Non potevo immaginare che sarebbe finita in questo modo.
Se avessi saputo a che razza di stronzo mi stessi avvicinando, mi sarei risparmiata volentieri tutta quella misera sceneggiata.
«Piacere, Madison, ma tu puoi chiamarmi Madi.»
’Fanculo.
Spesso la vita ci mette davanti a delle scelte e ci impone di decidere: a volte va bene, altre volte va male. Per quanto mi riguarda, mi considero un’eccezione. Non provo alcuna vergona, né senso di colpa per quello che sto facendo. Non è dipeso da me. Sto solo agendo in risposta a ciò che ho dovuto subire.
Mentre penso, ogni tanto mi volto e la osservo. Riesco a intravedere i lunghi ciuffi biondi spuntare dalla sua folta chioma. È tutta sua madre, un angelo sceso in terra. Sarebbe così, se solo esistessero. Chissà se sarà brava quanto me in quello che faccio, o se maturerà altre passioni nel corso della sua vita.
Avrà tempo per rifletterci. Eccome se ne avrà.
In fin dei conti, la sto solo proteggendo.
Questo mondo è malato e lei non è obbligata a sopportarne le conseguenze. Se non è abbastanza forte per questo, allora tocca a me difenderla. Nel caso in cui non fosse d’accordo, mi troverò costretta a farle cambiare opinione.
Cazzo, di nuovo quella maledetta spia rossa. Non va bene. Sarà meglio che mi sbrighi, il tempo non si ferma per niente e nessuno. Eccetto che per la mia bellezza, naturalmente. Per quella si è già fermato parecchio tempo fa.
PRIMA PARTE
RE
UNA VITA, UNA MISSIONE
Capitolo uno
Atto 1
Che bella la vita.
Ella Grant se ne stava comodamente seduta sul divano del suo salotto, pensando a quanto fosse cambiata nel corso degli anni. La televisione trasmetteva uomini ricoperti da protezioni lungo tutto il corpo che giocavano la loro partita.
Forse quella della loro vita. Forse era solo un modo per esibirsi al pubblico femminile.
La magia del football. Prendi la palla e comincia a correre, ad attenderti ci sono gloria e fama. Punta in alto, diventa il loro leader. In America, se fossi riuscito a guadagnarti il ruolo di quarterback all’interno di una squadra, saresti diventato l’idolo incontrastato delle donne.
«E degli uomini» pensò ad alta voce, senza rendersene conto.
Ella era una signora che da tutti gli individui del mondo sarebbe stata definita con un unico aggettivo: normale. In fin dei conti, lei era esattamente così.
Normale.
La sua era decisamente una vita tranquilla. In seguito al divorzio aveva mantenuto un buon rapporto con Caleb e questo era il massimo che si sarebbe potuta aspettare dopo che il loro amore era terminato. Aveva sempre considerato questo fatto come una possibile eventualità. L’aveva messo in conto fin dal primo giorno in cui si era innamorata di lui, o almeno pensava di esserlo.
Quando entrambi si erano resi conto di non voler proseguire la loro storia, ognuno aveva preso la propria strada. Erano rimasti in contatto per non rovinare la meraviglia che insieme avevano creato: Noah. Mentre vagava con la mente, il campanello la riportò alla realtà.
Chi poteva mai essere?
Durante la settimana, la sola persona con cui aveva qualsiasi tipo di rapporto era suo figlio, fatta eccezione per il fornaio e il commesso del supermercato. Chissà, probabilmente il suo ex marito aveva bisogno di qualcosa e aveva deciso di passare direttamente da lei, senza avvisarla con le sue consuete chiamate serali.
