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Momenti – Cronache dell’Universo Gentile

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Nell’Universo Gentile i personaggi si muovono legati l’uno all’altro da fili invisibili e da legami magici, appena percettibili se si presta particolare attenzione. Colori, case, strade, volti: le storie si intrecciano e avvolgono, nascondendoli, i significati ultimi e definitivi. I racconti, i Momenti, sono d’un tempo interrotti e infiniti, circolari e ciclici, ma anche sorprendentemente lineari. Universi sottilmente contraddittori, capaci di legare tra loro situazioni diverse, ma accumunate da altre narrazioni interne, dalla passione per la parola che crea e che ricorda, unendo mondi.

L’ARCOBALENO DEI BANDITI

Un leggero tremito la scosse e aprì gli occhi. Ana sentì uno strano solletico vicino alle orecchie e mosse una mano per toccarle. Un passero volò via, muovendo le ali freneticamente. Si era addormentata nel bel mezzo del pomeriggio, ma a sua discolpa il vento era così piacevole e il sole così gentile da non poter fare altrimenti. Stirò braccia e gambe, allungandole, e rimase in equilibrio sulla piccola piattaforma di pietra dove era seduta. Sentì un lieve dolore all’altezza dell’osso sacro. Uno degli uomini del gruppo la salutò rispettosamente, come era loro uso. Si portò una mano sulla spalla opposta e si piegò leggermente. Lei rispose nella stessa maniera.

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La sua lunga treccia ondeggiò e l’elastico di rafia fu lì lì per cadere. L’uomo si allontanò sfoggiando la sua lunga veste azzurra, larga sulle spalle e che lasciava intravedere l’inizio del petto sul davanti. Questa si interrompeva bruscamente poco sopra l’ombelico per poi riprendere fin quasi alle caviglie, composta con un tipo diverso di tessuto molto più attillato. Qualche ghirigoro dorato attraversava la trama della veste, elaborata magistralmente. L’uomo si tirò in piedi con un saltello e decise di intraprendere una piccola ricognizione, del resto non aveva niente di meglio da fare in quel momento. Scorse le piccole tende che formavano l’accampamento, tutte separate da uno spazio minimo. Al centro dello spiazzo c’erano tanti ciocchi di legno posizionati con cura per formare un braciere e un uomo basso, un po’ tarchiato, li osservava prima da vicino e poi da lontano per ricercare la sua combinazione ideale. I suoi capelli erano lisci e di un nero scurissimo, tirati all’indietro e fermati sulla fronte da una fascia verde come il suo vestito. Sul suo viso non si vedeva nemmeno un accenno di barba o baffi e questo gli permetteva, così come a tutti gli altri uomini dell’accampamento, di apparire molto più giovane di quanto in realtà non fosse. Quando la scorse la salutò e lei fece altrettanto. Lo superò e si inoltrò nella foresta là dove sapeva che in molti stavano cacciando. Si appoggiò con le spalle a un tronco che le apparve più solido degli altri e iniziò a fischiettare guardando ora una foglia che cadeva, ora qualche insetto schizzare da una parte all’al-tra del suo campo visivo.
I membri dell’accampamento erano seduti con le gambe incrociate. Facevano sì che il fuoco che crepitava festosamente li riscaldasse in quella lunga notte. Diciassette volti fissavano intenti la bocca di una donna che stava parlando in maniera concitata e intensa. Questa mosse una mano verso il fuoco, poi la ritrasse lentamente per portarsela vicino al viso. I presenti seguivano tutti i suoi movimenti, alcuni avevano addirittura iniziato a imitarli. Prese un foglio di carta molto sottile e lo piegò più volte in striscioline semitrasparenti. Strinse con cura una delle due estremità in una morsa e le rese un ventaglio improvvisato. Nascose il suo viso dietro la carta, ma le ombre danzanti le disegnarono un ghigno regale dove c’era solo un caldo sorriso. Si sventolò un paio di volte, fingendo di aver caldo, poi gettò tutto nelle fiamme. Vide le fibre sfaldarsi, bruciare e diventare cenere. «E, come questa carta, bruciò la sua giovinezza che le aveva regalato il favore di tanti potenti.»
Così terminò l’esibizione e i presenti tornarono a respirare. Nemmeno si erano accorti di aver trattenuto tanto a lungo il respiro, ma non se ne stupirono. Applaudirono con forza e si abbandonarono poco dopo alla stanchezza. Fecero qualche passo verso le loro tende e ci si gettarono dentro quasi a peso morto, così i suoni della natura vennero coperti da un russare lontano, fastidioso abbastanza per riderne di gusto la mattina seguente. Rute, la donna che aveva interpretato la storia, si ricompose aggiustandosi il vestito. Essendo largo dalla vita in giù, era dura per lei muoversi con troppa disinvoltura, eppure le riusciva benissimo. La treccia lunga era scomposta quel tanto che bastava da farla sembrare ancora più sensuale, mentre quella corta, che scendeva sull’orecchio coprendolo a metà, era rigorosamente tenuta in ordine da un laccio. Si alzò, salutò i rimasti e andò nella sua tenda per dormire. Nessuno ebbe il coraggio di seguirla o di trattenerla di più. Erano troppo consapevoli dell’importanza del momento e non era loro intenzione rovinarlo in alcun modo. Lo avrebbero preservato, intatto, fino alla prossima serata quando altri si sarebbero fatti avanti e avrebbero raccontato la propria storia. Il loro repertorio aumentava con costanza perché vicende quotidiane venivano rese epiche dalla modifica di qualche piccolo dettaglio. Così avevano sempre un modo per intrattenersi, dimenticare le fatiche del giorno e spaziare altrove. La mattina seguente sarebbe successa la stessa identica cosa. Si sarebbero raggruppati alle prime luci dell’alba per fingere ancora un istante che il sonno non era lontano e con esso i sogni. Ana fece per alzarsi, ma si risedette di nuovo, guardando le fiamme che le facevano brillare gli occhi. Diego, a qualche metro di distanza da lei, le fece un rapido gesto con la mano. Lei scosse la testa e lui si strinse nelle spalle. Si alzò l’ultima persona che ancora faceva loro compagnia, e così rimasero soli. Non si mossero, ma ogni tanto i loro sguardi si incrociavano solo per ridere della coincidenza. Per un’ora rimasero così, senza aprire bocca, poi Diego si alzò portandosi la mano sulla spalla opposta. Ana lo guardò divertita e si scostò la treccia lunga. Vide la schiena di Diego rizzarsi in alto come una molla e poi sparire in un tuffo dentro la piccola tenda rossa. Attese che il silenzio fosse totale, ma qualche rumore riusciva sempre a insinuarsi nella quiete notturna. Sbuffò e si decise ad andare a dormire, maledicendo se stessa per averlo già fatto quel pomeriggio.

2021-03-21

Aggiornamento

Udite udite lettori e lettrici! Venitemi a trovare sul mio canale YouTube "Tempera" per scoprire di più sulle follie di questo giullare e sul suo libro!

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Gianmarco Papi
è nato a Roma nel 1998 e si è laureato in Lettere Moderne all’università La Sapienza di Roma. Ha lavorato alla pubblicazione di due volumi, L’umanità nascosta dal cielo (2018) e Quadri Quotidiani (2019), e ha partecipato alla pubblicazione antologica di alcune sue poesie in volumi presenti nella collana poetica Logos e in Le raccolte di scritto.io.
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