Avevamo preso una casa, insieme alla mia famiglia, nei pressi del deserto marocchino.
Merzouga, è uno dei tanti punti di snodo dei crocevia di merce e di materiali grezzi che militavano lì, sotto il passaggio del sole rovente dell’Africa.
Non era proprio una casa, non possiamo definirla così, per lo più era un accampamento turistico dislocato in qualche punto indefinito del deserto.
La verità è che era un rifugio per gli sfollati e per i berberi, magrebini che sostavano anche solo per il tempo di una notte, ristorando la fame e la sete sotto il manto di stelle.
Quella notte non vidi molta gente passare e neanche si vedeva una nuvola in cielo.
C’era un grande falò, ricordo, vicino alla nostra tenda.
Ma il cielo era talmente enorme, l’aria talmente fresca, che sembrava che tutto fosse ad essere come a contatto con l’essenza della Terra stessa.
Era come stare vicino a quel punto che i più esperti, se proprio li vogliamo chiamare così, concepiscono come la connessione esatta tra un punto geografico qualsiasi della Terra ed il centro delle emozioni umane.
Già, il centro delle emozioni, questo limite ignoto.
Ricordo che poco tempo prima di partire per l’Africa, avevo parlato con una sorta di martire o padre spirituale, il quale aveva indicato, con la sua mano, esattamente nella zona del mio petto, poco più a sinistra del cuore, nel pieno centro, il punto esatto della produzione delle mie emozioni.
“È da qui che nascono tutte le emozioni, dal centro del tuo petto”.
Ma dal momento che la Terra orbita su di un piano infinito quale l’Universo, e che per la scienza stiamo viaggiando o comunque muovendoci vorticosamente in ogni istante nello spazio aperto, qual è il nostro centro esatto?
Dove siamo? Chi può definire esattamente le coordinate corrette?
Dove risiede il centro nevralgico di tutte le esperienze dell’Uomo?
Dove può un Uomo poter affermare che in quel preciso momento, il suo corpo, la sua identità, sia esattamente lì, presente e viva e possa trasferire tale sensazione ad un altro essere umano con una difficoltà tanto estrema?
Non mi sento, per il momento, data la mia giovane età, di dare definizioni.
Non mi sento di proferire un quesito vero e proprio, in quanto la mia essenza, così come la mia esistenza, è mutabile nel tempo.
Il punto principale è che quella sera, il calore della sabbia fina delle dune illuminò il cielo.
Il falò a cui partecipai, prevedeva che i turisti di tutto il mondo si radunassero vicino al fuoco, disponendosi in cerchio.
Non vi nascondo che, sentendo la musica di quei tamburi, mi alzai di colpo dal posto assegnato e mi misi a ballare come un matto. Qualcuno mi imitò, se non tutti.
Ma che dovevo fare? Non potevo sicuramente non seguire la follia di quel momento.
I berberi mi insegnarono a suonare i loro tamburi di pelle e mi raccontarono storie sulla loro tribù. Fecero anche qualche battuta demenziale che mi colpì, cosa che scoprii essere soliti fare. Confesso che le riportai con molto piacere nelle mie estati romane, sfoggiandole ai miei amici e riscuotendo grasse risate da parte di tutti.
Mi sento di dire che questa gente è molto adattabile e pronta ai cambiamenti.
Queste genti non hanno una natura propria di stabilizzazione, la loro storia è più che altro legata a dei grandi spostamenti che questo popolo ha fatto nei tempi antichi, attraversando il deserto.
Dotati sicuramente di un grande senso di orientamento, nelle ere passate, così come loro raccontano, si sono mossi seguendo le virtù della luce, appunto la luce delle stelle.
Avendo seguito la stella polare che indicava il nord, si sono accampati nei vari posti utili e favorevoli alla corretta fruizione della vita.
Il resto della storia è ancora labile: si potrebbe toccare con mano se si viaggiasse a pochi passi dal corno d’Africa e si incontrasse per caso questa tribù.
Mi sento solamente di dire che, quella notte, all’incirca alle 2.00 A.M, intorno al grande falò, ebbi un contatto ravvicinato con qualcosa di immensamente più grande.
Mi isolai per qualche secondo, ponendo lo sguardo sopra la mia testa, rivolto verso la Via Lattea, che si poteva vedere nitidamente nel ritaglio oscuro del cielo.
Non avevo mai visto uno spettacolo del genere così da vicino.
Credo che se fossi stato così fortunato da vestire i panni di un navigatore, magari Magellano in un’epoca antica, non troppo lontano dal mondo, avrei potuto scrutare come lui le prime famose nebulose.
Si vedevano talmente bene quelle stelle, da sembrare che tutta la storia dell’Universo e dell’Umanità fosse scritta in quella notte.
Un bagliore di luce infinita imprigionava il mio corpo, la mia mente. Mi sentì parte di un disegno grandissimo, di un viaggio straordinario.
Punti infiniti di luce bianca, affiancati da un cielo nero, a tratti quasi grigio scuro si stagliavano sopra di me.
Cercavo insistentemente risposte, chiedendo a quel cielo una conferma, perché le domande erano sedimentate al centro della mia vita.
Cercai infine di tradurre e riportare come segnale, la strada che aveva portato l’aria a vibrare, nelle smussature recondite delle stelle.
Il falò
La sera aveva una strana e velata brezza color grigio-blu acceso.
Ad un tratto, qualcosa di una sostanza indefinita impallidì sugli angoli nascosti della tenda dove dormivo, e passò una strana ombra che fece come a squarciare le tele sul soffitto dell’accampamento. Avevo preso un momento per riposare, ma mi destai, e al mio risveglio uno dei berberi mi chiese una sigaretta.
Gliela diedi. Mi fermai poi sul piccolo promontorio, tra le dune del deserto, e cominciai a guardare il cielo.
Ero solo, isolato da tutto.
Il magnifico spettacolo tra le dune si ergeva al di sopra delle mie tempie.
Di rado, quelle notti, facevo delle passeggiate lungo le dune o su dei cammelli, incontrando a volte gente di passaggio, con le quali scambiavamo qualche chiacchiera. La notte prima della nostra volta verso la città azzurra, Chefchaouen, mi misi a chiedere qualche informazione aggiuntiva ai berberi, frugando tra i segreti e nei cassetti nascosti e nei forzieri della mia mente.
In quel momento però, il mio presente era vastamente più ampio.
Mi potevo facilmente individuare, mi potevo identificare tra quel vento leggero, tra quella brina fresca che rinforzava la mia pelle e le cromature dei miei occhi, delineando quelle piccole e impercettibili variazioni delle sfumature della mia iride.
Così, dopo aver udito la musica del falò, ballato insieme agli altri turisti che erano lì, mentre stavo imparando il ritmo del suono di quei tamburi di pelle, alzai per un attimo lo sguardo in su e chiesi se questo cielo immobile fosse davvero privo di segnali.