Si avviò verso la porta d’entrata. Camminando, notò che le lancette dell’orologio segnavano le sette e mezzo. Si era già fatta sera. Non era abituata a mangiare senza di lui. Era molto raro che suo figlio uscisse a cena, probabilmente proprio perché gli dispiaceva lasciarla sola a casa. Come se non bastasse, Noah avrebbe trascorso quella notte da suo padre. Aprì la porta e inconsciamente reagì con un’aria incuriosita. Non poteva immaginare a quali conseguenze l’avrebbe portata quella stupida decisione. Non era stata prudente.
Chi è? avrebbe potuto domandare.
Avrebbe dovuto.
Ma lei era così buona. Vedeva il bene anche dove non c’era. Anche dove al suo posto vi era il marcio.
«Buonasera, signora, sono l’elettricista.» In effetti, aveva proprio l’aspetto di chi diceva di essere. «Sono stato assegnato al suo quartiere. Dovrei controllare l’impianto di casa sua. Ci vorrà solamente un momento, se per lei non è un disturbo.»
D’istinto arrivò la risposta di Ella: «Per un paio di minuti il mio stomaco può aspettare».
Sorridendo, invitò l’uomo a entrare.
Era alto, senza capelli né barba. Gli occhi marroni lasciavano trasparire un senso di tristezza, mescolato a un non so che a cui non si poteva dare un nome. La vecchiaia? pensò lei, provando a dare una spiegazione all’aspetto dell’uomo a cui aveva appena permesso di mettere piede in casa sua.
«Posso offrirle un bicchiere d’acqua? O preferisce un caffè? Sarà stanco, immagino. Ancora al lavoro a quest’ora…»
Il match in TV era terminato con una vittoria schiacciante dei Patriots. Era come se il risultato fosse stato scritto ancora prima dell’inizio. Ora i giocatori lasciavano posto al telegiornale locale.
«Oh, volentieri. Se fossero tutti gentili come lei, amerei il mio lavoro.»
Diretta verso la cucina, Ella percepì una strana sensazione, confermata dal rumore che udì pochi istanti dopo.
Clock, clock.
Sicuramente aveva sentito male.
Rilassati, si disse.
Clock, clock.
Di nuovo. L’agitazione crebbe.
I dubbi lasciarono spazio alle certezze. Aveva dimenticato le chiavi nella porta d’entrata che qualcuno aveva appena chiuso. Solo in quel momento ripensò alla scena che aveva vissuto qualche istante prima.
L’uomo che aveva lasciato entrare nella sua abitazione, senza il minimo tentennamento, portava dei guanti in lattice neri.
Perché mai un elettricista dovrebbe indossare degli indumenti di quel genere? si chiese, mentre il cuore le batteva sempre più forte nel petto.
Da alcuni secondi, durante i quali era stata in preda ai suoi pensieri, non sentiva più alcun suono provenire dall’altra stanza. Terrorizzata, azzardò un passo.
Nemmeno il tempo di ripetere quel movimento una seconda volta, che il bicchiere colmo d’acqua che teneva nella mano le scivolò lungo le dita fino a frantumarsi sul pavimento, a qualche centimetro dai suoi minuscoli piedi. Davanti a lei c’era l’uomo, lo stesso che un minuto prima aveva finto di essere qualcun altro per entrare in casa sua. Tra le mani nei suoi guanti stringeva un filo sottile.
Ella capì subito.
Senza che avesse il tempo di accorgersene, lui le stava già togliendo la vita, strozzandola con quel diabolico oggetto che le aveva appena visto tra le mani. A un primo momento di terrore, si sostituì una sola e unica preoccupazione. La cosa che più la struggeva, anche durante quei terribili attimi, era il viso di suo figlio che poteva intravedere nella sua testa.
Oltre alla separazione dei genitori, avrebbe dovuto resistere anche alla perdita della propria madre. Non riusciva a pensare a se stessa nemmeno ora. Non osò domandarsi il perché di ciò che le stesse accadendo.
Piano piano le forze svanirono nel suo corpo.
Arrivò il buio.
Ti voglio bene, Noah.
Atto 2
Che sensazione.
