potrei scrivere a Valentina ciò che veramente penso di lei, questo sì che sarebbe spassoso. Forse se chiamassi l’assistenza del mio operatore telefonico mi saprebbero dire qualcosa.
Ho sempre trovato molto noiosi i call center, ti fanno aspettare un sacco di tempo e il 90% delle volte non ti dicono quello che ti serve sapere; e poi i ragazzi che ci lavorano mi fanno un po’ pena: trovatevi un lavoro serio, diamine!
«Salve, sono Salvatore, in cosa posso esserle utile?»
Accidenti, questo qui si sentirebbe anche da un chilometro di distanza che è calabrese. Quando gli chiedo da quale numero proviene l’SMS che ho ricevuto circa un’ora prima, Salvatore resta perplesso: dice che l’ultimo messaggio risale a ieri sera, da parte di un numero che so bene essere di Valentina. Oggi non ho ricevuto nessun messaggio, secondo lui. E che cavolo, Salvatore: nonostante il nome, non mi salvi per niente dall’impasse! Però, mi sembra strano che a loro non risulti alcun nuovo messaggio: anche se il mittente è anonimo, comunque dovrebbe essere visibile, credo! E sul fatto dell’anonimato, Salvatore mi dice che ci sono tanti modi per mandare messaggi senza essere rintracciati, ma un’informazione posso averla leggendo il numero del centro messaggi. Almeno è qualcosa!
Controllo ma anche riguardo al numero del centro messaggi non c’è niente. Oh, basta, adesso mi sono stufato! Non posso star qui a perdere il mio tempo prezioso per una cavolata del genere, frutto della mente di un deficiente che probabilmente non avrà di meglio da fare che dar fastidio a me: se lo becco, gli regalo io quello che più desidera, così trova il modo di passare il tempo costruttivamente, coglione! Ma sì, meglio concentrarsi sul golf, che ho un allenamento importante tra poco.
E poi stasera cena da mio padre: accidenti, solo a dirlo mi sembra di sentire risuonare l’incipit della Quinta di Beethoven! Da quando sono stato assunto in clinica, vivo per conto mio: la casa dove abito è sempre di mio padre in realtà e ora che ci penso anche la cuoca e la governante sono quelle che stavano da sempre al suo servizio. Be’, comunque, vivo da solo e me la cavo benissimo: soltanto che lui ci tiene a mantenere una parvenza di famiglia unita come ai vecchi tempi e così, da quando me ne sono andato, mi costringe a cenare insieme tutti i venerdì sera. Non fraintendete, io voglio bene a mio padre (come potrei non volergliene se si è sempre occupato di me, dandomi sempre tutto quello di cui avevo bisogno?), però è un tipo veramente triste, cupo, di nessuna compagnia: credo di non averlo mai visto ridere! Chissà se era così anche prima che la mamma se ne andasse, quando ero molto piccolo: si dice che sia scappata col maestro di ballo e che ora sia a Cuba a gestire un bar. Ovvio, biasimo mia madre e la condanno: come è riuscita a lasciare questa bella vita e andarsene dall’altra parte del mondo a vivere come una poveraccia? Ma negli ultimi anni forse comincio anche un po’ a capirla: è veramente dura stare con mio padre, non fa altro che lavorare, l’unica pacca sulla spalla me l’ha data il giorno della mia laurea. Della vita degli altri non gli interessa nulla che non sia legato al lavoro (non è mai venuto a un mio torneo sportivo!) e pensa di compensare il tutto regalandoti mille cose (e su questo lo lascio fare, almeno ne traggo qualcosa da questa scarsa considerazione paterna). Ma la cena in famiglia del venerdì è ormai un rito (o una punizione) e non mancherò.
Piergiovanni Di Domenico (proprietario verificato)
Un libro magico ed emozionante fino all’ultima pagina. L’ho amato da subito. Momenti spensierati e divertenti che si intersecano a momenti che ti entrano dentro nel profondo. Così com’è la vita stessa. Tutte le pagine del libro custodiscono il senso più profondo dell’esistenza. Con un finale talmente emozionante da farti capire il vero senso della vita.
“Mi basta il tempo di morire” un romanzo da leggere assolutamente. E a Gianluca Barra, oltre che complimentarmi per la sua prima esperienza di scrittore, chiedo di leggere il secondo romanzo al più presto.
Valeria Barra (proprietario verificato)
Scorrevole nei dialoghi, avvincente la storia, profonde le riflessioni, “Mi basta il tempo di morire” si fa leggere senza sosta per scoprirne, quanto prima, l’epilogo. Un viaggio del protagonista alla riscoperta di se stesso, quello che ognuno di noi dovrebbe fare. Assolutamente da leggere!!
Cettina Mazza (proprietario verificato)
“Un viaggio intimo e profondo in una Praga che diventa la sua vita. L’incontro con i personaggi che sono le sue debolezze e le sue mancanze.
La capacità di ripercorrere le stesse strade e le stesse tappe guardandole con occhi diversi, dopo essersi liberato da molte inutili sovrastrutture.
Un viaggio dal finale ineluttabile: il traguardo diventa la tappa di inizio del vero viaggio, che non può prescindere da quelli che sono i suoi elementi fondanti”
Da leggere!
p.russoverrone
“Mi basta il tempo di morire”é un libro che si legge tutto d’un fiato! Avvincente…ti tiene compagnia. Lo consiglio vivamente.
DARIO PEDICINI (proprietario verificato)
Piacevole sensazione di potersi immergere in chi ha avuto la possibilità di sapere la data della propria morte, io non avrei avuto così tanto coraggio.
SILVANA TUFANO (proprietario verificato)
Chiunque si è chiesto almeno una volta nella vita cosa farebbe se sapesse che di lì a poco lascerà questo mondo. A tutti verrebbe da pensare all’annuncio di una malattia incurabile. Ma in questo libro non è così. Un messaggio criptico dà questo annuncio sconvolgente. Un racconto sin dall’inizio enigmatico e che fa venire la voglia di leggerlo tutto d’un fiato.