Fu il frastuono di un secondo, quando tutta la Via Lattea, per un solo rapido momento, iniziò vorticosamente a roteare su sé stessa, cambiando improvvisamente il disegno che era scolpito nel cielo pochi istanti prima.
E da quel movimento burrascoso, una stella cadde, io non so bene dove, non ricordo esattamente la posizione, cadde forse dietro ad una delle dune più coperte e più nascoste del deserto marocchino.
Se la fossi andata a cercare, l’avrei trovata sicuramente stabile sulla sabbia fina e velata del deserto.
“La storia dell’umanità, la nascita dell’universo, è visibile ai nostri occhi, in ogni istante.”
Mi sussurrò un berbero, vicino al falò.
Credetti che quello fosse un messaggio divino, dettato dagli Dei in persona.
La volpe del deserto
I venti che muovevano le nuvole sferzavano la notte.
In realtà, non mi sono mai domandato quanto servisse constatare l’esatta verità di un proprio stato d’animo o della mia visione, a meno che non potessi metterla a confronto con la natura. Credo che ci sia una realtà che solo noi sappiamo essere assoluta.
E poi, soprattutto, dove vanno a finire tutti i nostri pensieri, le nostre idee, le nostre azioni, il giorno che cesseremo di esistere?
Questo me lo domando sin dalla tenera età.
Abbiamo forse una costante comune che si chiama fede, che può essere sia la fiducia in Dio, ma anche quella verso una persona, un’amicizia, un animale?
È la stessa, sicuramente.
La stessa forza che lega inspiegabilmente due oggetti di una sostanza non definita.
Quella polvere invisibile dalla quale discendiamo.
È quindi una sola verità, la nostra, quella che dà le definizioni a tutti i concepimenti del nostro pensiero e li fa splendere secondo le nostre emozioni.
Tornai poi nella mia fissa dimora a Roma, dopo il lungo e straordinario viaggio in Marocco.
Negli anni successivi a quell’assurdo evento, cominciai ad ipotizzare e a chiedermi perché lo avessi vissuto.
“La storia dell’umanità, la nascita dell’universo, è visibile ai nostri occhi, in ogni istante.”
Queste erano le parole che rimbombavano nel mio cervello.
Allora iniziai ad ipotizzare qualche teoria, pensando se veramente quel berbero avesse avuto la soluzione geniale a quell’accadimento…
Poiché la luce impiega del tempo ad arrivare a noi, se per coprire quella distanza ha bisogno di milioni e milioni di anni, vuol dire che, quando noi osserviamo questo mosaico, stiamo osservando la nostra origine e la storia di queste stelle.
Stiamo osservando, da un punto indefinito dell’universo, l’evoluzione, o la nascita, della loro esplosione.
Se ci trovassimo nel loro luogo, potremmo osservare la nascita e l’evoluzione della Terra, puntando un telescopio gigante qui, nello spazio che a milioni di chilometri risulterebbe vuoto, perché la Terra dovrebbe ancora nascere.
Tutto questo riguarda solamente il tempo che ha e che impiega la luce ad arrivare fino a noi.
Ma questo nostro istante, a livello di luoghi, esiste, ed esiste adesso, tutto è presente in questo momento.
È quindi vero che ciò che arriva a noi, arriva da un posto non conosciuto dell’Universo, perché trasportato come luce, e che, nello stesso momento, stiamo emettendo noi stessi luce.
È quindi il presente vissuto dalle stelle che arriva a noi, come passato, e noi rimandiamo il nostro presente verso di loro, come futuro, che, quando giungerà a destinazione, sarà già il nostro passato.
Le cromature
Zenus era mio amico da ormai molti anni nella capitale. Giovane che si sentiva vecchio, capelli folti e una storia da raccontare.
Nelle giornate romane, ci piaceva sempre ridere e scherzare quasi su tutto.
“Sì, non c’è un posto per pensare se non adesso. Mi muovo indietro forse? I miei passi sono come tamburi che rimbombano su un asfalto vuoto?”
“Ah ah…”
“Cosa ridacchi tu?”
“Hai mai avuto voglia di tirare un pugno a tutti quegli anziani che ti dicono: sei ancora giovane, ma tu sei giovane, sei troppo giovane per capire.
Ma per capire che? Sicuramente la vostra esperienza sarà maggiore della mia, ma è anche diversa. Non esiste niente, e ripeto niente, che possa essere paragonato alle mie esperienze, come le mie esperienze non possono essere paragonate a quelle di nessun altro. A me viene da ridere, sai perché? Perché penso che quando si usi questa frase, si stia come predisponendo e pregiudicando un ragazzo. Ma che ne vuoi sapere tu della mia vita?”
“Okay, okay, calmati adesso. Vedi che il fervore che ti sta bruciando il petto sta continuando ad ardere, e ahimè, troppo velocemente. Quindi, non ti rammaricare.”
“Più o meno a grandi linee, tutti gli uomini muovono verso la stessa direzione. Unico Verso, ti ricorda qualcosa? Le sensazioni e le emozioni umane sono simili! Sono universali!
Forse non esiste un treno che passa una volta sola. Forse non esiste “l’unica” occasione, che, quando la sfumi rade la fiamma viva. È certo, incerto, alla fine, che vuoi che cambi? Abbiamo un senso per vivere… ed il senso della vita, è solamente quello che gli riesci a dare tu.”
Catopleas
“Sai Zenus…
Al ritorno dalla Norvegia ricordo che nello stupore della notte, i miei passi disegnavano un percorso infinito verso la felicità.
Al risveglio dell’estate, la consapevolezza nell’osservare i licheni, muschi di piante che crescono in particolari punti e rendono gli alberi pieni di vita, come uno scudo forgiava il mio motore.
La valvola dei pensieri ed il pretesto per continuare andavano nello stesso metro d’onda; non c’era ragione per dare importanza al rimorso, cadere nel dubbio, per poi morire di quel poco ogni giorno.
Era come se non potessi cadere, perché la ricerca della mia essenza mi sollevava da terra e mi rendeva libero di viaggiare, insieme alle nuvole.
A volte ero quasi capace di fermarle, per goderne a pieno della loro leggerezza.
Se ne stavano lì, a dare forma ai pensieri.
Nuvole bianche come colombe, o grigie, cariche di pioggia, pronte ad irrigare ancora di più i fiumi e dare la loro parte ai mari.
Si muovono, si incontrano per formare nuove forme, se abbiamo bisogno di guardarle è perché siamo certi che sono lo specchio dei nostri pensieri, ciò che l’anima cerca, la forma della nostra mente.
La luce che filtra dal cielo negli spazi di quei batuffoli bianchi si colora nell’asfalto, si perde nel grano e si rispecchia nel mare.
