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Mio figlio è un campione

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Essere genitori oggi significa affrontare sfide complesse in un mondo in continua evoluzione. Questo saggio esplora le dinamiche della genitorialità moderna, offrendo una guida pratica e consapevole per accompagnare i figli nella crescita e nel loro processo di individuazione, in qualità di figure di riferimento sane e affidabili. L’analisi è condotta attraverso le lenti della psicologia e della pedagogia, e propone anche esempi pratici di comportamento tratti dalla disciplina calcistica. Il saggio, dunque, aspira a guidare i lettori verso un’idea di relazione consapevole e rispettosa tra “caregiver” e figli, per costruire basi solide che li accompagneranno per tutta la vita. Un testo di facile fruizione, ma prezioso per chi cerca risposte e nuove prospettive sull’essere genitori.

INTRODUZIONE

La complessificazione e l’incontenibile digitalizzazione dei contesti sociali disegnano un ambiente che necessita di strumenti nuovi e di capacità trasversali per poterlo vivere in maniera consapevole. Volgendo lo sguardo al passato, in base magari alla propria età, ciascuno tirerebbe fuori ricordi che iniziano con “ai miei tempi” e proseguono tra i più svariati temi: trasporti di grano in bicicletta, comunicazioni balcone-cortile, piattaforme culturali e luoghi d’incontro (stradali o in piazza), intrattenimento da guida TV, e tanto altro ancora. Nel calcio, chiunque oltre una certa età ricorderà le partite in cortile, in piazza o in luoghi di fortuna, con zaini, pali della luce o pietre a disegnare una fantomatica porta. La durata dell’incontro che era decisa dal tramonto, dal richiamo a cena o dalla perdita della palla, mentre le squadre venivano formate attraverso la “conta” e per distinguere i tuoi dagli altri dovevi guardarli in faccia.

Questo calcio non esiste più, oggi abbiamo campi in sintetico più o meno nuovi, con porte, reti e vari strumenti professionali. Anche i tecnici sono più controllati: oggi la Federazione richiede l’obbligatorietà di patentini che confermino l’idoneità alla pratica da allenatori. Se, quindi, sia le strutture sia il capitale umano sono di una qualità superiore rispetto al passato, come mai ci si trova in un periodo di crisi calcistica?

Per quel che riguarda il calcio professionistico, oltre alla minore velocità e intensità di gioco, c’è da considerare che il sistema di una volta era meno complesso. Agli albori del calcio, i giocatori non erano neanche professionisti, non vi erano contratti, agenti, obblighi, diritti, un’immagine di cui preoccuparsi e così via. Basti vedere la proliferazione di figure tecniche e dirigenziali che un tempo non esistevano: ora abbiamo lo specialista calci piazzati, il match analyst, il recupero infortunati, lo scout, i social media strategist, ecc. Anche dal punto di vista regolamentare, per esempio, adesso è possibile portare praticamente tutta la rosa in panchina; da qualche decennio esiste la regola del retropassaggio al portiere; da qualche anno in più quella del fuorigioco. Nel corso del tempo si è andati verso una maggiore complessità del gioco.

Più in generale, nella storia dell’umanità vi è un processo inarrestabile di accumulazione della conoscenza. Tale strutturazione può essere vista, come abbiamo detto in precedenza, in qualunque aspetto della vita quotidiana e non fa altro che creare sempre nuove distinzioni epistemologiche, anche semplicemente di natura linguistica. Queste ultime permettono di conoscere e affrontare la nuova realtà, grazie all’aiuto di altre competenze e abilità. Per esempio, il mondo prima di Internet non conosceva le parole Facebook o Instagram, e non aveva le abilità per usarli. Non si conoscevano le parole “postare” o l’espressione “mandare un “Whatsapp”. La continua nascita e modificazione di concetti, parole e regole ci fa aprire nuove finestre sul mondo, modi diversi di vedere le cose.

Tutto questo processo di accumulazione del sapere può essere riassunto nella parola “complesso”: ci si muove da nuove situazioni semplici che divengono via via più articolate. È bene ribadire, però, che “semplice” non deve essere confuso con “facile”, così come “complesso” non va interpretato come “difficile”.

Per fare un esempio: “Nel calcio si marcava meglio”, si sente dire dai grandi difensori di una volta. Erano dunque più forti i difensori degli anni ’80? Oppure, erano più scarsi gli attaccanti? Probabilmente no. Proseguendo con il discorso della maggiore complessità, si potrebbe dire, ancora, che il gioco “a uomo” fosse un po’ più semplice del gioco “a zona”. Attenzione: semplice, non facile. Erano meno le variabili da processare, pertanto più diretta la situazione da leggere. Le differenze c’erano anche dal punto di vista regolamentare. Per esempio, la possibilità di retropassaggio poteva facilmente risolvere parecchie situazioni, vanificando qualunque tentativo di pressing. Ecco che l’accumulazione della conoscenza (calcistica), insieme ai cambiamenti regolamentari, ha reso il gioco un po’ più complesso. Questo tipo di processo è pervasivo e tocca qualunque aspetto delle nostre vite, anche quello familiare e sociale.