Che cazzo di sensazione. Adrenalina mescolata a mille altre emozioni indescrivibili. Pensare che fino a una settimana fa ero appoggiato su una stupida scrivania, a scrivere stupidi caratteri indecifrabili per stupidi clienti, mi fa sorridere.
Guardatemi ora.
Il mio angelo mi ha riportato alla vita, restituendomi ciò che avevo perso. Una speranza, un obbiettivo.
È stato piuttosto semplice. Questa città è così caotica, così dispersiva. L’abitazione che cercavo era ben nascosta fra i migliaia di cunicoli di questa zona, quindi non ho dovuto pensare praticamente a nulla. Entra, svolgi il lavoro ed esci. Facile, no? Una volta fuori, non mi è toccato far altro che nascondermi nella folla tenendo ben nascosto il viso. Dopodiché, il suo arrivo. La metro, nostra salvatrice.
Ora, alla magica sensazione di pochi secondi fa si sostituisce qualcos’altro. Non posso descriverlo a parole, ma non è piacevole. Non lo è affatto. La donna non ha nemmeno provato a opporre resistenza. Al contrario, si è piegata dinanzi al suo destino. Come se, al posto di ribellarsi, fosse immersa in un’altra dimensione con la sua mente.
Riflettendoci, ora capisco. Dev’essere così. Esattamente il motivo per cui le ho fatto fare quella fine.
La sua colpa.
Ma ora è tutto finito, niente più catene. Ti ho liberata, Ella.
Atto 3
Driiin!
La mattina New York suscitava sempre lo stesso effetto.
Una sorta di buongiorno inconsapevole espresso da tutte le creature della terra. Un insieme di culture e storie che, casualmente o meno, finivano per trovarsi nello stesso luogo, alla medesima ora. Essere tristi o malinconici davanti a tutta quella vita pareva persino impossibile.
Driiin!
Travis Ward odiava quel suono. Lo stesso che ogni mattina lo allontanava dal suo profondo sonno, gettandolo inevitabilmente nel mondo reale.
«Eddai, ancora cinque minuti.»
Parlava spesso con la sveglia, come se quella povera scatoletta di plastica riuscisse a comprendere il suo linguaggio.
Bip! Bip!
Questa volta il rumore non proveniva da lì. A squillare era il cellulare posto sulla superficie del comodino, proprio di fianco al letto in cui si trovava quell’uomo dai capelli neri e gli occhi verdi. Solo dopo aver rischiato di cadere a terra, a causa di un’improvvisa perdita di equilibrio, riuscì a rispondere, sentendosi come se avesse appena terminato una maratona lunga chilometri e chilometri.
«Jacob, cazzo. Stavo dormendo. Il mio orologio segna le sette in punto.»
«Buongiorno anche a te, caro Travis. È sempre un piacere fare due chiacchiere a quest’ora. Esattamente come me l’aspettavo. Non cambi mai, vero?» Jacob Peterson era un vecchio amico di Ward, nonché il suo capo. Occupava la posizione di responsabile del reparto omicidi a New York. Con i suoi quarantacinque anni di esperienza e il suo fisico robusto e sviluppato, aveva imparato a farsi rispettare dai colleghi e perfino dai criminali che gli capitavano fra le mani. Il loro rapporto, però, andava ben al di là di tutte le congetture lavorative che legavano due poliziotti del loro calibro.
Ciò che li avvicinava era qualcosa di profondo e indistruttibile.
«Certo che no, vecchio mio. Mai, per niente e nessuno. Ora, visto che sono sveglio, vorrei tanto sapere che succede. Spara.»
«Be’, senti… non vorrei rovinare i tuoi propositi per le vacanze che ti sei appena preso, ma suppongo proprio che le onde dell’oceano e la sabbia calda di qualche spiaggia sperduta chissà dove dovranno attendere.»
«Deve trattarsi di qualcosa di davvero grave per dover sostituire i miei fantastici piani estivi. Dimmi di più.»