È forse la luce delle stelle che segna la strada del giorno nascente?”
“Quando guardo il cielo di notte sono sicuro che in questo universo non siamo soli, esistono popolazioni lontane anni luce. Come pensi di poterci arrivare fisicamente?
Per aprire le porte, spalancare le finestre nella testa e lasciarsi trasportare, bisogna vivere e contemplare.
Se esistiamo nell’infinito, da qualche altra parte in questo immenso oceano di stelle, qualcuno ci sta osservando.”
Ovviamente, oltre alle battute e agli scherzi, i nostri discorsi molto spesso si fondavano sulla ricerca e sull’abbattimento dell’apparenza, questione che era motivo di grande sofferenza generale, sia in lui che in me. Ma tutto ciò non interesserà la nostra storia…
10 ottobre 2019
Al ritorno dal Marocco, come vi dicevo, tornai a vivere una vita tranquilla.
Le giornate passavano più o meno nello stesso modo:
mi alzavo, facevo colazione, leggevo qualche notizia e andavo in ufficio per lavorare. Niente di estremamente eccezionale, tranne ovviamente il godere ogni giorno della mia routine quotidiana.
Il pomeriggio dell’autunno del 10 ottobre 2019, non c’erano molti impegni. Diciamo che era una giornata vuota e un po’ spenta, ma non per questo riconducibile alla noia.
Sono quei pomeriggi dove si può comunque godersi la vita, senza avere molte faccende da sbrigare.
Ero a casa e scrivendo delle note sul taccuino di viaggio, ricordi di un’avventura per i mari del Nord.
“…Le foreste erano però assai calde nelle prime ore pomeridiane, soprattutto dopo quelle del pranzo, e mi ricordo che mi fermai una volta per i forti giramenti di testa in una piccola baita costruita appositamente per il ristoro del corpo. Il viaggio in Norvegia fu duro, lo ammetto. Ma sicuramente quello che ha portato alla fine non si può né scrivere su un foglio né spiegare con le parole. Furono trentadue giorni di cammino da Oslo a Trondheim…”
Ma poi, d’un tratto, quel pomeriggio, qualcosa cambiò.
Suonarono alla porta.
Una strana figura, celata da degli occhiali scuri e con un cappello abbinato ad un trench di colore beige, si materializzò sull’uscio di casa mia, sovrastando la porta d’ingresso, e silenziosamente entrò, dirigendosi, sempre senza dire una parola, verso il divano del soggiorno.
Thomas Walker
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo ancora, poi prese una penna dalla tasca, firmò un foglietto, se lo rimise nel taschino, mi guardò e cominciò a parlare:
“…Un giorno di primavera, la signora Rose, ci offrì rifugio nella sua dimora. Ricordo che, per quanto fosse allietata dal nostro arrivo, ci preparò talmente tante pietanze da poter farci capire la sua gratitudine nel partecipare al tavolo con lei. C’era il sole. Ci alzammo quando calò la notte. Il sole tramontava sempre nelle solite ore, ovvero a mezzanotte, e si poteva quindi godere dello spettacolo della luce diurna per molto tempo…
Questo dovrebbe essere il proseguo del tuo diario.”
“Chi sei? Chi è questa Signora Rose? E soprattutto, perché sei qui?”
“Non ricordi? Stavi scrivendo del tuo viaggio in Norvegia…non te ne sei reso conto? Non avevi incontrato anche tu la signora Rose?”
Mi parse quasi uno stratagemma al quale però ero sicuramente pronto.
Molti pellegrini, o viaggiatori, sono soliti raccontare esperienze di viaggio simili anche non conoscendosi, quindi lo lasciai fare. Ma come faceva a sapere che stavo scrivendo il diario di viaggio della Norvegia?
“Ascolta, sarebbe carino se prima mi dicessi chi sei, che ti presentassi.”
“Thomas Walker. Adesso, che cambia?”
“Beh, almeno è educazione. Sai, una questione di consuetudine, proprio per non fare un discorso astruso e sconclusionato senza avere la responsabilità di avere in mano l’assurdità della situazione. Comunque, come hai trovato casa mia?”
“Quante domande fai. Ah-ah-ah”
“Ascolta, mi stai mettendo leggermente paura. Dovresti dirmi il motivo della tua visita, e spiegarmi chi è questa signora Rose. Comunque, la mia cortesia verso gli ospiti è sempre accesa, vuoi il caffè?”
Molta gente arrivava a casa mia, motivo per il quale mi trovavo spesso a preparare e ad offrire il famoso caffè dell’est di Roma.
L’ospitalità, la quale ritengo sacra, era sempre piacevole e lieta, per fare in modo di porgere ai miei ospiti la maggiore cura; quindi, la figura di Thomas non mi destabilizzò, ero abituato anche a persone non proprio “a posto con la testa” (come Zenus).
“Buono il caffè, grazie.”
“Devi lasciarmi detto qualcosa? Qualcuno ti ha detto di venire qui?”
“No, no, non precisamente.”
Si sistemò il cappello, tirò fuori con forza di nuovo la penna e si mise a scarabocchiare qualcosa su uno dei tanti fogli sul tavolino. Capivo che voleva rimanere, ma aveva qualche impegno forzato al quale soccombere.
“Ascoltami. Continua a scrivere il tuo romanzo. Sappiamo che sei uno scrittore.”
“Sappiamo? Sappiamo chi?”
“Tieni. Devo andare. Ma prima, voglio che tu legga questo diario”
Detto ciò, tirò fuori un’astuccetto che conteneva sì e no cinque o sei sigari, ne prese uno, se lo accese, si risistemò il cappello, e mi diede il taccuino.
Lo aprì.
La prima pagina si presentava all’incirca così: “Leggi attentamente queste pagine, amico caro, e scoprirai il perché di molte questioni che da tempo hai tenuto irrisolte.”
Firmato Thomas.
Bye The moon
Cominciai a leggere.
Tutto ciò risultava intriso di uno strano alone di mistero.
Queste erano le poche parole di ciò che v’era scritto…
“Sono Thomas Walker e questa è la storia di come ho lasciato il pianeta.
Ciò che vi sto per raccontare, e tutto ciò che sta per succedere, può essere accaduto come può non esserlo.
Sono le 14:12 del 10 dicembre 2018, sono nel mio appartamento.
Ho radunato un po’ di appunti lungo il viaggio. Frasi trovate per caso in dei biglietti strappati e umidi raccolti lungo la strada, convinto sì che in quelle frasi potessero nascondersi dei codici segreti per la mia vita: i chiari messaggi delle stelle.
Qualche incontro casuale, qualche stretta di mano e alcune battute, mi hanno portato a raggruppare tutti i vari pensieri, mescolati come un minestrone nel calderone del tempo, per cercare l’alchimia perfetta che potesse farli sposare tutti.
