Diverse volte mi sono ritrovata al loro fianco, alcune decisamente contro. Ma sempre insieme, nel privilegiato compito di educare i ragazzi. L’idea di questo libro mi ha subito entusiasmata, perché credo sia di fondamentale importanza conoscere chi e cosa siamo chiamati ad amare. Molto spesso ho dovuto allontanare genitori, innamorati dei loro figli, dai campi da gioco perché ossessionati dalla competizione, dal successo e dalle potenzialità del ragazzo: chiedevano di più quando il giovane non era ancora pronto a darlo, oppure fomentavano l’aggressività e la violenza, insultavano l’arbitro, si mostravano in atteggiamenti tali da far vergognare i ragazzi, discutevano con fin troppa agitazione questioni prevalentemente tecniche di cui conoscevano poco o nulla, insultavano i mister per le decisioni tattiche o le scelte di far scendere o meno in campo i ragazzi.
Tante volte mi sono chiesta come limitare i danni di tanta irruenza e maleducata presunzione: elementi che colpiscono, molto più di quanto si creda, l’evoluzione della crescita dei bambini e dei giovani, segnandola anche in maniera negativa. Per me la risposta è sempre stata una: “formazione”: ho dedicato, in tal senso, ore di ascolto e consigli a sostegno della genitorialità. Molto spesso ci si infiamma facilmente per quello che non si conosce, o si conosce troppo poco e male. Così questo prezioso volume, di facile consultazione, viene pensato come guida per tutti quei genitori che sono convinti che il loro figlio sia un campione, per quelli che lo sognano e anche per quelli che sanno che il loro figlio calciatore non lo diventerà, ma può sognare di essere campione nella vita, scoprendo i suoi punti di forza e le sue abilità nel superare i propri limiti o nell’accettarli.
Un genitore che sa ed è competente, infatti, è un genitore che si prenderà cura delle reali potenzialità del proprio figlio e potrà garantirgli una più concreta guida nel suo percorso verso la maturità, nell’acquisizione della sua autonomia. Saprà regalargli delle armi preziose: la capacità di ascolto e di confronto produttivo, la capacità di vedere le proprie cadute come errori che si possono riparare e non come fallimenti e la capacità di comprendere cosa e come può essere sviluppato e tutto quello che invece va lasciato andare.
Un giovane autore, professionalmente affermato in ambiti diversi ma con grande esperienza del mondo del calcio, ha dato vita a un piccolo manuale, guida efficace per i genitori che, nella scelta dell’educazione sportiva, sperano il meglio per i propri figli.
Salvatore Pappalardo, insegnante specializzato in formazione e tecnico UEFA B, laureato in Scienze e Tecniche Psicologiche e in Economia, si è impegnato nella realizzazione di questa monografia che indaga, spiega e racconta l’inserimento dei bambini e dei giovani nell’ambiente calcistico dei nostri giorni, ben variegato di scuole calcio, società e associazioni sportive e non, che veicolano non sempre giuste prassi educative.
Vengono approfonditi determinati temi, dagli aspetti psicologici e pedagogici del ruolo genitoriale alle conoscenze sul gioco, i suoi significati e la gestione sana della pratica sportiva e di tutte le componenti fisiche, emotive, relazionali e psicologiche che inevitabilmente interagiscono, con uno sguardo attento anche all’importante legame che si instaura tra la figura del mister/allenatore di riferimento e il bambino/ragazzo.
È evidente la scrupolosa ricerca delle fonti per tracciare il quadro di crescita ed educativo del bambino/adolescente, una ricchissima bibliografia della letteratura di riferimento, le argomentazioni puntuali e pertinenti, l’accuratezza della ricostruzione del panorama delle scuole calcio. Vengono toccati temi importantissimi: l’evoluzione del bambino e dell’adolescente, la relazione educativa, il gioco, i ruoli da rispettare, i confini da non oltrepassare, gli obiettivi tecnici possibili da raggiungere, lo sviluppo delle capacità psico-fisiche e le problematiche connesse.
Cercare di essere esaustivi su un tema così delicato e importante, che coinvolge l’educazione e lo sviluppo delle giovani generazioni, sembra un compito complesso. L’autore tuttavia riesce nell’intento, consegnandoci uno sguardo d’insieme sull’educazione sportiva che si completa e mostrando la ricchezza dell’interdisciplinarietà, della connessione di tutto il trattato. La struttura culturale e professionale di questo manuale si arricchisce, poi, di un valore aggiunto fondamentale: l’esperienza diretta che Salvatore Pappalardo ha dei campi e dei ragazzi, degli incontri con famiglie e genitori provenienti da origini e realtà territoriali differenti.