In questo senso, oggi assistiamo al crescente dissolvimento delle famiglie tradizionali verso nuove e variegate forme di convivenze. A rappresentare al meglio la società attuale sono concetti come la “precarietà” e il “vivere liquido”, mentre stabilità e definizione appaiono come utopie per pochi fortunati. A questo disorientamento strutturale si aggiunge, poi, la mercificazione di qualunque aspetto della vita: dall’abbigliamento al titolo di studio, dalla formazione calcistica ai passatempi. In questo senso si riscontra un aberrante, oltre che pericoloso, processo di vanificazione della spensieratezza propria del periodo dell’infanzia. Se un tempo ci si riferiva ai fanciulli come “piccoli adulti” per insufficienza di conoscenza, oggi lo si fa perché sono un segmento target di mercato. Tra l’incudine e il martello, il genitore si affanna per soddisfare i loro desideri e bisogni: il cellulare, la scarpa ultimo grido, il profilo Instagram.

È ormai assodato come la tecnologia e la virtualità siano parte integrante della vita sociale odierna. La presenza in rete facilita e funge da propulsore per la reificazione di una società dell’immagine, del frugale e dell’immediato. L’enorme quantità di contenuti, sia interattivi che di intrattenimento, spinge l’individuo verso il riempimento quasi ossessivo degli spazi vuoti. In questo modo il digitale prende prepotentemente il posto dell’analogico, la narrazione online quello del libro, la piattaforma di gaming quello del cortile, e così via. In tal senso, è bene ribadire che le semplicistiche considerazioni odierne che definiscono malvagia la tecnologia, così come gli approcci proibizionisti, sono tanto utili quanto nascondere la polvere sotto il tappeto.

In primo luogo, dunque, è necessario svincolarsi dalle vecchie strutture di pensiero che non permettono di conoscere in maniera profonda i nuovi contesti sociali. In secondo luogo, è importante sforzarsi di conoscere per poter agire in maniera critica e cosciente. Certamente il quadro presentato delinea una sfida, soprattutto parentale, di non facile discernimento, che richiede abilità e competenze adeguate ed efficaci nel contesto. Ne viene fuori, così, una nuova consapevolezza di educazione e di personificazione del ruolo di genitore moderno. Il genitore competente.

Già, ma competente in cosa? La strutturazione di una educazione genitoriale, in ambito sportivo, passa inevitabilmente per l’analisi della relazione tra la figura parentale, il figlio e il calcio. Pertanto, è importante comprendere qual è il ruolo del genitore e cosa ci si aspetta debba fare (o non fare); conoscere un po’ dello sviluppo dei propri figli e come interagire con loro nelle varie fasi di vita; avere consapevolezza della funzione educativa e pedagogica del gioco. Ecco, appunto, la strutturazione dei capitoli di questo scritto: il ruolo, il gioco e la relazione.

Si badi bene che, nonostante per tutto il testo si utilizzi la parola “genitore”, questa non debba essere intesa in senso letterale, ma piuttosto sta a indicare una figura significativa e di ruolo per il giovane, non di genere né tantomeno biologica. Inoltre, viene utilizzata la parola “figlio” o “figli” in senso generale, di nuovo senza implicare nessuna connotazione di genere o un necessario rapporto parentale. Le varie osservazioni sui modelli educativi vogliono essere strumenti che spingano alla riflessione, piuttosto che norme da seguire alla lettera. La ristrutturazione cognitiva sul significato del gioco del calcio vuole, da un lato, far riflettere sulla relazione con i propri figli, al fine di poter dare loro la considerazione che meritano; dall’altro, portare in senso ampio a una trasformazione dei rapporti e, conseguentemente, dell’ambiente sportivo.

Il ruolo

L’insieme delle aspettative di comportamento che esistono in un contesto sociale è definibile, nella sostanza, come “ruolo genitoriale”. Ci si aspetta, pertanto, che il genitore si prenda cura dei figli, che provveda alle risorse per la loro crescita e li supporti nella loro maturazione. La costruzione di un’idea di genitorialità è precoce: già nell’infanzia, infatti, si iniziano a interiorizzare gli schemi mentali e i pattern di cura dei propri genitori. In altri termini: ogni individuo ha un genitore dentro di sé che è il risultato di numerose interazioni, sia reali che fantasmatiche, con figure di riferimento. La gran parte dei giudizi su se stessi e gli schemi di interazione utilizzati socialmente derivano da questo modellamento. La genitorialità, poi, porta gli individui a una trasformazione: da oggetto di cura si diviene agenti di cura. Questo stravolgimento del focus implica l’aver maturato “un desiderio generativo, un interesse a fondare e a guidare la generazione successiva”. È bene specificare, comunque, che lo psicologo Erikson non intendeva il “desiderio generativo” necessariamente nei termini della procreazione biologica, ma anche della creazione di idee che sopravvivano alla mortalità umana. Condizione essenziale affinché l’adulto sia generativo è che egli abbia trovato un equilibrio tra i bisogni narcisistici e la dimensione di responsabilità verso l’altro. In caso contrario, infatti, da un lato può sopravvivere l’aspetto egoistico di considerare i figli come estensioni di se stessi, il che comporta danni all’autonomia e al processo di costruzione dell’identità dei ragazzi. Dall’altro, invece, si può cadere nel liberalismo educativo, altrettanto pericoloso in quanto mancante di attenzione e responsività.