«Una donna è stata uccisa, qui a New York. Per essere più precisi, nel quartiere di Chinatown. Pensa che coincidenza, non siete nemmeno troppo lontani.»
L’ironia era palese. Fra loro era sempre stato così.
Jacob reputava Travis uno dei suoi più validi agenti, se non il migliore. Gli aveva offerto spesso una posizione di spicco nella gerarchia delle forze dell’ordine, ma il ragazzo aveva sempre rifiutato, preferendo il suo ruolo a inutili dimostrazioni di potere insite a sminuire qualcun altro. Per questo motivo, il vecchio lo interpellava ogni volta che si presentava un caso etichettato con le parole “difficilmente” e “risolvibile” accostate.
Credeva in lui. Aveva fiducia nelle sue capacità ed era sicuro che anche questa volta non l’avrebbe deluso.
«Chissà perché ho la sensazione che tu stia mentendo. Cos’è, provi gusto a farmi rinunciare a un po’ di meritato relax?»
Sotto sotto, Travis era lusingato da tutto ciò. Lo faceva sentire valido, capace.
«Cavolo, mi hai scoperto. Tralasciando gli scherzi, la vittima si chiama Ella Grant ed è sulla quarantina. A trovarne il corpo è stato lo sfortunato figlio, circa cinquanta minuti fa. Dopo aver trascorso la notte dal padre a Cobble Hill, Brooklyn, è entrato nell’abitazione sperando di salutare sua madre prima di andare a scuola. Purtroppo, non è andata così. Pare che la causa del decesso sia stata l’asfissia. L’assassino deve averla strangolata. Questa volta, ho deciso che ci sarà qualcun altro ad aiutarti.»
«Frena. Che intendi per “qualcun altro”?»
«Lo scoprirai non appena arriverai sul posto. Ti ho appena inoltrato la posizione. Buona fortuna, Trav. Ci vediamo al Police Plaza. Nel frattempo, tienimi aggiornato.» Prima ancora di terminare la frase, Peterson chiuse la conversazione.
Chi poteva mai servire, se non lui e la sua squadra? I suoi superiori ne erano coscienti: quando gli affidavano un caso, automaticamente coinvolgevano anche altre tre persone.
Questa volta, però, sarebbero stati in cinque.
Questa volta sarebbe stato tutto diverso.
Atto 4
Immergersi nei propri pensieri, in mezzo a tutto quel trambusto, era quasi impossibile.
Travis era in una sorta di confusione interiore, come se fosse diviso fra due diversi stati d’animo: per metà ansioso di scoprire chi lo stesse attendendo, per metà indispettito dalla scelta del vecchio di chiamare un’altra persona. Era talmente abituato a essere elogiato dai colleghi che quella sembrava in qualche modo una sfida, quasi per sottintendere che lui e i suoi avessero bisogno di aiuto.
E non era così.
Percorrendo l’ultimo tratto di Elizabeth Street, concluse che la miglior soluzione al nervosismo di quel momento fosse assumere la sua usuale dose di nicotina. Estrasse la sigaretta dal pacchetto nei pantaloni e la accese dopo averla infilata in bocca. Due tiri, probabilmente i più lunghi che avesse mai fatto in vita sua, e si accorse di essere arrivato a destinazione poiché l’abitazione in questione era circondata dal solito e monotono nastro che vedeva in continuazione durante le sue giornate di lavoro.
Fin qua tutto bene, pensò.
C’era solo un problema. Il nuovo membro della sua squadra, anche di spalle, era molto più aggraziato di quanto si fosse aspettato: una donna. Quando ormai la distanza che li divideva era l’equivalente di una decina di passi, lei si voltò di scatto.
Un tuffo al cuore, un vortice mai provato in vita sua.
Travis tentò di rimediare a quell’inaspettata ondata di emozioni spiccicando le prime parole che gli passarono per la testa.
«Renesmee Cooper?»