Non ammetto che, in questo viaggio, abbia io stesso avuto passeggiate di salute. Non vi dirò, né constaterò con certezza, che la mia forma mentis sia sempre stata definita nello spazio e nel tempo, poiché la nostra mente è mutabile di attimo in attimo.
Non ho mai voluto, né creduto, che esistesse un punto di arrivo. Neanche quando, nel 2013, per mantenere le mie corrette funzioni vitali, ho dovuto sottopormi a furiose e continue alterazioni radioattive, le quali, non so ancora bene in che modo, possono aver influito sul mio organismo e sulla corretta funzione organica del mio corpo.
Mi sono chiaramente definito, nel corso della mia vita, come un uomo che amasse la cultura, la buona musica, il vino, le carte, le donne e le belle pellicole degli anni 70-80.
Ma ciò che sicuramente amavo più di me, me ne resi conto solo dopo tanti e tanti anni, vedendo in Televisione “I cento brani migliori di sempre della storia”, era che il primo pezzo della classifica era My Way di Frank Sinatra.
Così, a metà del corso del programma televisivo, senza che lo lasciassi finire, corsi nella mia cameretta e cominciai a sentire la traccia di The Voice, e me ne innamorai. Talmente preso da quel pezzo che iniziai a pensare seriamente che la mia persona stesse dalla parte delle pietre miliari, dei diamanti imperturbabili della storia.
Andando avanti con gli anni poi, mi resi conto che c’erano delle storie ben più interessanti:
tra la gente comune, nei film in bianco e nero poco conosciuti al pubblico, nelle canzoni che andavano sentite unicamente se comprato l’album di quel determinato artista.
Questo commercio che ha in qualche modo assopito la mia brama di scoperta e desiderio, sta in qualche modo nascondendo la ricerca del talismano magico della mia salvezza.
Questo è uno dei motivi che mi costringe ad abbandonare la mia casa e la società in cui vivo, poiché credo che ci sia una sorta di onda magnetica dormiente che deve essere accesa al centro del mio petto.
Vorrei che tutti voi capiste ciò a cui siamo destinati a vivere veramente, tutto quello che di utile e meraviglioso c’è per i nostri occhi, che devono chiudersi solamente nel momento precedente del sogno, per lasciare le ruote a terra e volare in alto.”
…?…
Continuai a sfogliare le pagine, con Thomas che si godeva il suo sigaro.
“Continua, continua pure…”
Taccuino di T.W. cap.? – La quinta essenza
La quinta essenza…
«Dr. Nikos Sikouglu, tengo ancora un tuo libro qui, nella teca dove tengo tutti i miei volumi» […]
“Il dottor Sikouglu (alias Dr. Nessuno) ha formato il mio carattere.
Non sono state le auto di lusso, le belle donne, le continue vittorie nei casinò del mondo, niente di tutto questo.
Ci sono stati certi incontri che mi hanno fatto capire veramente quale fosse la spinta che potesse farmi uscire dalla quotidianità, e puntare alle stelle.
Si chiama Sogno, quello che i latini e greci interpretavano come messaggio Divino, quello che ZEUS indicava tramite la strada al sognatore…”
Continuai la lettura.
Appunti dei miei discorsi con il dott. Sikouglu
«E se fosse veramente così?»
«Cerca di capire quello che c’è scritto nei vari testi come l’Odissea, che prenderò proprio ad esempio.
Ulisse fece un viaggio lungo, scaraventato di qua e di là per volere dei Divini.
Ma le intemperie, le sfide, le gioie, le vittorie, non sono esse parte della vita e del viaggio di ogni Uomo?»
«Quindi Dottore, lei sta dicendo che tutti noi siamo Ulisse? E che questa vita non è altro che un viaggio attraverso le difficoltà?»
«Sì. Ma dammi del tu, sono tuo amico.»
«E perché lei ha scelto proprio me? Porgendomi un ramo della sua esperienza e facendomene parte, condividendo il segreto e la chiave di questo grande potere?»
«Perché si vede che la tua luce è viva e coraggiosa e penso che tu possa veramente realizzare i tuoi sogni, un giorno. Segui il lampo che ti porterà in alto!»
«Ma come può essere possibile che lei abbia scelto una singola persona, me, per esempio.
Se ha scritto il suo libro, è perché voleva divulgare sicuramente i suoi consigli a tutti.
Penso che la sua Storia sia di esempio e.…»
«Anche la tua lo è! Per questo sta a te crederci o meno. Bisogna che impari il tuo vero Valore, Thomas, e non a screditarti pensando di aver compiuto una bazzecola da quattro soldi!»
Dovrò cercare ancora…
Fine del capitolo della quint’essenza.
Finita la lettura del capitolo del taccuino, Thomas mi rivolse di nuovo la parola.
“Il Dr. Nikos Sikouglu (alias Dr. Nessuno) abbandonò tutti in una calda estate.
Ricordo che, qualche giorno prima del nostro ultimo incontro, mi comunicò di essere malato.
Quel giorno, andai a prendergli qualcosa al Mc Donald e glielo portai.
Mi sembrava strano che mangiasse quel tipo di pietanze, tutte le volte che ci vedevamo era sempre accompagnato da qualche strana e interessante ragazza, che stava lì a fargli compagnia.
Di solito non mangiava cibo spazzatura, era sempre attento all’alimentazione. Ma la notte prima che morisse mi chiese proprio di comprargli quella tipologia di cibo.
Ripeteva, sempre, la stessa frase, ogni qual volta facevamo un discorso:
«Abbiamo parlato del tutto e del niente»
Come se fosse contento di aver capito qualcosa. Ma quale nozione in particolare?
La prima volta che lo incontrai andammo in un ristorante etnico lussuoso nel centro di Roma e, sedendomi davanti a lui, mi resi subito conto di un prezioso particolare:
Aveva una luce straordinaria negli occhi.
Quello zampillo incavo nella pupilla andava sicuramente seguito, pensai.
Mi feci molte domande da quel punto di vista: le classiche questioni di un ragazzo della mia età, per intenderci.
Speravo anch’io, in cuor mio, di dargli una mano. Che potessi sdebitarmi di tutto ciò che mi aveva insegnato.
Così, il giorno seguente al quale andai a portare a Nikos la cena del fast food, lui se ne andò, lasciando uno strano vuoto all’interno della mia anima.
Mi arrivò un messaggio dalla sua domestica, dopo che provai a contattarlo telefonicamente per chiedergli notizie:
«Il Dott. Nikos non c’è più»
Così chiesi dei funerali, ma non partecipai per via della mia remissione a celebrare l’opera della Morte.
Non sono mai andato ad un funerale, forse solo una volta, ma unicamente perché un mio vecchio compagno me lo chiese.
«Se quella persona fosse viva come mi vorrebbe vedere?
Triste o felice?
Io penso che, se lui fosse ancora qui vorrebbe vederci tutti felici.»