Questa è la genesi di un lavoro di qualità, condotto in maniera soddisfacente, che può crescere in tante iniziative formative e avere risvolti educativi importanti: un testo nuovo in ambito sportivo, che ci consegna un validissimo strumento guida non solo per i genitori, ma anche per gli educatori del mondo dello sport e le moltissime associazioni sportive dilettantistiche che spesso non riescono a trovare risposte adeguate alle domande e ai comportamenti non facilmente gestibili dei genitori. Tutto viene sostenuto da una scrittura misurata e semplice, in grado così di raggiungere e coinvolgere un vasto pubblico, appassionando e rendendo più consapevoli numerosi lettori.
Sono ben felice di introdurre un lavoro di cui colgo pienamente l’importanza educativa: il suo fine ultimo, infatti, è quello di fornire strumenti alle figure di riferimento che ruotano attorno ai ragazzi, provando a guidarli all’interno di un progetto formativo che sia sano e armonioso. Tutto ciò assume ancora più importanza in un tempo come quello odierno, in cui tornare a correre sui campi da calcio, sporcarsi di terra mettendosi in gioco, guardare negli occhi il compagno e l’avversario ed esercitare la libertà dei propri sogni rappresenta ben più che la semplice possibilità di diventare campioni. Significa, in primis, offrire ai ragazzi degli strumenti di crescita e di ricerca delle loro risorse senza avere paura di fallire, misurandosi con il reale e con una comunità educante formata da genitori e dirigenti, allenatori ed educatori dello sport che, considerate in maniera equilibrata le reali possibilità di coltivare campioni, si impegna attivamente a far sbocciare giovani uomini responsabili, ponte per la futura umanità.
Chiara Allegra
Educatore
Introduzione
La complessificazione e l’incontenibile digitalizzazione dei contesti sociali disegnano un ambiente che necessita di strumenti nuovi e di capacità trasversali. Volgendo lo sguardo al passato, in base magari alle vostre età, ciascuno tirerebbe fuori ricordi che iniziano con “ai miei tempi…” e proseguono tra i più svariati temi: trasporti di grano in bicicletta, comunicazioni balcone-cortile, piattaforme culturali e d’incontro stradali o in piazza, intrattenimento da guida tv, e tanto altro ancora. Nel calcio, chiunque oltre una certa età ricorderà le partite in cortile/piazza/luoghi di fortuna con zaini/pali della luce/pietre a disegnare una fantomatica porta, con la durata dell’incontro che era decisa dal tramonto/richiamo a cena/scoppio o perdita della palla, mentre le squadre erano fatte attraverso la “conta” e per distinguere i tuoi dagli altri dovevi guardarli in faccia.
Questo calcio non esiste più, oggi abbiamo campi in sintetico più o meno nuovi con porte, reti e materiali tecnici vari. Anche i tecnici sono più ‘controllati’, ad oggi la Federazione richiede l’obbligatorietà di patentini che diano l’idoneità alla pratica. Se, quindi, sia le strutture che il capitale umano sono di una qualità superiore rispetto al passato, come mai ci si trova in un periodo di crisi…calcistica?
Per quel che riguarda il calcio professionistico, oltre alla minore velocità ed intensità di gioco, il sistema di una volta era meno…complesso. Se pensiamo agli inizi del calcio, i giocatori non erano neanche professionisti. Non vi erano contratti, agenti, obblighi, diritti, immagine e così via. Basti vedere la proliferazione di figure tecniche e dirigenziali che un tempo non esistevano: specialista calci piazzati, match analyst, recupero infortunati, scout, operatore social media e comunicazione, ecc. Anche dal punto di vista regolamentare, per esempio, adesso è possibile portare praticamente tutta la rosa in panchina, da qualche decennio esiste la regola del retropassaggio al portiere, da qualche anno in più quella del fuorigioco. Tutto quello che si è strutturato nel corso del tempo va verso una maggiore complessità del gioco.
Più in generale, nella storia dell’umanità vi è un processo inarrestabile di accumulazione della conoscenza. Tale strutturazione può essere vista, come abbiamo detto in precedenza, in qualunque aspetto della vita quotidiana e non fa altro che creare sempre nuove distinzioni epistemologiche, anche semplicemente di natura linguistica. Queste ultime permettono di conoscere e affrontare la nuova realtà, grazie all’aiuto di altre competenze e abilità. Ad esempio, il mondo prima di internet non conosceva le parole Facebook o Instagram e le abilità che servono per usarli. Non si conoscevano le parole “postare” o il “mandare un whatsapp”. La continua nascita e modificazione di concetti, parole e ‘regole’ ci fa aprire nuove finestre sul mondo. Modi diversi di vedere le cose.
Tutto questo processo di accumulazione del sapere può essere riassunto nella parola “complesso”: ci si muove da nuove situazioni semplici che divengono via via più articolate. È bene ribadire, però, che “semplice” non deve essere confuso con “facile”, così come “complesso” non va interpretato come “difficile”. Il semplice magari era trovare parcheggio in strisce bianche dove oggi è vietato transitare per via delle limitazioni al traffico, oppure anche il solo comprare un biglietto per vedere la partita: una volta non dovevi presentare il documento d’identità.