Jacob gli aveva mandato un SMS informandolo delle generalità del nuovo componente. Se ti aspettavi un agente con una macchina fighissima, hai fatto cilecca.
«A dire il vero…»
«Se avessi usato la mia aiuto, probabilmente sarei ancora imbottigliato nel traffico. A piedi, invece, ci vogliono solamente sei minuti. Scelta azzeccata, non credi?»
«Sei minuti. Vediamo… Little Italy. Abiti lì, giusto?»
«Cristo santo. Abitiamo nello stesso quartiere? Eppure non ti ho mai vista da queste parti prima d’ora…»
Non voleva apparire indiscreto, ma l’idea di non essere abbastanza lo martellava. Non aveva nulla di personale contro di lei, solamente si era trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato.
«Sono nuova, infatti. Mi sono trasferita da poco. Abitavo a Soho con la mia famiglia. Travis Wade, corretto?»
Renesmee stava provando a essere gentile nonostante continuasse a chiedersi il perché quell’uomo, nonché suo nuovo collega, si stesse rivolgendo a lei in quel modo brusco. In fin dei conti, durante quel misero scambio di parole avvenuto pochi istanti prima, non le era parso di essere stata scortese. Non lo era mai con nessuno, visto il suo carattere. Si era sempre domandata se quella, per lei, fosse una fortuna o una disgrazia. Essere troppo buoni con le persone che non lo meritavano non portava a grandi traguardi e questo l’aveva imparato a sue spese.
«In persona. Be’… direi che possiamo iniziare.»
«Assolutamente sì.»
«Entriamo.»
Nell’aria si era creato un sottile strato di imbarazzo, percepibile a chilometri di distanza.
Una volta dentro, i volti dei due diventarono seri, abbandonando ogni pensiero estraneo alle indagini.
«Cazzo. Neanche se mi impegnassi con tutto me stesso riuscirei ad avere una casa come questa.»
«Ti conosco da meno di cinque minuti e mi sembra che tu non abbia smesso neanche per mezzo secondo di lamentarti. C’è qualcosa che non va?»
Forse non li avevano abbandonati del tutto.
Era giunta alla conclusione che buttarla sul ridere fosse la maniera migliore per sciogliere il ghiaccio. D’altronde, sarebbe stata costretta a lavorare con quell’uomo dagli occhi verdi per un bel po’ di tempo. Non voleva partire con il piede sbagliato. Niente incomprensioni, almeno per le prime ventiquattr’ore.
«Non farci caso, ormai gli altri ci hanno fatto l’abitudine. Dovresti fare lo stesso.» Un attimo di pausa. «Non c’è molto. Ci ruberà poco tempo.»
Fece segno con la testa di andare verso la cucina, proprio dove era stata uccisa la signora Grant. Era ancora lì.
«Prima le donne.»
Travis non si era ancora reso conto che quel giorno la sua vita avrebbe preso una svolta, quella che aspettava da anni.
Forse nel tempo aveva persino smesso di crederci.
Era l’inizio di tutto, doveva solo accorgersene.
paola.cavagna97 (proprietario verificato)
Coinvolgente e avvincente! Nonostante non fosse il mio genere di lettura preferito, ho trovato la trama del libro intrigante, i personaggi ben definiti e interessanti. La semplicità e la chiarezza della scrittura dell’autore lasciano spazio all’immaginazione e catturano l’attenzione del lettore. Libro consigliato a tutti gli appassionati al genere ma non solo!
Chiara Mogliarisi (proprietario verificato)
Libro letto tutto d’un fiato, ricco di descrizioni tanto da farmi immergere nella storia, suspence fino alle ultime pagine! Bel lavoro, Stefano.
rotamatteo17 (proprietario verificato)
veramente bello, man mano che leggevo le bozze ero sempre più intrigato dalla storia che si sviluppa su più fili, non è sicuramente il solito giallo o il solito romanzo rosa.