«Buon Viaggio.»”
“Complessa teoria, la tua.”
“Già, questa intrigata situazione sulla mia filosofia dei funerali non ha mai intaccato la sfera personale di nessuno, per ora, per fortuna.
La mancanza di Nikos, comunque, non suscitò in me quelle sensazioni che avevo immaginato.
Le nostre giornate si componevano più o meno nello stesso modo:
Io andavo a Piazza Mignanelli, vicino a Piazza di Spagna, dove Nikos abitava.
Lui scendeva o qualche volta salivo io a casa sua a visitarlo.
Molte volte ci fermavamo nel bar della piazza ai piedi della sua dimora, dove lui dava il suo miglior spettacolo: voleva sempre pagare il caffè.
Si creava ogni volta un acceso dibattito sul fatto che volessi offrirglielo io, ma lui rispondeva sempre che se la mia voglia avesse superato la sua, allora avrebbe accettato di farselo pagare.
Fatto sta, che per pagare il conto con lui, dovevo per forza uscire di nascosto dal tavolo con la scusa di andare al bagno, per poi pagare alla cassa, non c’era altro modo.
«Ci si trova sempre in difficoltà quando ci sono due persone che vogliono pagare. Allora rispondo:
Devi volermi uccidere perché io non paghi il tuo conto. Nel senso che la tua voglia deve superare talmente tanto la mia che devi «uccidermi» affinché io non ti possa pagare il caffè.»
I giorni dopo la sua scomparsa, mi entrò nella mente un pezzo della sua storia, perché da quel momento capì come direzionare le mie azioni in funzione del Sogno.
Sogni su Misura, il suo libro che tengo ancora oggi nella mia biblioteca, parla proprio di questo.
Ma io non l’ho mai letto, se non i primi capitoli, mi è bastato conoscere Nikos Sikouglu per affermare le azioni del mio Destino.
«Sono Ulisse, e non il solito turista che va al Colosseo per scattare una foto e tornare dicendo che è stato lì.»
Questo mi diceva sempre lui.
Ma, personalmente, affrontai già questo tipo di percorso in passato, affrontando la Spagna per il Cammino di Santiago e la Norvegia del Nord…”
“Santiago e la Norvegia del Nord?” provai ad interrompere Thomas ma fu inutile.
“…Così, sotto un certo punto di vista, ora che ripercorro queste situazioni, capisco che, in qualche modo, i nostri destini erano sicuramente legati, e che il nostro incontro non poteva ritenersi banale.
Mi ha cambiato molto.
Per di più ha affermato che per realizzare la propria ambizione, bisogna essere sempre liberi di scegliere e di credere più che mai nel nostro Sogno.
Questo mi aveva lasciato il Dr. Nessuno, e la sua scomparsa fece crescere in me quella consapevolezza nel dire:
«Se è andata esattamente come dicevi, allora abbiamo parlato del tutto, senza parlare del niente.»”
Taccuino di T.W. cap.2 – L’asfalto blues
Continuai a leggere il taccuino.
“… L’asfalto blues…
La notte era ormai a qualche palmo.
Le giornate nel mio ufficio passavano talmente veloci, negli ultimi anni, che non mi resi più conto di quanti giorni stessero passando.
Volevo andare via in molte occasioni, anche se tornavo a ripensare nei ritagli della memoria, a come potevano avermi cambiato la vita.
«…L’età che hai è l’età che ti senti…»
“Già, ma io mi sento di avere un po’ di anni in più.” Come dissi una volta a mia nonna.
«Thomas, ma che questi sono problemi!? I problemi sono altri!»
«E quali sono i veri problemi, nonna?»
«Quelli di salute»
«Eh, ma quelli io già li ho avuti»
Non so chi altro potrò incontrare nella mia vita, che possa farmi cambiare idea.
Perché le idee vecchie muoiono con i vecchi, ed è giusto che ad ogni nuova stagione ci si rinnovi.
Mi vedo adesso riflesso in qualche lago, e sogno di poter esplorare ancora, di potere ancora capire come va il Mondo.
Immagino che tutto quello che ho imparato fino ad oggi, non mi serva a niente.
A qualcosa forse servirà, ma voglio mettermi nell’ordine delle idee che tutto quello che so e che ho saputo, non è niente messo a confronto con un’altra vita.
Ho deciso quindi di abbandonare tutte le sfide, le battaglie, e di prodigarmi ad una vita tranquilla.
Ma questo voto non durò molto…
Taccuino di T.W. cap.3 – La bassa pianura
L’energia che possiedo al mio interno è tale,
da non voler scegliere una vita tranquilla
Lev Tolstoj
Inizio della discussione con lo psichiatra.
«Hai letto la frase di Lev Tolstoj?»
«Sì.»
«E ti rendi conto?! Una persona che sceglie le scosse, perché sa che quello che ha dentro non potrà mai dargli quella tranquillità assoluta.
Ci sono individui simili che si rispecchiano nei loro simili.
Se lei vuole paragonarsi a qualsiasi altro scrittore, o drammaturgo, faccia pure.»
«Io non sto parlando di impersonare una figura, sto dicendo che quella che condivido con l’umanità è più o meno la stessa energia.
Pensi al fuoco: un fuoco acceso e messo lì solo con tre legnetti non arde molto, ma pensi…
Se aggiungessi tanti e tanti altri legnetti, che succederebbe?
E, invece, un ruscello a cui affluiscono mille torrenti, non diventerebbe un fiume enorme?
Così io vedo l’energia che sta negli Uomini e nelle Donne: una fiamma che va accesa per essere alimentata.»
Fine della discussione con lo psichiatra.
Il torrente in fiamme
Thomas aveva ormai spento il sigaro, erano circa le tre del pomeriggio.
I raggi che filtravano nel soggiorno del mio appartamento davano come l’ambientazione di uno scenario parallelo a tutto ciò che stava succedendo, e stava come creando qualche storia che si stava materializzando nelle radici più alte di un’avventura.
“Quando ho deciso di scrivere questa sorta di diario, mi ero già messo nella testa delle mete ben precise.
Ma ciò che volevo richiamare all’attenzione dei lettori, in questo caso tu, è che questo viaggio stava per rivelarsi ben più tortuoso e affascinante di quello che voleva sembrare.”
“Thomas, anch’io. Non ho viaggiato per incorniciare a casa quella foto in quel preciso punto, non ho mai voluto dire che “qui ci sono stato” e comprare la borsa e la maglietta della città visitata, ma più che mai per definire una strada iraconda, all’interno del mio spirito.
Questa scena molte volte scatena dentro di me un fuoco, ed è come se sentissi la mia anima stravolgere il foglio bianco. Sono anche io uno scrittore.
Ho fatto delle conoscenze lungo le vie della Spagna.