O ancora: nel calcio si marcava meglio, si sente dire dai grandi difensori di una volta. Erano dunque più forti i difensori degli anni ’80? Oppure, erano più scarsi gli attaccanti? Probabilmente niente di tutto ciò: proseguendo nel discorso della maggiore complessità si potrebbe dire, banalizzando, che il gioco “a uomo” ad esempio fosse un po’ più semplice del gioco “a zona”. Attenzione: semplice, non facile. Nel senso che erano meno le variabili da processare, pertanto più diretta la situazione da leggere. Ma anche dal punto di vista regolamentare, per esempio, la possibilità di retropassaggio poteva togliere le castagne dal fuoco in parecchie situazioni, vanificando qualunque tentativo di pressing. Ecco che l’accumulazione della conoscenza (calcistica), insieme ai cambiamenti regolamentari, ha reso il gioco un po’ più complesso. Questo tipo di processo è pervasivo e tocca qualunque aspetto delle nostre vite, anche quello familiare e sociale.
Da un lato, in effetti, si assiste al crescente dissolvimento delle famiglie tradizionali verso nuove e variegate forme di convivenze. Concetti come precarietà e il ‘vivere liquido’ sembrano rappresentare meglio la società attuale, mentre stabilità e definizione appaiono come utopie per pochi fortunati. A questo disorientamento strutturale si aggiunge, poi, la mercificazione di qualunque aspetto della vita: dall’abbigliamento al titolo di studio, dalla formazione calcistica ai passatempi. In questo senso si riscontra un aberrante, quanto pericoloso, processo di vanificazione della spensieratezza propria del periodo dell’infanzia. Ma se un tempo ci si riferiva ai fanciulli come piccoli adulti per insufficienza di conoscenza, oggi lo si fa perché sono un segmento target di mercato. Tra l’incudine e il martello, il genitore si affanna per compiacere i loro desideri e “bisogni”: il cellulare, la scarpa ultimo grido, il profilo Instagram.
Dall’altro lato, infatti, è ormai assodato come la tecnologia e la virtualità siano parte integrante della vita sociale odierna. La presenza in rete facilita e funge da propulsore per la reificazione di una società dell’immagine, del frugale e dell’immediato. L’enorme quantità di contenuti sia interattivi che di intrattenimento coinvolge l’individuo verso il riempimento quasi ossessivo degli spazi vuoti. In questo modo il digitale prende prepotentemente il posto dell’analogico, la narrazione on line del libro, la piattaforma di gaming del cortile, e così via. In tal senso è bene ribadire che le semplicistiche considerazioni odierne che definiscono “malvagia” la tecnologia, così come gli approcci proibizionisti, sono tanto utili quanto nascondere la polvere sotto il tappeto.
In primo luogo, dunque, è necessario divincolarsi dalle vecchie strutture di pensiero che non permettono di conoscere in maniera profonda i nuovi contesti sociali. In secondo luogo è importante sforzarsi di conoscere per poter agire in maniera critica e cosciente. Certamente il quadro presentato delinea una sfida parentale di non facile discernimento, che predispone ad una richiesta di abilità e competenze adeguate che risultino efficaci nel contesto. Ne viene fuori, così, una nuova consapevolezza di educazione e di personificazione del ruolo di genitore moderno. Il genitore competente.
Già, ma competente in cosa? La strutturazione di una educazione genitoriale passa inevitabilmente per la disquisizione e l’analisi della relazione tra la figura parentale, il figlio e il calcio. Pertanto: sapere qual è il ruolo del genitore e cosa ci si aspetta debba fare (o non fare), conoscere un po’ dello sviluppo dei propri figli e come interagire nelle varie fasi, avere consapevolezza della funzione educativa e pedagogica del gioco. Ecco, appunto, la strutturazione dei capitoli di questo scritto: il ruolo, il gioco e la relazione.
Si badi bene che, nonostante per tutto il testo si utilizzi la parola genitore, questa debba essere intesa nel senso di figura significativa e di ruolo, non di genere né tantomeno biologica. Inoltre viene utilizzata la parola figlio o figli in senso generale, che non implica nessuna connotazione di genere. Le varie osservazioni sull’educazione vogliono essere strumenti che spingano alla riflessione, piuttosto che norme da seguire alla lettera. La ristrutturazione cognitiva sul significato del gioco del calcio vuole, da un lato, far riflettere sulla relazione con i propri figli, al fine di poter dare loro la considerazione che meritano; dall’altro, portare in senso ampio a una trasformazione dei rapporti e, conseguentemente, dell’ambiente sportivo.
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