Non era molto distante da dove mi trovavo, giusto alcuni incroci e un paio di semafori.
Intanto, mentre guidavo, i miei ricordi si focalizzarono su quel rogo maledetto. Ad un certo punto ebbi addirittura la sensazione di riavvertirne il nauseabondo odore che emanava: carne bruciata, mista alla fragranza pungente della benzina. Riemerse, tra i ricordi, perfino il mio respiro affannoso di quella notte. Avvertii i miei battiti del cuore impazzire, e li sentii pulsare nelle tempie esattamente come allora.
Poi c’era quell’angoscia pazzesca, alimentata dalla consapevolezza che nulla avrebbe cancellato quel gesto crudele. Così, mentre rivivevo quella mescolanza di antiche sensazioni, ero praticamente giunto a destinazione.
Frenai, spensi il motore e scesi dalla macchina lasciando la portiera spalancata. Camminai sul terreno erboso, con la testa alta e lo sguardo fisso.
Mi accorsi subito quanto quel posto, negli anni, si fosse completamente trasformato.
Era letteralmente irriconoscibile. Dove prima c’era il bosco, avevano costruito dei capannoni industriali. Una serie di lampioni, all’epoca assenti, illuminavano tutta la zona. Di fatto, lo stesso luogo, non appariva solo diverso, ma, soprattutto, molto meno inquietante. Tanto che, probabilmente, non sarebbe più stato un luogo adatto a quelle circostanze. Era talmente cambiato che, ad un certo punto, dubitai perfino di trovarmi nel posto voluto. Mi venne così spontaneo girare su me stesso, per cercare di riconoscere dei punti di riferimento. Alla fine ne trovai diversi, e mi convinsi che ero esattamente nello stesso punto di vent’anni prima. Il cielo, quel tardo pomeriggio, era permeato da incantevoli sfumature scarlatte, ad annunciare il tramonto che stava per sopraggiungere.
Neanche le tinte centravano nulla con quelle di allora, quando le fiamme si innalzarono improvvisamente, illuminando tutt’intorno. Respirai profondamente, tirai un calcio a un sassolino che rotolò sull’erba, poi girai verso l’auto per tornare a casa. Riavvertii ancora l’odore di bruciato. Mi sembrò lo stesso che aleggiò quella notte lontana. Allora mi arrestai di botto, chiusi gli occhi e mi concentrai su quella percezione. Peccato che la mente mi ingannò, e mi restituì un’immagine che pensavo di aver già archiviato: quella di Luisa che godeva sopra di me, con il volto storpiato dal piacere.
A quel punto raccolsi le forze e, sconvolto, rimontai in macchina.
Accesi il motore, inserii la marcia e ripartii veloce, come se stessi di nuovo fuggendo, per la seconda volta e dopo tutti quegli anni di distanza, dalla stessa situazione disgraziata.
Solo in quel momento mi resi conto che si era fatto tardi. Era già ora di cena inoltrata, anche se non avevo più la benché minima fame.
“Come mai così tardi, stasera?” mi chiese mia moglie appena rientrato in casa. “Niente… ho avuto un’urgenza…” mentii con disinvoltura mentre prendevo posto a tavola. Si avvicinò e, girandomi dietro le spalle, mi avvolse affettuosamente. “Alla tua età non dovresti lavorare così tanto, lo sai vero? Non hai più il fisico! Basta che non mi nascondi nulla di importante…”.
Stava scherzando, per fortuna, così mi venne facile far cadere nel nulla quel discorso, e iniziai a mangiare in silenzio.
Quella sera andai poi a letto presto e mi misi a leggere delle riviste mediche, nella speranza che conciliassero il sonno. Poco dopo mi raggiunse anche mia moglie e, spostandomi la rivista da sotto il naso, mi chiese: “Mi spieghi che cosa c’è che non va? Sono un paio di giorni che mi sembri totalmente assente… Cosa diavolo ti frulla in questa testona? Ti conosco dai! Non mi freghi! Me lo dici o no?”.
“Non ti ho mai raccontato nulla in tutti questi anni… figurati se te lo racconto adesso… amore mio. Sono un uomo di merda! Un vero uomo di merda! È questo che dovrei dirti?” pensai mentre la guardavo.
Realizzai anche quanto fosse ancora bella nonostante gli anni.
Poi chiusi il giornale, e lo appoggiai sul comodino.
Con la faccia provata di chi è stufo, e non vede l’ora di riposare, tagliai corto: “Niente… niente… tranquilla. Sono solo un po’ stanco. Tutto qui. Stai serena… buonanotte tesoro”.
Dalla sua faccia capii che non se l’era per niente bevuta. Ma non aggiunse altro.
Mi girai dalla parte opposta, mentre una lacrima scivolò repentina sulla mia guancia, prontamente assorbita dal cuscino asciutto.
****
Tutto accadde circa vent’anni fa. Attimi concitati che, distorti dalla memoria, si fusero insieme in un’angosciante successione illogica di eventi. Ricordo immagini rallentate e confuse. La coscienza disinibita e la percezione alterata da quell’alcool stupidamente ingerito. Tra i fumi dell’ebbrezza e lo stordimento del piacere sessuale, le sue parole, inaspettate ed ingannevoli, si intrufolarono repentine nella mia testa. Un cocktail di profumi e di colori che, mescolandosi sapientemente, permisero alla follia di prendere il sopravvento.
Fu così che mi trasformai in un miserabile pazzo furioso.
Quello che accadde poi poteva essere chiamato in cinquecento modi diversi. Poteva avere altrettanti cinquecento possibili esiti differenti. Ma alla fine, furono solo due le certezze residue.
La prima fu che tutta questa storia ebbe inizio, come spesso accade, con un tradimento del tutto simile a migliaia di molti altri.
La seconda, invece, che terminò, come non dovrebbe mai succedere, nel modo peggiore che si possa immaginare.
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