Ho incontrato e stretto una fantastica amicizia con una pellegrina di nome Sabi, in qualche angolo sconosciuto del pianeta. Ma non ho più notizie di lei ormai da anni.”
Fuori dalla finestra, una strana pioggia fina cominciava a materializzarsi come una soffice brina, che rintoccava sulle pareti scoscese del muro fuori dall’appartamento.
Iniziò a fare freddo, ma sentivo dentro di me qualcosa che si stava incendiando.
Non posso definire con esattezza quello che stava succedendo, ma credo che qualcosa stesse per volare fuori dalla finestra, impattando con la coltre celata e vellutata del cielo pieno e grigio.
Fui richiamato all’attenzione da Thomas che riprese a raccontare:
“Sono sempre stato affascinato dal vintage e dalle sue cromature spaziate, dai ricami gessati delle levigature in legno.
Ho acquisito una sorta di morbosa ossessione per il restauro. Non mi piace comprare oggetti nuovi e nuove scarpe, preferisco per lo più supportare quei vecchi artigiani pagando lautamente il restauro dei miei oggetti, o attuare per mio conto la famosa arte del rinnovo.
Adesso, sto continuando a scegliere con cura determinati oggetti antichi e li sto raffinando.
Molte volte, quando uscivo per Roma, andavo incontro ad alcuni luoghi e situazioni di cui già sapevo perfettamente l’andamento.
Qualche conoscenza casuale e via: ci si trovava a discutere davanti ad un buon bicchiere di vino e ad un buon disco dei Led Zeppelin.
Sapevo che questa sorta di potere non poteva durare in eterno, anche se faceva ormai parte della mia esperienza, ed era come se lo potessi tirare fuori dalla mia valigia, ogni volta che volevo vivere un’avventura infinita.
Per dircela tutta, e per non mascherare un volto del mio essere, andavo in giro a rimorchiare, e ciò mi rendeva appagato e felice.
Ma questa sorta di passione, che sia del restauro o in ogni ambito della vita, ahimè, mi ha portato a fare incontri molto dolorosi.”
“Hai avuto molte donne immagino.”
“Esatto, ma preferisco rimanere discreto.”
“Capisco e condivido.”
“La prima fiamma che incontrai, a metà del tragitto, si chiamava Layla, ragazza che incontrai in un locale di Pietralata, a Roma.
Tra un’euforia e l’altra, mentre eravamo seduti al tavolo che occupavamo con degli amici quella sera, notai una figura che mi guardava come se fossi un alieno. Si sa quanto sia appagante la novità di una nuova conoscenza e premetto che mi stava scrutando da molto, non troppo distante dal tavolo dove ero seduto, così decise di avvicinarsi senza un pretesto.”
“E che ti disse?” gli chiesi mentre sorseggiavo le ultime gocce nere del caffè dell’est.
“Lei aprì il discorso circa in questo modo:
«Stai avanti»
Facendo anche un certo gesto con la mano in senso di approvazione.
Ammetto che, in quel periodo, trovandomi ad affrontare uno strano mix di fiducia in me stesso e ricerca dell’approvazione da parte di una figura esterna, quelle parole mi suscitarono un grande senso di entusiasmo e vittoria dell’ego, e ne rimasi assuefatto. Allora le risposi:
«Che ne dici di berci un drink?»
«Certo, volentieri»
“Non nascondo che risultavo anche un po’ arrogante, ma ti assicuro che questa tattica funzionava nove volte su dieci.
Comunque, dopo esserci presi qualcosa da bere, qualche sera dopo la bellissima donna mi contattò dicendomi che voleva il numero del mio amico, quello che mi aveva accompagnato al locale la sera prima.
Non avendo però pronta lucidità e la consapevolezza che questo potesse ritorcersi a mio svantaggio, le lasciai il contatto.
Non ricordo poi quello che successe, ma andò a finire che dopo qualche mese mi ricontattò invitandomi a casa sua e mandandomi sul cellulare delle foto dei suoi indumenti intimi, insieme ad una bottiglia di prosecco ed un barattolo di Nutella messi così, sul suo letto, come uno scatto di Hellmuth Newton.
Chiesi subito se ci fosse mai stato un incontro con il mio amico e mi disse che mi avrebbe spiegato il tutto solo se avessi accettato l’invito.
Allora andai al Dervock, un Pub sito nella mia zona, per vedere un vecchio amico e proprietario del locale con il quale parlavamo sempre di donne e di buone birre.
Entrai, erano le otto di sera, andai al bancone e chiesi di Massimo, che in tutto questo era il mio traghettatore.
Lui si materializzò da una porta poco dietro lo stanzino, e mi accolse al solito con un gran sorriso e una frase allegra.
Gli spiegai l’assurda situazione:
«Max, questa mi ha mandato certe foto… Mi dice che devo raggiungerla. Sono le otto di sera e domani devo lavorare, ci metterò circa due ore e mezza per arrivare in Umbria, poi dovrei ripartire all’alba, guidare di notte …»
Senza che mi lasciasse finire di parlare, interruppe le mie turbe del momento…
«Che diavolo stai aspettando? Ancora che stai qua? Vai immediatamente!»
Tre o quattro frasi che mi fecero capire quanto fosse stata assurda la situazione.
E come facevo a dirgli di no?”
“Certo…Un pazzo che si sente dire da un altro pazzo di compiere una follia? Scherziamo!?” Le parole mi uscirono senza filtro ed attesi un qualsiasi cenno nel volto di Thomas che però sembrò far finta di niente e proseguire.
“Non potevo in nessun modo rifiutare.
Lo salutai velocemente, mentre andavo via dal locale mi voltai e vidi che stava sogghignando in modo molto divertito.
Ripresi la macchina, la mia vecchia Smart, e mi misi subito in viaggio sull’autostrada.”
“Ah, anch’io ho una Smart. E’ una buona macchina” esclamai a Thomas.
“Arrivai in Umbria che erano circa le undici di sera, trovai parcheggio in una piazza davanti al campanile.
Mi feci mandare la posizione dalla donna, bussai alla sua porta ed entrai.
Ad accogliermi fu lo stesso quadro della foto, mi ricordo ancora tutto quanto.
La casa era un buco, con la cucina nella camera da letto ed un piccolissimo bagno alla fine della stanza. La luce era di quelle soffuse e sul letto c’erano il prosecco e la Nutella.
La guardai dritta negli occhi e mi vidi riflesso, e non capì più quello che stesse accadendo.
Passammo tutta la notte insieme.”
“In che senso ti sei visto riflesso? E alla fine come è andata?”
“Ah…ripeto, preferisco rimanere discreto.
Posso però dirti che mi svegliai come se avessi compiuto un’impresa straordinaria.
Mi alzai dal letto e diedi il buongiorno alla donna, che mi chiese di andare a prendere due cornetti al bar, lì vicino.”