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Nella strutturazione della coppia prima e della triade poi, i genitori portano tutto il loro vissuto emotivo e affettivo, i loro desideri e negazioni, le loro rappresentazioni, gli schemi relazionali e di attaccamento della loro infanzia. La genitorialità è, pertanto, la matura evoluzione di una dinamica affettiva e si esplica, per usare le parole di altri, come “essere radicati in qualcuno per poter mettere radici in un altro con cui diventare coppia, per poi poter offrire ancora ad un altro l’intreccio di queste radici”.

La definizione di genitore come ruolo muove dall’assunto che non vi è sempre esatta corrispondenza tra i procreatori e chi si prende cura della prole. Da tale prospettiva, il ruolo di genitore può essere definito da un insieme di funzioni da svolgere. A mero titolo esemplificativo vengono qui sintetizzate e distinte come:

– funzione protettiva e affettiva. Garantire la sicurezza e l’incolumità del bambino è la prima attività del genitore. Tale funzione presuppone la presenza prima fisica e, in seguito, interiorizzata della figura volta all’accudimento. Ciò consente l’instaurarsi di un legame di attaccamento e la presenza di una base sicura (vedasi Bowlby e la teoria dell’attaccamento per approfondimento). L’aspetto affettivo del figlio si sviluppa grazie alle occasioni di sintonizzazione con i genitori, ovvero di condivisione delle esperienze e di progressiva strutturazione dei sentimenti. Questi imprinting primari, con lo sviluppo, incidono sulla fiducia negli altri e sull’articolazione dei legami affettivi. Il consolidamento dei sentimenti positivi tra le due generazioni permane per tutto l’arco dell’esistenza e consente di detenere un legame speciale e permanente;

– funzione regolativa e normativa. La manipolazione dei piccoli è un’attività che spetta al genitore nel rispondere alle loro esigenze. La ripetuta mancanza nella risposta ai bisogni fisici e affettivi o, al contrario, l’eccessiva intromissione che non dà spazio alla loro espressione può comportare una difficoltà nella facoltà di autoregolazione del bambino in fase di sviluppo. La funzione “regolativa” del genitore si trasforma in “normativa” dal momento in cui il piccolo acquisisce una certa autonomia. Tale funzione normativa si declina nell’imposizione di divieti, norme e regole da rispettare ed è chiaramente collegata ai modelli culturali della società in cui si vive. La norma esterna imposta al piccolo nei primi anni diventa presto regola interiorizzata e parte di un sistema culturale proprio che caratterizza il modo di essere dell’individuo;

– funzione contenitiva e rielaborativa. La figura genitoriale crea la cornice di senso dei movimenti che il bambino, all’inizio, effettua casualmente: essa funge così da contenitore del pensiero del bambino e allo stesso tempo da costruttore di senso per lui. Il genitore, con la crescita del piccolo, si troverà a dover rielaborare il suo pensiero e a restituirglielo in una cornice di senso: ciò avviene quando, per esempio, l’adulto completa o corregge delle frasi del bambino. In senso ampio, dunque, è l’atteggiamento del genitore nei confronti del figlio a fungere da modello di meta-pensiero. Il modo in cui il genitore pensa, si comporta e reagisce affettivamente lo qualifica come modello da imitare.

2025-02-27

Aggiornamento

Cari sostenitori, è con immenso piacere comunicarvi che GRAZIE a voi il libro è ufficialmente pubblicato e disponibile in libreria e negli store online. Spero che possa essere una piacevole lettura e, per questo, lo consiglierete ai vostri amici e conoscenti. Ancora GRAZIE per il sostegno! Con affetto, Salvatore

Commenti

  1. Andrea Di Mauro

    (proprietario verificato)

    Una lettura coinvolgente e ben strutturata, questo libro esplora in profondità le molteplici sfaccettature della relazione genitore-figlio, offrendo spunti di riflessione personali e non solo. Scritto con grande cura e chiarezza, rappresenta un’opera imprescindibile per chi lavora in ambito educativo, ma anche per chiunque desideri approfondire questa tematica con uno sguardo attento e consapevole.

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Salvatore Pappalardo
Salvatore Pappalardo è nato a Catania nel 1985. Laureato in Economia e successivamente in Psicologia presso l’Università degli Studi di Firenze, è allenatore Uefa B dal 2012, con numerose esperienze nei settori giovanili, anche professionistici, e nelle prime squadre. Nel 2016 ha pubblicato “Elementi di Psicologia Dinamica” per Primiceri Editore. Nel 2019 ha scritto e autopubblicato il libro “Teaching Modern Football”, successivamente tradotto in spagnolo, portoghese, cinese e infine in italiano col titolo “Insegnare il Calcio moderno” per Tektime.
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