“Ovviamente, glieli hai portati?”
“Certo, questione di gentilezza.
Pagai la colazione sorridendo alle commesse e scambiando qualche battuta.
Portai i cornetti nella stanza della Donna, mangiammo e ci salutammo augurandoci entrambi buon lavoro.
Nei giorni successivi poi si fece sentire per qualche tempo, ed io continuai questo gioco di andare a casa sua per circa due o tre mesi.
Ogni sera, dopo il lavoro, mi mettevo in macchina e facevo quelle due ore e mezza solo per vederla e passare la notte insieme.
Mi regalò un libro, “Le nostre anime di notte”, ed io la aiutai a risolvere vari compiti e commissioni a livello informatico, essendo io pratico in quel campo.”
“Capisco, ma come mai mi stai raccontando di questa donna in particolare?”
“Ci sto arrivando.
Mi sentivo come schiacciato da un peso grande quanto una casa.
Non riuscivo a capire che tipo di peso fosse in verità, ma questo veniva alleggerito da una grande eccitazione ogni volta nel rivederla.
Più tardi venni a scoprire che aveva un figlio, un marito e solo Dio sa che altra situazione in ballo.
La notizia, devo ammettere, non mi lasciò affatto stupito né scosso, perché a me importava solamente essere con Layla e giocare a far finta di essere sposati. Era questo che faceva nascere in me quel brivido capace di farmi dimenticare il resto.
Ma non solo. C’era ancora un piccolo tarlo nella mia testa che mi logorava: Perché aveva chiesto il numero del mio amico?”
“Ah… la gelosia quindi…”
“Anche lei c’entra. Fu una delle motivazioni principali delle mie visite, oltre al piacere della sua compagnia ovviamente. Ciò che mi tenne legato a lei, fu l’affannosa ricerca della conferma che io fossi stato migliore del mio «avversario».
Questione incredibile certo, è una sfida graziosa che si manifesta nel voler vincere le situazioni, trovandosi sempre a discutere su chi ce l’ha più lungo, classico degli uomini.
Una sera, mentre eravamo a letto, mi parlò senza che le chiesi niente:
«Io e il tuo amico ci siamo baciati»
Scoppiai. Ma con mia sorpresa, mi resi conto che fui travolto non solo da una normale e giustificata collera, ma anche da un’irrefrenabile voglia di rivincita, di passione.
Così lei, guardandomi negli occhi per qualche secondo, mi disse:
«Tu non sei geloso di me. Tu sei arrabbiato perché sei in competizione con il tuo amico.»
Non capii più nulla, aveva colto il punto pienamente.”
“Credo di iniziare a comprendere…”
“Aveva capito tutto, non so bene da quanto. Ma non riuscì ad intravedere in lei una sorta di tristezza, o compassione per la nostra storia.
Scoprii così che per me quelli non erano i veri motivi delle mie visite. Avevo altre questioni nascoste dentro da risolvere e quella storia mi aveva sì segnato in negativo, ma aveva portato alla luce il fatto di dover ancora rispondere a tante altre domande sul mio conto. Comunque qualche nodo lo aveva sciolto.
Così la lasciai. Ma prima di lasciarla, andai a conoscere di persona il marito, solo perché lo voleva lei.
Mi presentai stringendogli la mano e facemmo due chiacchiere veloci.
Ti posso assicurare che ancora non ho ben chiaro se il marito fosse al corrente della nostra storia, ma tutto ciò suscitava in me una sorta di altra competizione.
Tutt’oggi ho il suo libro con la sua dedica scritta in prima pagina, e forse non riuscirò mai a ringraziarla del tutto.”
“Storia interessante. Non vorrei commentare più di tanto però. Hai finito il caffè e il sigaro, vuoi bere qualcos’altro o devi andare via?”
Ad un amico
Mentre Thomas si rilassava nell’appartamento, continuai a sfogliare il suo diario.
“Thomas, non avevi detto che dovevi andare?”
“No tranquillo, dovevo incontrare una persona ma c’è stato un cambio di programma. Se potessi, mi vorrei rilassare leggendo un libro in balcone.”
“Vai pure…io proseguo il tuo diario.”
“Grazie, Frank.”
Frank?
“Chi è Frank?”
“Nessuno…nessuno…L’invidia è un serpente verde con la faccia da medusa.”
“Eh?”
Taccuino di T.W. cap.5
«Non importa quante donne conosci e frequenti.
Importa quanto queste ti facciano frequentare e conoscere te stesso»
Ritornai poi nella baia dei lidi dei ricordi, affranto e soddisfatto per lo più per aver aggiunto tasselli qua e là.
Questi tasselli che mi avevano portato a ricordare, in grande o in piccola parte, quello che ero diventato.
Mi recai per un certo periodo di tempo da un dottore specializzato in psicologia, di nome Fiebas Lubek.
La decisione la presi di sana pianta, ero io a dovermi muovere per cercare di comprendere.
Mi presentai all’incirca così:
«Sono Thomas Walker e ieri notte ho combattuto con i miei demoni.
Sono quasi contento che questi si siano rivelati mentre stavo per salutare Morfeo.
Ma quello che non mi ha in alcun modo disturbato, è che si siano fatti vedere più o meno tutti nello stesso momento.
Molte volte ho dovuto sconfiggere qualche Medusa, travestita da donna astuta avvolta dalla verde invidia, ma ieri sono stati veramente prepotenti, non mi lasciano ancora in pace.
Traggo piacere, però, che questi abbiano voluto farsi vedere.
In qualche modo questa manifestazione mi lascia intendere che sto seguendo la giusta rotta.»
«Piacere mio Thomas» ribatté il professor Lubek, studioso di Freud e della psicologia moderna.
I cavilli da scardinare erano molti. Per lo più dilagavano attorno a particolari dinamiche, le quali interessavano la società odierna e tutti i bisogni primordiali che nel mio spirito erano rimasti assopiti.
«Capisco la situazione, dovresti raccontarmi un po’ di più per capire ciò che stai passando.»
Andai quindi da Fiebas quasi ogni settimana, poi ogni mese.
Ogni volta che uscivo dal suo studio mi sentivo meglio, e iniziai a pensare che un certo tipo di confronto fosse utile per la crescita della mia persona.
«La questione migliore che sono riuscito a comprendere, ieri sera, è che ho visto nella mia mente delinearsi due scenari completamente opposti. Erano le due parti di me che stavano combattendo.»
«Quindi ipotizzo che ci siano due esperienze che stai portando avanti. Dovresti capire se portarle a sposarsi o far vincere una di esse.»
«Il combattimento mi è piaciuto, ma stranamente tutto ciò mi porta ad uno stato di calma e tranquillità assoluta. E questo a volte è tramortente. Ho conosciuto una ragazza, penso che ci sposeremo, ma d’altro canto c’è la mia anima da viaggiatore che vuole vedere il Mondo».
Fine della discussione con il Dottor Lubek.
Lilien
“Frank, avevo conosciuto Lilien, l’estate precedente, e me ne innamorai subito.
Lei era quel tipo di ragazza con cui potevi benissimo essere te stesso.
Cercavo ogni giorno di starle il più vicino possibile, di capire quello che ci accomunasse di più, e tra le sue braccia pensavo di voler stare tutta la vita.
Ogni volta che preparava il tè, il caffè, mi dava già l’idea di come dovesse essere una famiglia.
La scoprì piano piano nei giorni, e cercai più che altro di intraprendere un percorso di reciprocità nel condividere i sentimenti.
Lei decise di stare con me, nonostante conoscesse il mio passato, il mio presente, e a volte mi regalasse alcuni oggetti che mi confermavano addirittura la persona che sarei diventato, in futuro.
Avevo iniziato a scrivere qualche appunto dopo i lunghi viaggi, e ricordo il dono di un mappamondo di sughero insieme ad una comune e banalissima pipa.
Cosa si può desiderare di più al mondo essendo uno scrittore, se non un mappamondo di sughero ed una pipa di legno?
I suoi regali mi riempivano l’anima, non solo perché erano oggetti ai quali ero particolarmente legato, ma anche perché confermavano che Lilien mi conosceva da tempo.
Seppure ci fossimo conosciuti l’estate dell’anno prima, sono assai convinto che il nostro incontro doveva dipendere dal destino di qualche altra epoca.
Il Dottor Lubek rimase molti mesi ad ascoltarmi, in quelle giornate limpide tra primavera ed estate, nelle quali il tempo passava tradito dai ritagli rumorosi della memoria.
Gli regalai poi il mio primo romanzo con una dedica.
Gli scrissi che sarebbe stato il mio compagno nell’avventura e nella disavventura.
Mi confessò che anche lui, da giovane, aveva mosso i miei stessi passi: aveva fatto viaggi con zaino in spalla e aveva alloggiato presso varie famiglie del pianeta.
Era entrato a far parte di quel mondo dove la realtà è mutata rispetto al resto.
Lì trovavi chi era come te: persone che ti lasciavano entrare nella propria vita, alloggiare nelle stanze del proprio albergo e facevano un pezzo di strada con te, dormivano nel letto affianco al tuo, festeggiavano la vittoria di essere arrivati dopo un giorno di Cammino alla meta.
Tornato poi nella mia città, con l’entusiasmo di un bambino, all’inizio ero felice, perché pensavo di poter portare quell’esperienza, quella del Cammino, nella quotidianità delle giornate lavorative, e soprattutto pensai che la mia vita fosse veramente cambiata in maniera totale.”
“Sì, comprendo esattamente quello che stai dicendo. In pratica non è stato molto semplice neanche per me. Quando si va in Spagna si vive in una sorta di bolla, pensi che al ritorno tutto sia complementare, è un processo automatico che hanno la maggior parte delle persone che intraprendono questo viaggio. Anche io dovetti sopperire alla dura realtà. Ma tornai ben presto sui miei passi, perché presi molte porte in faccia”
“Il mondo intero non si può cambiare, ma si può cambiare il proprio.”
“Mi dissi allora che era giusto adattarsi e sapersi comportare rispetto al luogo dove ci si trovava, e qui si sarebbe manifestata l’intelligenza morale della mia persona.
La gente nelle metropoli è molto più restia, se ci vai a parlare pensa che gli stai offrendo o vendendo qualche tipologia di prodotto. Infatti, molte volte, quando cercavo l’incontro, mi presentavo con la scusa di «non vendere aspirapolveri».”
“Quale era il tuo obbiettivo Frank?”
“Me lo sono chiesto molte volte. All’inizio, tornato dal Cammino, pensai di riportarmi a quella realtà, troppo bella e vera.
Poi andando avanti ho creduto che le persone fossero nate per questo, per scoprire la realtà.
Oggi ti dico che sono troppo irato nel vedere la rassicurazione nel consumismo che ci addormenta, di queste grandi fantasie che non sono reali e che ci illudono della felicità, delle frasi scritte sui Social Media che sembrano trovare la soluzione a tutto.
Andate negli ostelli, camminate, fate qualcosa, diavolo!
Leggete i diari di viaggio della gente che lascia il passaggio della loro esistenza nei libri degli ostelli.”
“Non è colpa delle persone se impazziscono. È colpa della società. Di questo grande bisogno di approvazione e di dover dimostrare di raggiungere a tutti i costi i risultati, che diventano poi sempre più irraggiungibili in quanto non ci accontentiamo mai e ci richiedono sempre di più!
Questo è il vero motivo delle psicosi. Basti pensare alla pressione che riceve uno studente o un’atleta, nel dover dimostrare a tutti i costi di essere il migliore nel suo campo.
E questo ci rende automi, inabili, remissivi a qualsiasi forma di felicità.
Se non riusciamo, impazziamo. Se riusciamo, raggiungiamo un traguardo temporaneo, e puff… ci serve subito un altro stimolo.”
“Ecco perché preferisco camminare: l’individuo che cammina e che scopre sé stesso è immune ed estraneo a tutte queste tematiche.
Quello che più conta è cercare chi possa dargli conforto e appagamento, colui nel quale può rispecchiarsi.”
“Questo è il vero motivo dei tuoi viaggi.”
“Come è andata poi con Lilien, vi siete sposati?”
“No, dovevo ancora decidere se nell’incontrare i miei demoni durante le notti, si potesse decretare un vincitore o se avessi potuto portare entrambe le mie due parti alla conquista.”
“E se avessi potuto farlo con lei? Se avessi potuto portare questo tuo lato viaggiatore e condividerlo?”
“A questa domanda non so rispondere.”
Taccuino di T.W. cap.6 – Il mio passato e Lilien
«Ho promesso a Lilien che il nostro incontro non sarebbe stato vano.
Le ho detto che l’avrei aspettata al molo 17, sulla baia dei soli, qualsiasi controversia potesse aver avuto la nostra storia, le ho lasciato dette queste ultime parole.»
“Ci incontrammo per la prima volta in una spiaggia, un po’ ai confini del mondo conosciuto, volevamo entrambi andare via da una noiosa festa.
Poi, dopo esserci conosciuti e aver guardato le stelle per bellissime ore, ci baciammo e iniziammo a conoscerci.
La storia divertente è stata che, poiché lei era la figlia di un marinaio, conosceva bene le costellazioni, e quindi faceva finta di starmi a sentire, sapendo però già tutto quello che le stavo dicendo.
Era come se provenissimo da un’altra era, ed il nostro incontro fosse solo l’inizio di una tappa da proseguire nelle striature del tempo.
La questione più importante della storia con Lilien è stata l’aver nascosto una parte di me.”
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